Politica: sempre più incredibile. la Sinistra vorrebbe sull’alleanza con i grillini, andare oltre e ricostruire il campo riformista. Ma, l’alleanza non c’è e oltre i grillini c’è solo la destra…

L’altro ieri, ho seguito il dibattito organizzato da ‘Italianieuropei’ con D’Alema e Amato, ma anche con Zingaretti, Renzi, Bettini, Franceschini, Speranza e Schlein. La discussione non ha certo risolto i problemi d’identità del Partito democratico… ma ha confermato che alcuni dei leader d’area (non mettetevi a ridere) considerano i Cinquestelle portatori di un «populismo gentile». Come dice la formula sui social, pare che la Sinistra debba ripartire dai Cinquestelle e dal governo Conte. Almeno a stare a sentire i grandi vecchi (anche quelli anagraficamente non tali) che Massimo D’Alema ha riunito intorno a un tavolo virtuale per parlare nientemeno che del “Cantiere della Sinistra”, tema del nuovo numero della rivista di Italianieuropei. Un ‘dibattitone’ con molti svolazzi di livello e altrettante chiacchiere non certo da bar, ma diciamo… da cena tra amici. I capi di un tempo (Massimo D’Alema, Giuliano Amato), i leader attuali (Nicola Zingaretti, Matteo Renzi, Dario Franceschini, Roberto Speranza) e uno a cavallo di due ere (Goffredo Bettini), con due intellettuali di diversa sinistra (Ida Dominijanni, Nadia Urbinati), con in più una giovane promessa (Elly Schlein), una mescolanza potenzialmente interessante di biografie, culture, tic: se non fosse che alla fine di questi dibattiti l’unica cosa chiara che viene fuori è che bisogna fare un altro dibattito… nel che sta, uno dei drammi della sinistra italiana. Dal punto di vista dell’attualità politica si è già detto e la si può chiudere qui: l’accordo con il M5s è stato non solo «giusto» (D’Alema) ma è addirittura «inesorabile» (Franceschini) ed è il «perimetro» attorno al quale lavorare (Speranza). Addirittura Franceschini, forse il più grande fan dei Cinquestelle, dice che da alleanza contro la destra deve diventare «qualcosa di più». Chissà se i 5Stelle entreranno nel centrosinistra, come minimo dovranno stare sulla soglia, altrimenti non si vince. C’è da chiedersi come tutto ciò sia compatibile con quanto sta accadendo in queste ore attorno alla questione Mes  (riforma del Mes ma non utilizzo del Mes sanitario messo nero su bianco) dove i Cinquestelle sempre più ingovernabili a se stessi… hanno portato per l’ennesima volta la maggioranza di governo di cui sono gran parte, sull’orlo dell’ennesima “crisi di nervi “. Domani il governo Conte 2, probabilmente passerà indenne il voto del Senato sulla risoluzione della maggioranza sul Mes, ma allo stesso tempo non è affatto sicuro – anzi – che raggiungerà la maggioranza assoluta sulla politica europea. Malgrado il dissenso di un gruppo di irriducibili antieuropeisti del Movimento Cinque Stelle il documento governativo, che assumerà il discorso che verrà pronunciato in aula da Giuseppe Conte, avrà certamente la maggioranza semplice (prevarranno i Sì sui No), ma molto probabilmente arrestandosi al di sotto della maggioranza assoluta (161). Dal punto di vista formale, tutto a posto, o quasi. Da quello politico, invece, vedremo un governo di minoranza che si regge grazie ad assenze “strategiche” o a eterogenei consensi di senatori esterni ai partiti della maggioranza. Colpita purtroppo dal Covid la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, e diversi ministri sono in autoisolamento, fra questi tre ministri senatori, il pallottoliere cambia di ora in ora. Quello che non cambia è lo scardinamento politico della maggioranza: ci fossero Berlusconi a palazzo Chigi e Napolitano al Quirinale sarebbe aria di crisi o quantomeno di una verifica della fiducia parlamentare. Ma che farà alla fine Sergio Mattarella? È vero che in passato altre volte mozioni governative sono passate a maggioranza semplice. Ma in un momento come questo non disporre di una maggioranza sulla politica europea seppure se solo in un ramo del Parlamento non sarebbe esattamente un bel biglietto da visita da sventolare al Consiglio Europeo di giovedì e venerdì prossimi: vaglielo a spiegare che in maggioranza ci sono dei sovranisti soi-disant di sinistra, insomma grillini di fede dibattistiana: cosa ci capiranno i francesi, i tedeschi, i danesi di un pasticcio all’italiana di questa fattura? Comunque la notizia sarà che il governo è in piedi. Indebolito però, e non tanto dai descamisados grillini minacciati finanche di espulsione, una roba da Romania negli anni del Conducator Ceaucescu, questa alla fin fine è tutta lotta interna al M5s. La questione è che il voto per il rotto della cuffia (grazie al soccorso della senatrice Mastella, del senatore Quagliariello et similia) cade nel bel mezzo di un’aperta contestazione da parte di Matteo Renzi, a voce alta, e del Pd, seppur a voce bassissima. E la contestazione è sintetizzabile con le parole di un deputato del Pd di prima fila: «Conte deve capire che i soldi del Recovery fund non sono suoi ma del più grande piano Marshall per l’Italia, a gestirli non ci deve mettere una cricca di consulenti ma il governo nel suo rapporto con il Parlamento». Il che significa né più né meno che accusare il presidente del Consiglio di “privatizzare” le scelte fondamentali a tutto vantaggio suo e del suo giro escludendone di fatto i partiti e i gruppi parlamentari della maggioranza, quelli che poi devono quotidianamente reggere l’urto di un’opposizione che per fortuna di Conte sa solo urlare (modello Salvini-Meloni) e non anche costruire un’alternativa (che è poi la ragione per cui non si va a votare). Insomma, si entra in una fase nuova e incognita. A gennaio tutto diventerà possibile. Anche niente – come spera Conte – in mancanza di idee e/o di coraggio politico. Politicamente è quindi una questione complicata da gestire, sia in Europa che in Italia, perché a questa crisi si aggiunge il malumore di Renzi e Zingaretti sulla gestione del Recovery fund. C’è un Zingaretti che non trattiene il recente fastidio per Giuseppe Conte, l’ex punto di riferimento dei progressisti, c’è Renzi seccato che sul Mes ci si stia calando le braghe. Ma resta il fatto che per mettere fuori gioco il sovranismo della destra è servito il patto con «il populismo gentile» dei grillini (quello nato a botte di vaffanculo), ha spiegato D’Alema. tirando le conclusioni del dibattito dell’altro giorno. Il quale (D’Alema) però stavolta, forse per inconsapevolmente ovviare al volare basso sull’attualità, ha provato a guardare oltre. Lo ha fatto lui, lo hanno fatto gli altri. Ma qui casca l’asino. Se Speranza (e anche Franceschini) ha fornito una chiave interessante – la pandemia ha creato una situazione nuova nella quale si indeboliscono le ragioni della destra e «il vento cambia» a favore delle ricette della sinistra; se insomma le vecchie bandiere del welfare, della difesa del pubblico, dell’uguaglianza, dell’europeismo possono tornare a sventolare; ebbene, non è affatto chiaro come politicamente ciò possa avvenire. Con quale infrastruttura politica. Con quale proposta di governo. Con quali leader. A tre decenni dalla fine del Comunismo e della Prima Repubblica la Sinistra ha un grande avvenire dietro le spalle. Perché davanti ha una terra incognita nella quale il tentativo di ricostruire «il senso e le forme» di una ritrovata autonomia della Sinistra (Bettini) si scontra con una evidente povertà di conoscenze e con una totale inadeguatezza degli strumenti politici a disposizione: le nuove frontiere della sfida – quale lavoro, quali istituzioni, quale formazione, clima, tecnologia, convivenza – appaiono fuori dal vocabolario concettuale dei vecchi capi. Infatti, ne hanno accennato, a loro modo, Renzi e Schlein, come a rendere esplicito un sentire diverso e più nuovo. Schlein, attenta alle contraddizioni del tempo nuovo e ai movimenti che sottostanno loro, in qualche modo e con qualche forzatura si è riconnessa alla lettura anticapitalista di Ida Dominijanni, firma storica del Manifesto e attenta lettrice dei movimenti della società, e questo per dire che sarebbe sbagliato contrapporre vecchi e giovani. Ci sono dei fili. Più robusti di quanto si pensi. Prendiamo Matteo Renzi. Cosa significa il fatto che Renzi sia stato invitato a questo consesso? Vuol suggerire che il tempo in cui era considerato un intruso nella storia della sinistra forse è alle spalle? Pur con tutte le intatte asperità della polemica politica quotidiana, Renzi non è solo un interlocutore, ma diviene, oggi, un soggetto di quel qualcosa di nuovo cui tutti anelano ma che nessuno sa specificare? Si dice (più che si nota) che anche Renzi da parte sua ha cambiato qualcosa del suo apparato concettuale: se prima escludeva il ‘clivage’, per dire più chiaramente negava la ‘scollatura’ destra-sinistra (nota la sua prefazione al classico di Norberto Bobbio), oggi al contrario la ripropone, probabilmente in conseguenza dell’indurimento sovranista e autoritario della destra al tempo di Trump… Solo che a quella dicotomia, il leader di Italia viva aggiunge quella interna alla sinistra, l’ormai famosa polemica sul fatto che Joe Biden ha vinto al centro, che comunque la si pensi è un tema reale perché obbliga la Sinistra a trovare il modo di far coesistere diverse sensibilità per sconfiggere una destra che rimane forte e forse maggioritaria… sì, certo, ma Renzi, più che un ripensamento politico sincero, rischia solo e sempre la riproposizione di sé stesso, dicendo (ma chiaramente così non è) il ‘Centro’ son io e voi, non siete un “xxxxx”. Poveretto!! «Inseguendo il 51, ci siamo persi il 20 per cento», dice D’Alema attaccando ancora una volta l’esperienza del Pd renziano e in controluce del Pd veltroniano, citando non a caso il partito leggero e «la lotteria delle primarie», un modello «che non ha funzionato e non funziona». E anche se non ha mai funzionato neppure nient’altro alla sinistra del Pd, eppure «ci siamo ancora, e così diamo voce alla Sinistra». Ma come darle gambe, non è ancora chiaro. Tanti partiti non vanno bene. Bettini allude alla «fondazione di una forza più ampia e unitaria»: un grande Pd? Forse, dice D’Alema che pure diede vita alla scissione di Articolo 1. Si può pensare a qualcosa che vada oltre, ma egli non parla apertamente di un partito unico mentre Schlein parla di «rete» fra i vari soggetti. Zingaretti è come al solito fiducioso ma – avverte: «non c’è molto tempo». In questo gigantesco booh! Alla fine, si è capito che non esiste ancora, una prospettiva concreta di una Sinistra con un grande avvenire dietro le spalle… e forse nemmeno di un “centrosinistra” (senza trattino) …ma soprattutto fuori da questo dibattito e dentro l’attuale Governo non c’è alcuna reale “alleanza” men che meno organica  tra Pd e 5stelle e quest’ultimi non sono nemmeno un “vaso di compensazione”  rispetto ai primi… così queste forze rischiano di essere insufficienti alla costruzione di un “nuovo centrosinistra” e di un campo largo riformista. La Sinistra dovrà quindi fare ancora mille altri dibattiti per cercare per l’ennesima volta la sua strada. I 5stelle così facendo dimostreranno solo: “l’ordine nel caos dei buchi neri” …e terminato il loro combustibile interno si spegneranno…

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