Politica: “La sinistra rifletta sulla crisi del capitalismo”. Congresso PD, in Europa la sinistra riparta da un nuovo capitalismo….

In tutta Europa le elezioni degli ultimi anni hanno mostrato un trend: la difficoltà incontrata dai riformisti nel rappresentare i ceti più deboli e al contempo l’emergere di forze populiste che occupano quello spazio politico. Occorre un complesso sforzo di elaborazione per individuare forme di capitalismo tali da rappresentare i bisogni di tutti i lavoratori… Ho già avuto modo in precedenti post pubblicati su questo Blog, di commentare la discussione che si è aperta nelle ultime settimane intorno al Congresso del PD e ai lavori del Comitato Costituente sulla necessità di importanti chiarimenti a riguardo. Primo, perché il Congresso sia davvero un momento “costituente per il nuovo Partito democratico” – come scritto in grande evidenza sul sito internet del PD – è necessario che l’elaborazione congressuale sia collocata all’interno del processo di trasformazione delle socialdemocrazie europee degli ultimi anni. C’è quindi bisogno che la sinistra italiana, o meglio il Pd che la rappresenta con maggior credibilità, entri nella discussione in corso a livello globale sulla crisi del capitalismo e sui suoi grandi mali: globalizzazione nella sua peggior accezione, diseguaglianze ormai intollerabili, finanziarizzazione spinta all’estremo. Deve inserirsi al più presto e a pieno titolo nel processo riformatore in corso in buona parte del mondo, dove si cercano di identificare e correggere gli eccessi sopra menzionati. Il Pd, non lo ha fatto e anzi è in forte colpevole ritardo, un comportamento rivelatosi autodistruttivo. Il pensiero di autori come Joseph Stiglitz e  del critico della globalizzazione Dani Rodrik di Harvard, deve essere studiato approfonditamente, interiorizzato e trasformato in un programma politico. Solo in questo modo infatti si potrà affrontare una riflessione strutturale, che appare quanto mai necessaria dopo i due peggiori risultati di sempre (2018 e 2022) del principale partito della Sinistra alle elezioni politiche, e non un mero momento di sostituzione dell’ennesimo Segretario senza alcun cambiamento sostanziale. Inoltre, per evitare la tanta confusione che si è alzata dopo la proposta di modifica del manifesto del PD, in particolare sul ruolo della Sinistra verso la regolazione del mercato, va chiarito subito al netto delle strumentalizzazioni politiche, che le socialdemocrazie non rifiutano certo il capitalismo (non è vero che riaffiora nella discussione congressuale alcun anti-capitalismo nel PD, nessuno pensa di tornare al PDS), ma ultimamente si vanno percependo le nuove forme del capitalismo globale come un grande pericolo. Il neoliberismo selvaggio non produce solo scarti ambientali, ma anche scarti umani, come non smette di ripetere papa Francesco. A livello globale, l’1% delle persone possiede oltre metà dell’intero patrimonio planetario e ogni giorno un milione e mezzo di esseri umani rischiano di cadere nella miseria. E come se il Capitalismo lavorasse contro il Capitalismo. La crescita di povertà e ineguaglianza degli ultimi 30 anni non è solo un problema di welfare, ma anche conseguenza di un modello di sviluppo che ha perso di vista la centralità dell’economia reale rispetto alla finanza. E Thomas Piketty con il suo “Il Capitale nel XXI secolo, spiega sostanza e rischio che corriamo se non ci ragioniamo e introduciamo alcuni correttivi necessari. Da questo punto di vista, come afferma l’ex governatore della banca centrale indiana Raghuram Rajan nel libro “Il terzo pilastro”, Stato e mercato non riescono da soli ad affrontare questi problemi sociali. Sono le comunità locali a essere indispensabili. Insieme a un mercato regolato e a un sistema politico-istituzionale democratico ed efficiente, va messa in circolo in modo diffuso la cultura della sussidiarietà. In Italia in particolare da ormai molti anni i partiti di sinistra trovano maggiore consenso tra le classi sociali meno esposte a tali rischi e nei grandi centri urbani, più che nelle periferie del paese.  Sebbene questi comportamenti elettorali trovino un tendenziale riscontro nei dati, tale percezione si è assolutizzata e ingigantita a tal punto che in una parte della società i partiti di sinistra vengono percepiti come forze che trovano la loro identità nell’establishment e la loro ragione nella conservazione del potere. Come si può spiegare questa eccessiva rappresentazione e quali cambiamenti le socialdemocrazie dovrebbero adottare in prospettiva? Probabilmente la principale ragione sta nel sostanziale ritardo delle socialdemocrazie europee a interpretare le trasformazioni economiche e sociali legate all’attuale modello di capitalismo. In gran parte infatti, tranne rare eccezioni, il dibattito all’interno dei partiti socialisti europei e certamente nel PD è rimasto ancorato a un manifesto programmatico e valoriale antecedente alla attuale fase. A metà degli anni ’90, quando si assisteva ad un momento di crescita economica e occupazionale in gran parte d’ Europa si è pensato che il mercato potesse rappresentare il migliore strumento regolativo, non solo per garantire sviluppo, ma anche per operare riequilibrio sociale, con necessità di pochi correttivi. Se tale ipotesi poteva essere sostenuta in una fase di crescita economica e occupazionale, la lunga congiuntura negativa che stiamo vivendo cambia completamente lo scenario, poiché in assenza di significativi interventi nella regolazione di mercato non si avrà maggiore occupazione per tutti, ma solo maggiori disuguaglianze e erosione di diritti sociali per i più vulnerabili. La storia e il successo delle socialdemocrazie stanno nella proposta di una regolazione del mercato tramite l’intervento dello Stato per proteggere i meno privilegiati: quello che è stato chiamato il modello di ‘capitalismo democratico’, a partire dal secondo dopoguerra, è la base del modello sociale europeo e del suo Welfare State. La fase attuale è però profondamente diversa, non solo rispetto al secondo dopoguerra, ma anche rispetto al 2007, quando nacque il PD. Non solo perché la lunga crisi economica, la pandemia e la guerra stanno mutando completamente lo scenario sociale ed economico a livello globale. Ma anche perché negli ultimi quindici anni, la crescente finanziarizzazione dell’economia e le trasformazioni tecnologiche hanno radicalmente modificato il modello di capitalismo, che richiede oggi una nuova e maggiore regolazione per evitare crescenti iniquità. Un modello che oggi assume forme tali da rendere molto più complessa l’individuazione dei rischi a cui sono esposti i lavoratori e dunque gli strumenti regolativi più adatti per tutelare i più vulnerabili. C’è di più: le caratteristiche della cosiddetta società della conoscenza hanno trasformato a tal punto l’organizzazione del lavoro da segmentare i rischi a cui sono esposti i lavoratori, difficilmente oggi tutelabili come “classe per sé”. Siamo ben lontani, dunque, dalla fase in cui Edward Palmer Thompson ebbe a dire “la classe operaia non sorse come il sole, ad un’ora determinata. Era presente alla sua propria formazione”. Oggi occorre un vero e complesso sforzo di elaborazione per individuare le forme di capitalismo democratico tali da rappresentare i bisogni di tutti i lavoratori e avanzare una proposta capace di regolare il mercato per evitare nuove e crescenti disuguaglianze tra chi ha diverse opportunità alla nascita. Ecco, se il Congresso della principale forza della sinistra riformista italiana, partendo dalla revisione e dall’adeguamento – che non vuol dire stravolgimento – delle sue proposte programmatiche e valoriali, saprà cogliere questa sfida, sarà all’altezza di rappresentare uno dei temi su cui è da tempo chiamata a misurarsi l’Europa stessa. E allora tornerà probabilmente a convincere molti elettori…

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