Politica: governo Draghi, il senso di una crisi che senso non ha. “Chi rompe paga”. Comunque vada a finire la tragicommedia grillina, arriverà un vaffa-day per Conte e per loro stessi…

Il non-leader di un non-partito sta tenendo in scacco il Paese per questioni marginali tipo recuperare un senso ai Cinquestelle, che un senso non ce l’hanno. Conte è ormai chiaramente un non-leader di un non-partito che sta tenendo in scacco il Paese per questioni marginali tipo recuperare qualche voto “arrabbiato” a un pezzettino dell’ex Movimento che forse sarà condotto da Di Battista e che continuerà a non aver alcun senso politico… Mai prima d’ora si era visto un leader di partito far precipitare il governo (e il paese) nel proprio labirinto politico e mentale. Perché mai si era visto, da che mondo è mondo, un partito di governo che non vota la fiducia al governo di cui fa parte, senza vivere questo atto di radicale dissenso come l’apertura di una crisi. Ma presentandolo come un escamotage “tecnico”. Con i ministri che restano al loro posto. E con la volontà di proseguire un negoziato sul terreno delle politiche sociali, inaugurato col famoso documento dei 9 punti presentato al premier solo qualche giorno fa, come se nulla fosse. Quando tutto questo sarà finito, quando cioè calerà il sipario sulla farsa a cinque stelle, la situazione e la Storia saranno spietate. D’altronde dovrebbe essere sempre così, chi “rompe paga”. Il perdono è tutt’altra cosa, e in politica non usa: in politica ci si vendica… E allora Giuseppe Conte non deve illudersi, non sarà mai accolto per prima dai suoi come fosse il figliol prodigo ma soltanto per quello che sta dimostrando di essere: un uomo irragionevole e persino nocivo per la qualità della politica e delle istituzioni e un leader che non guida la sua squadra, che si fa mettere i piedi in testa dal direttore di un giornale autoreferenziale e estremista come Marco Travaglio, da una ex sindaca come la Raggi, cacciata a furor di popolo e da quattro scalzacani senza arte né parte, finiti per caso in Parlamento, un uomo che può diventare persino pericoloso, non nel senso trumpiano, ovvero che possa tentare di fare un colpo di Stato ma in quello di demolire una normale dialettica civile e politica, di confondere la popolarità con il consenso, di annacquare la lotta politica nella melma del potere. Un modo di intendere la politica purtroppo già utilizzato nel nostro Paese da altri leader (Andreotti, Craxi, Berlusconi e opzionato in prospettiva da altri leader Salvini e la stessa Meloni oltre che da Conte col suo resto). L’avvocato pugliese che da giorni sta tenendo sotto scacco un governo, un Parlamento, tutti i partiti, e lo stesso Quirinale: e perché poi? Perché nel decreto Aiuti c’è la norma sul termovalorizzatore di Roma? Perché «non ci ascoltano»? Cambia idea ogni due per tre. Ieri sera l’ultima era: fermi tutti, la fiducia sul decreto non la votiamo però non usciamo dal governo, i ministri e i sottosegretari possono dormire sonni tranquilli, e anche i deputati e senatori, vedrete che la legislatura proseguirà e non ci rimetterete una lira… Dinanzi a tutto questo la lungimiranza e la linearità di Mario Draghi meritano che il suo governo vada avanti e faccia le cose che ha promesso di voler fare, la famosa agenda sociale, le misure per i lavoratori e imprese eccetera eccetera. Lui fa il suo lavoro senza lasciarsi intimidire. Ha ascoltato tutti, anche Conte, poi ha deciso una linea che ha per così dire “dribblato” l’avvocato lasciandolo sul posto. Così forse tutta la vicenda si concluderà relativamente bene, ci sarà oggi lo strappo con il non voto grillino in Senato sulla fiducia, poi forse una verifica parlamentare, e si andrà avanti almeno fino alla legge di Bilancio. Ma sia che finisca così, sia che finisca male, i responsabili, i democratici, i progressisti, i liberali dovranno reagire alla prepotenza di un partito ormai ridotto alla metà che pretende di dettare legge, tra l’altro, nella più totale opacità del dibattito interno. Sin qui si è accettato tutto, le umiliazioni in tv e in streaming, la follia di demagogiche riforme istituzionali, le cialtronate “contro la povertà”, le “stranezze” dei rapporti tra Conte e Putin e tra Conte e Trump, il rischio di avere una maggioranza basata sui “Ciampolillo” di turno, quello di avere la numero uno dei servizi segreti al Quirinale. “Ora basta!” Come disse e scrisse tanto tempo fa Norberto Bobbio quando Bettino Craxi tirava troppo la corda (ed era Bettino Craxi, non certo Paola Taverna & C.). Ora c’è un indizio forse confortante nel discorso che Enrico Letta ha tenuto davanti ai suoi gruppi parlamentari: non ha mai nominato Conte. Ha citato altri, lui no. Il segno plastico di come il punto di riferimento fortissimo sia diventato addirittura innominabile. Nemmeno più da criticare, perché in fondo si criticano le persone più o meno per le quali c’è interesse. Pluf, l’“Avvocato del Popolo” è sparito. Il che fa sperare che questa stramba crisi di luglio, senza alcun senso politico, azzeri le future pretese dei grillini che, come si è visto, se sono avanzate per spaccare tutto alla fine sono destinate al nulla. Non solo: questa storia dovrebbe finalmente espellere l’avvocato e il gruppetto dei suoi, dall’orizzonte politico del principale partito del centrosinistra con il quale non saranno possibili alleanze nei collegi uninominali e a cui si darà battaglia per togliergli quei voti che gli sono ancora rimasti. Tolleranza zero. Si apre dunque, o meglio si può aprire, una fase completamente nuova, senza più l’ingombro psicologico e politico di un soggetto che è passato in pochi anni dal paradiso dei trionfi elettorali al purgatorio della prova di governo, infine all’inferno della marginalità politica e del discredito pubblico. Il vaffa stavolta è tutto per loro, comunque vada…

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