Politica: rotti definitivamente i vecchi equilibri geopolitici… si fatica a capire qual è la direzione per costruirne altri, che siano più equi e solidali di quelli del passato e possano ristabilire un clima di Pace e un nuovo sviluppo più sostenibile…

Tutto si fa più complicato, difficile da comprendere, tornano situazioni del passato accantonate e non risolte, occorrono nuovi criteri interpretativi di ciò che accade per comprendere l’ampiezza del cambiamento geopolitico in corso… il ruolo  geopolitico dell’UE nella situazione data e rispetto agli orizzonti che si profilano… 

La guerra russa contro l’Ucraina subito dopo la pandemia di Covi-19 dimostra che l’Europa è ancora più in pericolo di quanto si pensasse solo pochi mesi fa… La brutale invasione russa dell’Ucraina non è solo un attacco non provocato contro un paese sovrano che si batte per i suoi diritti e la sua democrazia; è anche la più grande sfida all’ordine di sicurezza europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale. Sono in gioco i principi stessi su cui sono costruite le relazioni internazionali, non ultimi quelli della Carta delle Nazioni Unite e l’Atto finale di Helsinki. Le crisi tendono a cristallizzare gli sviluppi, e questo ha reso ancora più chiaro che viviamo in un mondo plasmato e costruito su una pura politica di potenza, dove tutto è armato e dove ci troviamo di fronte a un feroce scontro quotidiano di narrazioni. Tutte queste tendenze erano già evidenti prima della guerra in Ucraina; ma non le consideravamo adeguatamente, ora dopo l’accelerazione imposta dalla guerra russo-ucraina, ci rendiamo conto che anche le nostre risposte devono accelerare e in parte lo abbiamo fatto. L’Europa ha intrapreso un’azione rapida in tutto lo spettro politico e così facendo ha infranto diversi tabù: sanzioni senza precedenti e sostegno massiccio all’Ucraina, ivi compreso, per la prima volta in assoluto, il finanziamento della consegna di attrezzature militari a un paese sotto attacco. È stata anche costruita un’ampia coalizione internazionale per sostenere l’Ucraina, isolare la Russia e ripristinare la legalità internazionale. Da qualunque punto di vista la si guardi, la risposta dell’UE è stata impressionante,  anche se non è ancora abbastanza, con la guerra che continua il suo corso. Non sappiamo come e quando questa guerra finirà. Stiamo ancora navigando in una sorta d’ ‘interregno’. Ma possiamo già dire che la guerra in Ucraina del 2022 ha visto la nascita per quanto tardiva,  di una nuova UE geopolitica. Per anni, gli europei hanno discusso su come rendere l’UE più consapevole della propria sicurezza, con un’unità di intenti e capacità di perseguire i suoi obiettivi politici sulla scena mondiale. Nelle ultime settimane siamo probabilmente andati più avanti su questa strada di quanto fatto nel decennio precedente. Questo è sicuramente benvenuto, ma dobbiamo assicurarci che il risveglio geopolitico dell’UE si trasformi in una posizione strategica permanente. E a riguardo, c’è ancora molto da fare! Certo si tratta di pensare e agire anche per l’UE in termini di potere… ma non solo, perché sappiamo che ciò non basta e porta con sé il crescere di conflitti di difficile gestione. Tuttavia, a poco a poco, si stanno realizzando le condizioni perché questo accada. In primo luogo, c’è una crescente consapevolezza tra gli europei delle minacce che si trovano ad affrontare insieme e del grado in cui i loro destini sono legati. Oggi nessuno in Europa può credere o pensare che quello che sta succedendo in Ucraina non ci riguardi, non importa quanto siamo lontani dal dramma. Di conseguenza, il nostro sostegno all’Ucraina non è solo un atto di solidarietà, ma anche un modo di difendere i nostri interessi comuni e di agire per autodifesa contro un aggressore pesantemente armato che si mostra spietato. In secondo luogo, i popoli europei hanno raggiunto un livello di prosperità e benessere sociale senza precedenti, che l’adesione all’UE ha ulteriormente aumentato. Questo rende l’Europa un’area fondamentalmente pacifica costruita intorno all’idea di interdipendenza che genera prosperità e pace. Tuttavia, una delle lezioni della guerra in Ucraina è che l’interdipendenza economica da sola non può garantire la nostra sicurezza. Al contrario, può essere strumentalizzata contro di noi. Quindi dobbiamo essere pronti ad agire contro coloro che vogliono usare i benefici dell’interdipendenza per danneggiarci o fare la guerra. Questo è ciò che sta accadendo oggi. Introducendo sanzioni senza precedenti contro l’invasione della Russia in Ucraina, stiamo tentando di rendere alla Russia il costo dell’aggressione sempre più proibitivo… anche se le sanzioni producono poi contraccolpi anche alla nostra economia. Allo stesso tempo, dobbiamo migliorare ulteriormente la nostra resilienza e ridurre le nostre vulnerabilità strategiche, che si tratti di infrastrutture critiche, materie prime, prodotti sanitari o altri domini. In tutta l’UE, c’è un chiaro impegno a trarre le giuste lezioni da questa crisi. Questo implica che finalmente cominciamo a prendere sul serio le minacce ai nostri interessi strategici di cui siamo stati consapevoli ma poi non sempre abbiamo agito conseguentemente. Prendiamo l’energia. Sappiamo da anni che l’energia gioca un ruolo sproporzionato nelle relazioni UE-Russia e che la Russia ha usato l’energia come arma politica. Ora ci siamo mobilitati pienamente per tagliare la nostra eccessiva dipendenza dalle importazioni di energia dalla Russia (di petrolio, gas e carbone). In modo simile, la guerra in Ucraina sta rendendo più urgente un salto di qualità nella sicurezza e nella difesa dell’UE. Qui il punto principale è sottolineare che gli investimenti extra che gli stati membri dell’UE stanno facendo ora, dovrebbero comportare un maggiore coordinamento nell’UE e nella NATO. Non è solo che ognuno di noi deve spendere di più; è che dobbiamo spendere di più tutti insieme. La guerra in Ucraina è la più grave crisi di sicurezza in Europa da decenni, ma le minacce alla sicurezza europea provengono chiaramente da una varietà di fonti, sia in Europa che fuori. I nostri interessi di sicurezza sono in gioco nei Balcani occidentali, nel Sahel, nel Medio Oriente, nell’Indo-Pacifico, ecc. ecc. …mentre la guerra in Ucraina infuria ed esige i suoi tremendi tributi, non dobbiamo dimenticare che il mondo è pieno di situazioni in cui ci troviamo di fronte a tattiche ibride e dinamiche intermedie di competizione, intimidazione e coercizione. Infatti, in Ucraina come altrove, gli strumenti del potere non sono solo soldati, carri armati e aerei, ma anche sanzioni finanziarie o divieti di importazione ed esportazione, così come i flussi di energia, e operazioni di disinformazione e interferenza straniera. Inoltre, abbiamo visto negli ultimi anni la strumentalizzazione dei migranti, la privatizzazione degli eserciti e la politicizzazione del controllo delle tecnologie sensibili. Si aggiunga a questo la dinamica degli stati falliti, la ritirata delle libertà democratiche, con in più gli attacchi ai “beni comuni globali” del cyber spazio, dell’alto mare e dello spazio esterno, e la conclusione è chiara: la difesa dell’Europa richiede un concetto globale di sicurezza. Fortunatamente, sembra che ora ci sia una maggiore consapevolezza e accordo in Europa sulla natura delle minacce che affrontiamo, così come un processo di convergenza strategica su cosa fare al riguardo. Se vogliamo evitare di essere uno spettatore in un mondo modellato da e per gli altri, dobbiamo agire insieme. Un’Unione europea più forte significa anche un rapporto transatlantico più forte. E a questo punto della discussione ecco che esce una domanda: “Tutto questo è sicuramente molto bello, ma che ne sarà della NATO?” Ora la NATO rimane al centro della difesa territoriale dell’Europa. Nessuno lo mette in discussione. Tuttavia, questo non dovrebbe impedire ai paesi europei di sviluppare le loro capacità e condurre operazioni nel nostro vicinato e oltre. Dovremmo essere in grado di agire come UE in scenari come quello che abbiamo visto l’anno scorso in Afghanistan (in cui abbiamo dovuto assicurare un aeroporto per l’evacuazione di emergenza) o intervenire rapidamente in una crisi in cui la violenza minaccia la vita dei civili. Una maggiore responsabilità strategica europea è il modo migliore per rafforzare la solidarietà transatlantica. Non è o UE o NATO: è sia UE che NATO. Probabilmente le esitazioni ad andare avanti su questo progetto “a causa della NATO” provengono più dall’interno dell’UE, che non dagli stessi Stati Uniti. Agli Stati Uniti in fondo interessa: “una difesa europea più forte e capace che contribuisca alla sicurezza globale e transatlantica, aiutandoli a condividere l’onere della sicurezza”. Se non ora, quando? La guerra contro l’Ucraina ha reso chiaro che in un mondo dominato dalla politica di potere abbiamo bisogno come UE di costruire una maggiore capacità di difenderci autonomamente. Sì, questo include i mezzi militari, e dobbiamo tenerne conto sempre di più. Ma l’essenza di ciò che l’UE ha fatto in questa crisi è stata quella di utilizzare tutte le politiche e le leve che rimangono principalmente di natura economica e normativa come strumenti di potere. La buona notizia è che ogni giorno vediamo sempre più Stati membri pronti a investire di più nella sicurezza e nella difesa. Dobbiamo garantire che questi graditi investimenti aggiuntivi siano fatti in modo collaborativo e non in modo frammentato e nazionale. Dobbiamo usare questo nuovo slancio per assicurarci che, finalmente, ci dotiamo della mentalità, dei mezzi e dei meccanismi per difendere la nostra Unione, i nostri cittadini e i nostri partner. Dovremmo costruire su questo approccio, in Ucraina ma anche altrove. Il compito principale dell’”Europa geopolitica” è semplice: usare il nostro ritrovato senso di scopo e renderlo il “nuovo normale” nella politica estera dell’UE. Per proteggere i nostri cittadini, sostenere i nostri partner e affrontare le nostre responsabilità di sicurezza globale. Eppure, il fatto fondamentale rimane che la sicurezza e la difesa sono probabilmente l’area dell’integrazione europea con il più grande divario tra aspettative e risultati. Tra ciò che potremmo essere e ciò che i cittadini chiedono e ciò che effettivamente realizziamo. Gli europei, con buone ragioni, continuano a preferire il dialogo al confronto di potenza; la diplomazia alla forza; il multilateralismo all’unilateralismo. Ma se si vuole che il dialogo, la diplomazia e il multilateralismo abbiano successo, bisogna metterci forza e risorse. Ogni volta che lo abbiamo fatto in Ucraina, Bielorussia o con la nostra diplomazia del clima abbiamo avuto un impatto positivo. Mentre ogni volta che abbiamo optato per affermare semplici posizioni di principio senza specificare i mezzi per renderle efficaci, i risultati sono stati meno efficaci. Quindi noi europei dobbiamo “anche imparare a parlare la lingua della potenza”. Di conseguenza, dobbiamo dotarci della mentalità e dei mezzi per gestire l’era della politica di potere e dobbiamo farlo in scala. Questo non accadrà da un giorno all’altro dato chi siamo e da dove veniamo. Tuttavia, stiamo mettendo in atto gli elementi costitutivi necessari e che la crisi ucraina ha accelerato questa necessità… Già nel 2021 mostravamo di essere pronti ad adottare una postura forte per contrastare le aperte manifestazioni di politica di potere ai nostri confini orientali. Oltre al nostro sostegno all’Ucraina, si può indicare quello che è stato fatto sulla Bielorussia, dove si è tenuto duro anche sulla strumentalizzazione dei migranti, o sulla Moldavia, a cui è stato esteso il sostegno europeo. Inoltre, si è rafforzato anche il nostro approccio alla Cina e definendo come l’UE può rafforzare il suo impegno nella e con la regione dell’Indo-Pacifico. Sulla Cina, siamo diventati meno ingenui e abbiamo fatto il nostro dovere per contrastare la sfida dell’apertura asimmetrica con le nostre politiche di screening degli investimenti. Con la nostra strategia indo-pacifica, ci siamo impegnati in un processo di diversificazione politica, investendo nei nostri legami con l’Asia democratica. Centrale in questo sforzo è il lavoro dell’Europa sul Global Gateway. Il punto del Global Gateway è quello di costruire legami, non dipendenze. Infatti, molti partner africani e asiatici accolgono con favore l’approccio europeo alla connettività con la sua enfasi su regole concordate, sostenibilità e proprietà locale. Ma questo è un campo competitivo e c’è una battaglia in corso sugli standard. Pertanto, bisogna essere concreti e non limitare la posizione europea a dichiarazioni generali di principi e di intenti. Ai cittadini dell’UE non interessa molto chi fa cosa a Bruxelles, né le discussioni astratte. Non si preoccupano del numero di dichiarazioni che vengono fatte, o delle sanzioni che vengono adottate. Giudicano sui risultati, non sugli input. In altre parole, sui risultati: sono più sicuri o più prosperi grazie all’azione dell’UE. L’UE è più o meno influente, anche in termini di difesa dei nostri valori, rispetto a un anno fa? Abbiamo più o meno fiducia negli altri? Abbiamo ottenuto di più o di meno sostenendo i nostri partner? Queste sono le metriche che contano… Pandemia e invasione russa ai danni dell’Ucraina sono, in ordine di tempo, solo gli ultimi campanelli di allarme che mostrano alla società occidentale la necessità di avviarsi verso un nuovo modo di approcciare politica, mercati, sviluppo economico e finanza: cosa aspettiamo a uscire dai vetusti schemi comuni e operare con “criteri responsabili”?

Scrive sul Punto il Prof. Alberto Brambilla: “Pensavamo, agli esordi degli anni Duemila, di esserci lasciati alle spalle il Secolo Breve per dirla con Eric Hobsbawm, l’era dei grandi cataclismi ma anche dei “30 anni gloriosi”: le due guerre mondiali, l’epidemia della “spagnola”, la prima grande crisi energetica del 1973 causata dalla fine degli Accordi di Bretton Woods e la conseguente svalutazione del dollaro del 1973, l’inizio della guerra del Kippur e lo choc petrolifero, in parte conseguente a questi primi 2 eventi e in parte per la crisi in seno all’OPEC anche per i fatti di Libia, che portò alle stelle i prezzi degli idrocarburi e delle materie prime e da lì a un incremento generalizzato dei prezzi mentre i salari reali perdevano potere d’acquisto. No, purtroppo non ci siamo lasciati alle spalle un bel nulla, anzi abbiamo fatto finta di non vedere e, per dirla oggi con Mario Draghi, ci siamo “voltati dall’altra parte” quando la Russia di Putin ha intrapreso, con successo, le guerre in Cecenia tra il 1999 e il 2009 con il massacro al mercato di Groznyj, il bombardamento dei profughi, centinaia di morti civili, violenze, stupri e gravi violazioni dei diritti umani, come sentenziò nel 2021 la Corte Europea dei diritti dell’uomo. Abbiamo chiuso gli occhi quando nell’agosto 2008 Putin invase la Georgia e nel 2014 occupò la Crimea sottraendo questo territorio all’Ucraina. Non ci siamo neppure preoccupati quando Putin nel settembre 2015, a fianco del governo di Bashar al-Assad in Siria, bombarda e rade letteralmente al suolo Aleppo con migliaia di morti civili e consente al regime di Damasco, sconfitto, di restare al potere. Il così detto “secolo nuovo” ci ha portato anche una pandemia simile a quella del 1918 e lì abbiamo scoperto che, dalle mascherine ai gel, dai camici protettivi a tutti gli apparati medici per febbre, ossigenazione, pressione e così via, tutto proveniva dalla Cina. Ora tutti i problemi che le nostre società opulente, nel caldo delle loro case e con la “pancia piena”, hanno accuratamente evitato di analizzare (risolvere sarebbe pretendere troppo) si affacciano prepotentemente”. L’invasione dell’Ucraina è una dichiarazione di guerra ai nostri principi (non sempre attuati) di convivenza pacifica e rispettosa dei diritti sociali. Una presa d’atto della nostra grave dipendenza dalla Russia per gas e petrolio: per Italia e Germania oltre il 40% dell’intero fabbisogno. Capiamo oggi che la “grande globalizzazione” non ha portato solo vantaggi, prezzi bassi, aumento dei consumi al di là del necessario; ha portato dipendenze dalle produzioni russe e cinesi senza le quali la nostra filiera produttiva si ferma; ha indotto delocalizzazioni selvagge con gravi perdite occupazionali ed enormi costi per le forme di sostegno al reddito e per ridurre le sacche di povertà a carico di bilanci pubblici sempre più esausti e indebitati come quello italiano. Ora se vogliamo salvare la “nostra casa comune” dobbiamo intraprendere un nuovo ciclo i cui “ingredienti” principali sono la transizione demografica, che significa un invecchiamento della popolazione mondiale e in prospettiva una sua riduzione, la transizione ecologica e quella energetica. Affrontare questi grandi problemi, rinviati da troppo tempo, significa meno PIL, meno consumi e maggiore sostenibilità ma soprattutto una strenua difesa dei “valori universali non negoziabili”, quali la libertà di espressione, la democrazia e il rispetto della dignità umana. L’invasione russa dell’Ucraina, come prima la pandemia ci hanno suonato un enorme campanello d’allarme.  È giunto finalmente il momento del risveglio delle democrazie, il che significa impostare politiche economiche che nel giro di massimo due anni sottraggano l’Europa dalle forniture cinesi e russe: indipendenza energetica e industriale significano libertà e democrazia. Cosa aspettiamo a uscire dai vetusti schemi comuni e operare con “criteri nuovi e responsabili”?

E’ sempre tempo di Coaching! 

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