Politica: il dopo elezioni. L’unica cura per il Pd è imparare a opporsi. Ricominciando dal combattere le diseguaglianze…

L’unica cura per il Pd è imparare a opporsi. Il partito scelse di essere di governo e cancellò la parola Sinistra dal logo. Ora la sua missione politica deve nascere dai bisogni di parti specifiche della società, combattendo le diseguaglianze. Il Pd è nato nel 2007, l’ultimo anno di relativo buon funzionamento (anche se già con forti allarmi) del paradigma socioeconomico liberista e globalista, sui cui principi la neonata compagine ha scommesso. E ha fatto propria un’analisi della società come di un sistema di equilibri, o quanto meno come di un sistema che è sempre possibile riequilibrare; una visione dell’economia come un gioco a somma positiva, che costituisce la forza trainante (e la misura ultima) di tutta la società; un individualismo progressista centrato su diritti da garantire e da allargare; e insomma una politica come un accompagnamento – con l’aggiunta di un supplemento d’anima, di valori e di una buona comunicazione – di processi da assecondare e da governare ma non da deviare e meno che mai da contrastare. Il “ma anche” – marchio di fabbrica del Pd – nasceva da questa ipotesi di compatibilità quasi illimitate. Di conseguenza, il partito doveva essere leggero, fluido, per attrarre quanti più voti possibile da un elettorato fluido, un magma, non segmentato in parti, di individui impegnati a valorizzarsi in una società sempre meno bisognosa delle briglie dirigiste dello Stato (anche l’avversario politico, Berlusconi, era interno al medesimo paradigma). Il Pd volle essere “di governo” – e lo fu, benché non abbia mai vinto un’elezione – , cioè volle essere il garante dei poteri economici e tecnici interni e internazionali, e al contempo dei cittadini di ogni posizione sociale; e non volle essere “di sinistra”, omettendo la parola dal proprio logo, perché non credeva che la società sia intrinsecamente conflittuale, e che la politica consista nel prendere parte al conflitto, orientandolo in una direzione o in un’altra. Naturalmente, la micidiale serie di crisi che hanno scosso dalle fondamenta il paradigma liberista-globalista (e in parte anche la prospettiva europeista) – scoppio della bolla dei subprime, austerità nell’eurozona, pandemia, guerra, inflazione, crisi energetica – hanno fatto del Pd il partito solo dei garantiti o, come si dice, della Ztl. La precarietà, la povertà, le diseguaglianze, la paura del presente e del futuro, che hanno profondamente segmentato la presunta massa omogenea dei cittadini, non rientrano più nel cuore della sua cultura politica: sono interpretate come perturbazioni di un ordine che può essere ri-aggiustato con ritocchi tecnici circoscritti. Con una deleteria ostentazione di superiorità morale e intellettuale su chi protesta, anche scompostamente, il Pd non ha mai cessato di ritenersi indispensabile al governo e alla legittimazione dei processi economico-sociali; finché questi gli sono sfuggiti di mano, e sono stati intercettati da avversari politici più capaci di decifrare le dinamiche in atto e di indirizzarle verso le loro idee – sgradevoli fin che si vuole, ma da contrastare con altre idee e con altre prassi, di cui invece non si è vista traccia. Il cambio di cultura politica a cui il Pd oggi deve accedere è enorme: deve passare dal ritenersi indispensabile (quale palesemente non è) a credere nella propria necessità storica e sociale. Ovvero da essere un partito di governo a tutti i costi a essere un partito di critica e di lotta (anche di convinta opposizione). Deve capire, cioè, che la società è necessariamente segmentata in parti, e che la politica non può non essere l’espressione di questa parzialità, alla quale non si sfugge, meno che mai nella fase di politicizzazione che, tanto all’interno quanto a livello internazionale, caratterizza questa età di crisi. Che un partito deve avere una missione politica, che trae origine da una necessità, da bisogni reali, e conflittuali, di parti specifiche della società… Se la destra ha interpretato la crisi sociale intorno all’idea di nazione, sarebbe logico che esistesse una sinistra che la reinterpretasse, con altrettanta energia, intorno a un’altra idea: l’emancipazione dei subalterni dalla povertà, dall’emarginazione, dalla paura. Non si tratta di scegliere, come se fosse un gioco di ruolo, se essere populisti o riformisti (ci sarebbe anche l’opzione laburista, in verità); si tratta piuttosto di decidersi a pensare seriamente la politica, secondo le sue logiche immanenti. Il resto – cambio di dirigenza, di alleanze, di nome – sarà la conseguenza di questa grande decisione. Se il Pd vuole riconquistare il cuore degli italiani e delle italiane deve, con modestia, imparare dalla realtà viva della sofferenza e della solidarietà… È strano affermarlo, ma al Pd è mancato l’ascolto e la comprensione dei bisogni di chi soffre. È mancato lo studio della situazione reale. È mancata l’elaborazione alta per costruire soluzioni, proposte concrete e realizzabili. È mancata per anni una scelta delle priorità adeguata e conseguente. Lo dico con tutto il rispetto per chi ha lavorato senza risparmiarsi per il Pd, con anima e cuore. Lo dico come uno che analizza dall’esterno la situazione, presente e passata, che conosce poco le dinamiche di partito e non se ne occupa. Il Pd ha cambiato pelle. I ceti popolari votano altri, perché non si è stati realmente paladini di una battaglia per attenuare in modo deciso le diseguaglianze che sono andate via via allargandosi. E hanno colpito giovani, donne, bambini, anziani. I campi lunghi o larghi, gli equilibri fra correnti, il “politichese”, interessano sempre meno. Da 10 anni, dico 10, la povertà assoluta è raddoppiata nel Paese. Triplicata per bambini e giovani. Solo nel 2019 è stato varato uno strumento contro la povertà, per ultimi in Europa. E non dal Pd, che non aveva stanziato fondi sufficienti quando stava al governo. Nonostante Caritas e società civile premessero perché venisse fatto. Oggi 15 milioni di persone sono a rischio povertà o esclusione sociale. Il 25% della popolazione. Il 40% delle persone che vivono al Sud. Quando è stato confermato il reddito di cittadinanza da parte del governo Draghi, perché non è stato recepito almeno qualche suggerimento della Commissione Saraceno? Soprattutto quello che proteggeva maggiormente le famiglie con bambini? Diseguaglianze. È questa la parola chiave per capire la sconfitta del Pd. Su tutti i fronti. È ingeneroso gettare la croce su Letta e sull’attuale dirigenza del Pd. I problemi del Pd vengono da lontano e riguardano gran parte delle socialdemocrazie europee. E vanno ricondotti all’incapacità di dare risposte efficaci alle diseguaglianze che dilagavano. E non è questione solo di povertà. Quali interventi reali, quali investimenti seri hanno potuto dare la sensazione alle donne di questo Paese che la battaglia contro le diseguaglianze di genere fosse una priorità nell’azione dei governi, laddove era presente il Pd? Da quello che ho potuto vedere, non è mai stata una priorità, soprattutto per l’entità delle misure adottate. Solo 10 giorni di congedo di paternità. Anche nel Pnrr i fondi stanziati per i nidi bastavano per il 33% di bimbi al nido in cinque anni. Cioè, per raggiungere l’obiettivo che l’Europa si era data per il 2010, quindi con 12 anni di ritardo!!! Ne sono responsabili tutti i partiti che fino ad oggi hanno governato, Pd incluso, se metà delle donne di questo Paese non sono indipendenti economicamente, se siamo in fondo alla graduatoria europea per il tasso di occupazione femminile. E non mi venite a raccontare che nel Pnrr c’è la clausola di salvaguardia, ottenuta dal Pd, che garantirà che almeno un terzo degli assunti con il Pnrr saranno donne o giovani. Lo sapete voi stessi che non funzionerà, perché scritta in modo da non poter essere applicata. È mancata la capacità di fare della battaglia per l’estensione dei diritti sociali e civili e delle libertà delle persone un tema appassionante che riguardasse la vita personale dei giovani, delle donne, e di tutti; che riuscisse ad entusiasmare portando alla partecipazione attiva i cittadini, che, come Tocqueville e Arendt sostenevano, è l’anima vera della democrazia. Il continuo spostarsi in massa dell’elettorato verso il leader di turno, subito seguito da una repentina delusione e dalla ricerca di un altro leader, la crescita sempre maggiore dell’astensionismo, che ha raggiunto il livello record nelle recenti elezioni politiche, è il portato del deterioramento del rapporto con la democrazia, percepita come un sistema di partiti comunque lontani; in cui la campagna elettorale somiglia più ad uno show televisivo in cui si fa a gara a chi offre di più in termini di promesse mirabolanti. Una interessante indagine americana del Pew Research Center metteva in luce già nel 2019 come i cittadini italiani fossero, tra gli occidentali, quelli con l’adesione più blanda nei confronti dei valori democratici. È un campanello d’allarme che deve suonare per tutti i partiti, in primis per il Pd. Se il Pd vuole riconquistare il cuore degli italiani deve ricominciare a intercettarne i bisogni, ad ascoltare, a interagire profondamente con la società civile. Deve con modestia, imparare dalla realtà viva della sofferenza e della solidarietà. C’è bisogno che la sinistra italiana, o meglio il Pd che la rappresenta con maggior credibilità, entri nella discussione in corso a livello globale sulla crisi del capitalismo e sui suoi grandi mali: globalizzazione nella sua peggior accezione, diseguaglianze ormai intollerabili, finanziarizzazione spinta all’estremo. Il Pd deve capire quello che è successo nel mondo in questi anni e da lì tornare a svolgere un ruolo chiaro per la società: i cittadini non sono interessati a dibattiti politologici, ma a capire cosa il partito vuol fare per risolvere i loro problemi e contrastare la crisi climatica e le diseguaglianze, oltre naturalmente che per i diritti civili. Il Pd è in colpevole ritardo rispetto alle diseguaglianze prodotte dal sistema. Fare della battaglia contro le diseguaglianze e per i diritti il perno centrale dell’azione. Essere intransigente e coraggioso nella battaglia per la libertà, la democrazia e l’equità…

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