Politica: i partiti italiani ancora una volta spiazzati… da un serafico Draghi che non chiede niente per sé ma non chiude la porta al Quirinale mentre chiede con forza continuità per il suo governo…

Nella conferenza stampa di fine anno, il premier non ha escluso e non può escludere nulla, non si candida né si tira fuori. Aspetta che i partiti decidano che cosa fare… Come era prevedibile, la conferenza di fine anno di Mario Draghi non ha chiarito né le intenzioni del premier sul Quirinale né il destino del suo governo. Ognuno potrà fare congetture e trovare parti del discorso che avvalorano l’una o l’altra tesi. Da una parte, si dirà che il presidente del Consiglio ha quasi considerata conclusa la sua missione, dimenticando però che il discorso non poteva non essere che di bilancio data l’occasione; ma, dall’altra, è difficile pensare che altri se non ancora lui possa oggi tenere insieme tutti (o quasi) i partiti e garantire quella “maggioranza ampia” che pure è ancora necessaria all’Italia per sua esplicita ammissione. Anzi, può dirsi che questa è l’unica vera indicazione chiara che emerge dalle parole del premier: egli ritiene che l’Italia abbia ancora bisogno di una ‘Grosse Koalition’ come quella che fino all’altro ieri ha retto la Germania. E questo deve valere anche per l’elezione del Presidente della Repubblica. ha quindi insistito sulle “ampie maggioranze” future. Forse con lo scopo “civile” di sferzare i partiti ad una loro maturazione. È ovvio che una normale dialettica democratica preveda la conflittualità politica fra i partiti, ma essa in Italia scade spesso in una sorta di “guerra civile”, in una vera e propria delegittimazione morale dell’avversario… Infatti: “È immaginabile – si è retoricamente chiesto – una maggioranza che si spacchi sulla elezione del Presidente della Repubblica e si ricomponga nel sostegno al governo”? Nella sottintesa risposta negativa i più maliziosi potranno leggere un colpo assestato all’unica candidatura al Quirinale finora dichiarata, quella di Silvio Berlusconi, che sicuramente non potrebbe aspirare ad un’ampia maggioranza. Fatto sta che, ad una domanda esplicita su questo punto, Draghi ha risposto che non spetta a lui “dare valutazioni su cose che esondano dal mio compito”. E qui può vedersi un altro degli elementi che sono emersi forti dal discorso: l’insistenza, persino enfatizzata, sul ruolo dei partiti e del Parlamento e il suo considerarsi un semplice uomo delle istituzioni, quasi un manager a cui è stato affidato un compito da Sergio Mattarella e che non ha fatto altro che eseguirlo con scrupolo. Sempre i suddetti maliziosi in questo leggeranno probabilmente sia una captatio benvolentiae verso chi comunque dovrà dargli fiducia per portarlo al Quirinale; oppure rileveranno che egli parla già come si conviene a un Presidente della Repubblica, cioè da uomo super partes e da umile servitore dello Stato… La seraficità. di Mario Draghi, parte con la postura tenuta in conferenza stampa ieri… postura in senso intellettuale – mi spiego – Draghi, come se non fosse l’uomo che sta guidando un Paese nuovamente nervosissimo in un Natale con poche luci (certo meglio del precedente che era proprio senza luci) e che conta più di 100 morti al giorno e un numero spropositato di contagi… ha incontrato i giornalisti per la conferenza stampa di fine anno, stendendoli ad ogni risposta – e quando ci casca nei trabocchetti, uno così – munito di argomenti e buon umore, non nel senso della paciosità di un Romano Prodi ma in quello della piena consapevolezza della propria forza. Persino quei cinici dei giornalisti, sempre pronti a sbeffeggiare i politici ad ogni latitudine, sono apparsi se non in soggezione certo in religioso rispetto per il conferenziere, come studenti alla prima lezione d’università, tributandogli persino un applauso finale che non ricordiamo in altre simili occasioni. La forza di Draghi sta nelle cose fatte. Il premier si è molto diffuso sulla lotta alla pandemia e sulla ripresa economica presentando un bilancio positivo dell’azione del governo di questi ultimi 10 mesi, come quando il cowboy soffia sulla pistola dopo aver centrato l’obiettivo, dando persino l’impressione che volesse lanciare un messaggio neanche tanto subliminale: obiettivo raggiunto (i 51 obiettivi del Pnrr effettivamente raggiunti come grande metafora). Ma la domanda in fondo era una sola: ci va al Quirinale o no? Draghi ha seminato una certa quantità di indizi che non possono essere letti univocamente perché ogni risposta conteneva il suo contrario e nell’aria volteggiavano i “se” e i “purché”. Ma il senso delle sue parole se abbiamo ben compreso è tutto nella vera e propria sfida ai partiti che egli ieri ha lanciato, ributtando la palla di là, con la seraficità, appunto, del civil servant che non sgomita e al tempo stesso non si sottrae come si conviene appunto agli uomini di Stato. Draghi, autodefinitosi «nonno delle istituzioni», non esclude e non può escludere nulla, non si candida (anche perché è una modalità che per il Colle non esiste, Berlusconi a parte) né si tira fuori: aspetta che il Parlamento, cioè i partiti, lo chiamino, se vorranno. E sono abbastanza chiare, sullo sfondo, due condizioni. È qui la sfida ai partiti della maggioranza: siete in grado di eleggere subito il Presidente senza spaccature, altrimenti il governo non reggerebbe? E, secondo, siete capaci di garantire che in ogni caso la legislatura vada avanti fino al 2023 con la stessa maggioranza o addirittura «più larga», saranno fischiate le orecchie alla Meloni? Sono condizioni pesantissime per un sistema dei partiti sfibrato dai tatticismi e dalla sfiducia di tutti verso tutti. Certo, il monito draghiano ad andare avanti fino al 2023 è miele per i parlamentari che temono di dover andare a casa prima del tempo. Paradossalmente, dunque, si potrebbe aprire un toto-premier: chi sarebbe in grado di sedersi sulla poltrona di SuperMario e condurre il governo (fotocopia ma appunto senza Draghi, come un’Olanda senza Cruijff, un Napoli senza Maradona) fino alle elezioni del 2023? L’ipotesi più accreditata è quella di Marta Cartabia, che conterebbe sull’appoggio di Draghi e Mattarella, cioè Presidente ed ex Presidente della Repubblica, le personalità più forti della storia politica recente, in grado di “coprirla” in Italia e in Europa… Il premier, dunque, oggi ha seraficamente detto: io ci sono, sta ai partiti costruire un patto a due stadi nel segno della continuità politica: ne saranno capaci? Questo Draghi non l’ha detto, ovviamente. Ma la seraficità è un buon indizio della sua fiducia a che la palla vada in buca. Oggi sembra lui l’uomo da battere, come si dice nel calcio: solo che questa partita ha mille insidie e i giochi sono tutt’altro che fatti. E le parole di Draghi, lisce come l’acqua di fonte, mettono ancora di più in crisi partiti che non sanno bene come muoversi e che hanno paura di giocarsi molto della loro credibilità. Il “nonno” tutto questo lo sa, ha parlato e ora aspetta le mosse degli altri. Così facendo, Draghi si è assunto responsabilità forti da cui non si può tornare indietro. Adesso tocca ai partiti fare lo stesso. Spiegare cioè come si possa creare un equilibrio che salvaguardi la personalità e le qualità che tutta Europa (e non solo) plaudono e contemporaneamente garantire che i risultati fin qui raggiunti non vadano dispersi. Meglio dire subito che nei partiti il riflesso finora prevalente è stato di pura conservazione: Draghi resti lì dov’è, al resto pensiamo noi. Ecco, appunto. Posto che nessuno può essere obbligato a esercitare un ruolo se non è convinto di volerlo fare, e dunque cercare di inchiodare Draghi a Palazzo Chigi indipendentemente dagli assetti politici e istituzionali che si determinano è una sciocchezza vero Renzi? Il Senatore di Italia Viva, ha ricordato che per l’elezione di Mattarella ci fu una maggioranza diversa da quella di governo riproponendosi come king maker per l’elezione del Capo dello Stato…  Il compito delle forze politiche in questa situazione dovrebbe essere quello di individuare le coordinate dentro cui si possa preservare l’unità di larghe intese e garantire un percorso virtuoso fino al termine della legislatura… senza che la corsa al colle possa determinarne la crisi di governo e/o le elezioni anticipate.  Insomma, il “nonno” con la saggezza degli anziani ha indicato il percorso: ora tocca alla tribù dei nipoti decidere se accettarlo o trovarne un altro altrettanto convincente e fruttifero. Naturalmente tutto seraficamente…

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