Politica: ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. I ricchi non pagano mai le crisi e così il fossato s’allarga …

Parte seconda

Estreme e crescenti disuguaglianze minacciano non solo di danneggiare i membri più vulnerabili della società, ma anche di aumentare la probabilità di conflitti violenti, come quelli che abbiamo visto recentemente nelle rivolte in Inghilterra, mentre il governo conservatore continua a tagliare producendo squarci sempre più grandi nella rete di sicurezza sociale. Negli ultimi anni, negli Stati Uniti, le classi più abbienti si sono rifugiate sempre più in fortezze residenziali – le cosiddette gated communities -, cercando di fuggire non solo dall’Altro più temuto, ma soprattutto dalle loro paure e vulnerabilità. Non possiamo però comprendere simili processi, senza prendere consapevolezza dei processi sottostanti che – come “l’Effetto San Matteo”, appunto – lavorano per produrli. Quello che possiamo fare, e che anche io ho tentato di fare leggendo questi libri, è di aumentare la consapevolezza del problema, raggiungendo sempre più persone che lavorano nell’ambito della politica e dell’ordine pubblico, dei servizi sociali e del non-profit, “Effetto Matteo” dovrebbe diventare un’espressione familiare, proprio per orientare l’analisi e le pratiche a una maggior consapevolezza di un divario tra ricchi e poveri sempre più crescente, soprattutto in un periodo di crisi, dove le persone più vulnerabili rischiano di essere trascinate e travolte da una potente risacca. Nella politica economica: lo studio del vantaggio cumulativo raramente ha preso il nome di “Effetto San Matteo”. Gli economisti preferiscono il concetto di auto-amplificazione ovvero di self-amplifying positive feedback. Investimenti di capitale di base e processi di accumulazione, per esempio, hanno spesso mostrato questo modello. Almeno fino a quando non si è urtato contro un muro, come la Grande Depressione o l’attuale crisi finanziaria. Poi i ricchi e i poveri tendono a diventare sempre più poveri, in misura ovviamente diversa, e con l’eccezione delle élites finanziarie che tendono, in ogni singolo paese e globalmente, a non impoverirsi affatto. Ineguaglianze e povertà sono sempre esistite. Questo potrebbe suggerire che si tratti, se non di un’ineludibile legge di natura, di una tendenza inevitabile delle nostre economie di profitto. Non si corre il rischio di mascherare una visione deterministica dell’economia, dietro lo schermo dell’ “Effetto San Matteo”? In altre parole, si tratterebbe di una legge naturale o di una mera costruzione sociale? Sulla questione della legge naturale o costruzione sociale, vale la pena di assume una posizione intermedia. Certi effetti li potremmo chiamare tendenze naturali nelle istituzioni sociali. Tendenze che tendono a favorire chi ha già un vantaggio. Ma questi effetti possono essere mitigati da una varietà di fattori di compensazione o di forze, comprese forze socialmente e politicamente costruite. Tra queste forze di compensazione vanno ricompresi i movimenti sociali per l’eguaglianza, dall’abolizionismo alla crescita del lavoro organizzato fino ai movimenti per i diritti civili. Movimenti popolari e progressisti negli Stato Uniti ce ne sono e continuano la loro azione anche oggi: senza molto successo contestano un modello di disuguaglianza economica galoppante che potrebbe sfociare in una plutocrazia incontrastata in assenza di significativi vincoli democratico. Alcuni pensano che gli Stati Uniti si trovino già in questa condizione. Ovviamente, quando si dice questo non si intende sostenere che tutte le disuguaglianze presenti nel mondo siano dovute a “effetti San Matteo”, né potremmo affermare che queste disuguaglianze costituiscano una legge ferrea della società e della storia. Intendo solo dire che rappresentano processi persistenti e ricorrenti – accanto a altri processi – nella vita sociale e che la nostra inconsapevolezza o peggio il rifiuto a comprenderli e a vederli (spesso perché non ci conviene vederli) non per questo li fa scomparire. Come farli scomparire, allora? Mi piacerebbe avere una buona risposta, ma non ce l’ho. Forse potremmo rifarci a quanto afferma il Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman. Krugman sostiene che la disoccupazione e la polarizzazione delle ineguaglianze sono, in ultima analisi, un problema più preoccupante che debiti e deficit, nonostante l’isteria politica in senso contrario, e che solo gli investimenti pubblici consistenti in settori quali le infrastrutture, le tecnologie pulite, l’istruzione, la ricerca e l’ambiente sono in grado di stimolare la domanda aggregata necessaria per sostenere a lungo termine la crescita economica, sia negli Stati Uniti che all’estero, e per creare una società a somma positiva. Ma naturalmente le attuali preoccupazioni sul debito rendono questo consiglio difficile da dispensare… La sfera di cristallo si è appannata. Ma la generale diffidenza che va crescendo per le forme di nazionalismo neopopulista, sembra esprimere una disperata nostalgia per la semplicità relativa di un passato nazionale mezzo immaginario, e finiscono col sollecitare la necessità di formulare approcci internazionali a problemi internazionali come il cambiamento climatico e la prevenzione delle epidemie in tutto il mondo. Abbiamo visto come tali movimenti possano costruire muri tra le nazioni in un momento in cui abbiamo invece bisogno di un migliore coordinamento attraverso i confini nazionali per affrontare le questioni globali. Con progetti delle Nazioni Unite ma anche col lavoro di ONG nazionali e internazionali… Siamo vittime di una «complexiphobia» globale, una paura di ciò che è complesso. Ossia di una reazione comprensibile dinanzi a eventi spaventosi che ci assalgono in un mondo sempre iperconnesso e ipercomplesso, ma al contempo di una insostenibile, se non delirante, risposta ai problemi che ci riportano alla realtà del XXI secolo. Pensare che la realtà sia semplice non la rende per ciò stesso semplice. Un esempio: i cambiamenti climatici cambiano il mondo e con esso l’uomo. Chiediamoci quindi di quanta complessità noi esseri umani siamo cognitivamente ed emotivamente capaci. Credo che lo dovremo necessariamente scoprire presto. Che cosa mi preoccupa maggiormente, oggi? Sono preoccupato per il contagio della retorica apocalittica ascoltata ultimamente, da destra e purtroppo anche da sinistra, in reazione alle instabilità dei mercati. Il linguaggio apocalittico è spesso usato a fini di manipolazione usato per indirizzare le persone spaventate e in fuga verso una o l’altra direzione politica. L’isteria di massa non ci aiuta a trovare quelle innovative soluzioni tecniche o culturali di cui avremmo bisogno per affrontare in modo efficace questioni come la crisi energetica o la povertà assoluta. Non ho ovviamente consigli da dare, ma personalmente continuo a ammirare esempi non violenti e egualitari come Gandhi o Martin Luther King. Potremmo usare un tipo di leadership nazionale e internazionale simili alla loro, oggi, che nuove violenze e nuove disuguaglianze ci stanno prendendo alla sprovvista. Abbiamo bisogno di un livello di partecipazione di massa a livello della realtà materiale per supportare leadership che si ispirino a quei principi di eguaglianza e non violenza. Nonostante il grande disincanto… nutro ancora grandi speranze sul fatto che sia ancora possibile oggi, anche a fronte di un cinismo dilagante e la paura del futuro, mobilitare l’energia creativa e l’intelligenza migliore dell’Umanità, verso la realizzazione di un mondo più giusto e più equo. I prossimi grandi movimenti sociali in tal senso possono provenire da direzioni inaspettate e imprevedibili. Ma come mi disse tanto tempo con la sua un’anima bella una mia insegnante: “l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che la strada si incrina. Quando lo fa, è meglio essere agili nelle nostre risposte umane…”.

(fine)

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