Politica: siamo tutti ben informati, ma tutti assai disorientati. È un problema culturale dovuto al venir meno della ‘narrazione’ nella società dell’informazione. Così la crisi della verità ci parla della crisi della Democrazia nei tempi del Postmodernismo…

La comunicazione nella società postmoderna…

Il concetto di postmoderno tenta di definire qualcosa di non completamente definibile e stabile. il Postmodernismo è caratterizzato da scetticismo, ironia, rifiuto delle grandi narrazioni e ideologie che furono del Modernismo, spesso lo fa anche mettendo in discussione vari presupposti della razionalità proclamata dall’Illuminismo. Riferito alla nostra società contemporanea, esso indica il superamento dell’era moderna, dominata da una profonda fede nella ragione umana e il suo primato sulla natura, nelle grandi ideologie del Novecento, nella centralità del fordismo e delle industrie nel progresso economico e sociale, nell’urbanizzazione e nelle scoperte scientifiche; questo è stato sostituito (non completamente, ma come elemento caratterizzante) da una condizione diffusa di insicurezza, d’indifferenza, dalla caduta di ideali e tradizioni e anche dal punto di vista materiale, viviamo una società in continuo movimento, governata da un frenetico progresso tecnologico che impone ogni volta nuovi adattamenti e lascia indietro coloro che non riescono a raggiungerlo. Questo è il risultato di una combinazione di diversi fattori; i sociologi sono divisi nelle loro opinioni: alcuni di loro pensano che sia una condizione completamente nuova, altri la vedono come una fase dello stesso modernismo, quindi non sono d’accordo con la definizione. In ogni caso, la crescente connessione tra uomo e tecnologia, specialmente negli ultimi decenni, è ciò che più caratterizza la natura e le forme della postmodernità nella nostra società; e in questo contesto, il ruolo della comunicazione ha raggiunto un’importanza fondamentale. Le teorie del complotto prosperano soprattutto in situazioni di crisi, che oggi non è solo economica o pandemica, ma anche soprattutto narrativa. La vera democrazia ha sempre più bisogno di quelle persone che osano dire la verità nonostante tutti i rischi: senza di loro, si scivola nell’Infocrazia. Bisogna prendere atto che le informazioni, da sole, non spiegano il Mondo. A partire da un certo punto critico, anzi, esse possono oscurare persino il Mondo. Ci avviciniamo sempre più all’informazione con il sospetto che le cose potrebbero anche stare diversamente. Essa è accompagnata da una sfiducia di fondo. Più ci confrontiamo con informazioni diversificate, più forte diventa la diffidenza. Nella ‘società dell’informazione’, perdiamo proprio la fiducia di fondo: così essa è divenuta una società della sfiducia. Per dirla oggi, con Byung-chul Han autore di “Infocrazia”: «La società dell’informazione rafforza l’esperienza della contingenza. All’informazione manca la stabilità dell’essere: La sua cosmologia è una cosmologia non dell’essere ma della contingenza. L’informazione è un concetto bifronte, dal volto di Giano. Come il sacro, ha un lato benevolo e uno spaventoso. Essa porta a una comunicazione paradossale perché riproduce allo stesso tempo sicurezza e insicurezza». Quindi, ai giorni nostri, l’informazione crea un’ambivalenza strutturale di base. Scriveva Niklas Luhmann (8 dicembre 1927- 6 novembre 1998; è stato un sociologo tedesco, che applicò alla società la teoria dei sistemi sociali e che ebbe anche un forte riscontro nel campo della filosofia) che: «Lo schema di base dell’ambivalenza assume di momento in momento nuove forme, ma l’ambivalenza rimane la stessa. È forse questo che si intende quando si parla di “società dell’informazione”?». Si sa che le informazioni sono sempre additive e cumulative. La verità, invece, è narrativa ed esclusiva. Esistono mucchi di informazioni o di spazzatura informativa. La verità invece, non forma alcun cumulo. Non è frequente. Per molti versi si contrappone all’informazione stessa. Elimina la contingenza e l’ambivalenza; elevata a narrazione, fornisce significato e orientamento. La ‘società dell’informazione’, invece, è quasi sempre vuota di significato. Come se solo il vuoto fosse trasparente. L’avvento di Internet ha completamente rivoluzionato, in pochissimi anni, non solo le modalità di informazione e di notizie, ma tutta la nostra vita. La sua incredibile velocità di crescita ha distrutto tutti i tempi e le barriere naturali, creando una nuova concezione dello spazio, che Manuel Castells ha definito nel libro: “La nascita della società in rete” come “spazio dei flussi“. Ciò significa che possiamo essere presenti, infatti, in piazze pubbliche affollate, dove conversazioni intime o formali, interazioni amichevoli o violente, persino affari e giochi hanno luogo veramente: la nostra società è passata oltre la dimensione reale, oggettivandosi nei social network. Fin dall’alba dei primi media, un processo simile stava iniziando, dato che il loro uso dava accesso negli anni a diversi tipi di informazioni e creava un’opinione pubblica sempre più estesa in grado di avere un’influenza decisiva sulle singole coscienze. Le differenze fondamentali tra comunicazione dopo e prima di Internet sono fondamentalmente due: la quantità e la qualità. Innanzitutto, la comunicazione non ha più limiti; se prima potevamo decidere quando iniziare e finire di essere in contatto con qualcuno, leggere, ascoltare o guardare notizie, la nostra realtà quotidiana è un continuo passaggio dallo spazio reale a quello fluttuante e in entrambi siamo immersi in ogni momento da immagini, notizie e messaggi commerciali, che anche se cerchiamo di ignorare, la loro continua ripetizione e onnipresenza attira come un vortice la nostra attenzione. Oggi siamo tutti ben informati, ma tutti molto disorientati. Le informazioni non hanno per loro natura alcun potere di orientamento. Anche il fact-checking più assiduo non è in grado di stabilire la verità, perché questa eccede l’accuratezza o la correttezza delle informazioni. La verità è in ultima analisi una promessa, come espresso nel detto biblico: «Io sono la via, la verità e la vita». L’idea di verità quindi misurabile in base al fatto che la pretesa di validità delle asserzioni è narrativamente riscattabile. Le affermazioni devono quindi poter resistere alle possibili contro-argomentazioni e trovare il consenso di tutti i potenziali partecipanti al discorso. La verità discorsiva come intesa e consenso garantisce la coesione sociale. Stabilizza la società riducendo la contingenza e l’ambivalenza. La crisi della verità è sempre una crisi della società. Senza verità, la società si disintegra internamente. In quel caso, è tenuta insieme solo da relazioni esterne, strumentali, economiche. Le recensioni reciproche, ad esempio, che oggi si praticano ovunque, corrompono le stesse relazioni umane sottoponendole a una commercializzazione totale. Tutti i valori umani oggi sono economizzati e commercializzati. La società e la cultura stanno diventando esse stesse mercificate. La merce sostituisce il vero. Anche se questo ha dato l’opportunità di essere in contatto ogni momento e ottenere informazioni dal vivo, il suo abuso ha di fatto incatenato le persone a sé, determinando una profonda perdita delle individualità e della capacità critica, molle fondamentali del nostro sviluppo; e questo uso estremo ha causato non solo l’incapacità di sfuggire al conformismo, ma una completa mancanza di difese dall’essere manipolati per interessi politici ed economici. Le informazioni o i dati da soli non illuminano il mondo. La loro essenza è la trasparenza. La verità in senso enfatico ha un carattere narrativo. Pertanto, nella società dell’informazione senza narrazione essa perde radicalmente il suo significato. La fine delle grandi narrazioni, che inaugura la postmodernità, si completa nella società dell’informazione. Le narrazioni degradano a informazioni. L’informazione è la controfigura della narrazione. I Big Data sono l’opposto della grande narrazione. I Big Data non raccontano. La ‘comunicazione digitale’ è ciò che rappresenta meglio la condizione postmoderna; nuove forme di discorso, nuovi tentativi di sfuggire alla solitudine con più distrazioni, essere connessi in ogni momento o siamo persi. Possiamo affermare, con Herbert Marcuse, che la dimensione sociale ha assimilato tutta la nostra vita, creando un “uomo unidimensionale” incapace di coltivare le proprie passioni e capacità per avere opinioni personali da far valere contro le dominanti. Questo è stato rafforzato dall’influenza dei media sugli individui, che è più forte che mai a causa dell’incredibile aumento dell’area sotto il loro controllo, poiché non possiamo mai fermare le notizie e le opinioni che ci bombardano continuamente. Riferendosi alla qualità, il messaggio che mandano è spesso confuso e le fonti delle notizie sono sempre più inaffidabili, poiché tutti possono nascondere la loro vera identità o falsare gli eventi senza alcun controllo. In questo tipo di situazione, il confine tra notizia e intrattenimento, così da ciò che è reale e ciò che non lo è, è collassato, e possiamo notare questo caos nelle definizioni idealizzate e mutevoli su casi di interesse pubblico: il linguaggio, l’ironia usata nei social network, segna uno standard di valori e interessi che nessuno è in grado di trascendere e questo ha causato un livellamento delle singole personalità e la conseguente paura di esprimere pensieri e opinioni non legittimate. In francese «digitale» si dice numerique. Il numerico e il narrativo, il conteggiabile e il raccontabile appartengono a due ordini fondamentalmente diversi. Le narrazioni creano significato e identità. Cosí, la crisi narrativa porta al vuoto di significato, alla crisi identitaria e al disorientamento. D’altra parte c’è un’enorme quantità di informazioni che non avevamo mai avuto prima, quindi abbiamo accesso a qualsiasi cosa di cui abbiamo bisogno, a partire dalla scienza e dal suo nesso con la democrazia, la cultura in generale, i luoghi, riferimenti o recensioni, e questo è molto importante per dare a tutti la possibilità di godere dei vantaggi di questo progresso, e se pensiamo quanto sia facile oggi comunicare da lunghe distanze in pochi secondi. Tuttavia, non possiamo  ancora dire che questa è di fatto una facilitazione delle nostre vite. Non siamo ancora in grado di dire se il reale effetto di questo continuo aumento della comunicazione digitale avrà risultati positivi nelle nostre relazioni (anche riferite a quelle tra nazioni, poiché la singolarità di questo processo riguarda la maggior parte dei paesi occidentali nello stesso modo) o se l’entusiasmo per esso stia nascondendo una semplice illusione dello stare insieme. Zygmunt Bauman, nella sua analisi della postmodernità, che preferì chiamare “modernità liquida” per il particolare carattere di incertezza e fragilità delle sue basi, ci ha allarmato sui rischi di questa degenerazione, per lui già in atto e in rapida diffusione tra le nuove generazioni. In effetti, la possibilità di evitare paure e limiti in questi modi impersonali di comunicazione senza affrontarli non aiuta una corretta definizione di sé e della personalità. È qui che le micronarrazioni delle teorie del complotto offrono un rimedio. Esse sono assunte come risorse identitarie e di significato. Questo è il motivo per cui si diffondono soprattutto nel campo della Destra, dove il bisogno identitario è particolarmente accentuato. Le teorie cospirative esistono da qualche secolo e nel corso della storia sono diventate spesso occasione di conflitti politici e sociali. L’impatto della pandemia di Covid 19, non ha portato altro che nuovo alimento al complottismo. Le teorie del complotto sono resistenti al fact checking perché sono narrazioni che, nonostante il loro carattere fittizio, fondano la percezione della realtà. Si tratta quindi di narrazioni fattuali. In esse la finzione si trasforma in fattualità. Ciò che è decisivo non è la fattualità, la fatticità della verità di fatto, ma la coerenza narrativa che la rende credibile. Nella teoria del complotto come narrazione, la contingenza viene fatta sparire. Le teorie cospirazioniste nascondono la contingenza e la complessità, che sono particolarmente gravose in una situazione di crisi. Come è successo nella crisi pandemica, le pure cifre come il «numero di casi» o l’«incidenza» aumentano l’incertezza di base, perché non spiegano nulla. Il mero conteggio risveglia un bisogno di narrazioni. Ecco perché la crisi pandemica è stato ed è un terreno fertile per le teorie della cospirazione. Con la loro spiegazione totale o menzogna totale, esse eliminano d’un colpo l’incertezza e l’insicurezza. Altrettanto succede con l’immigrazione o con l’economia… i numeri da soli non spiegano nulla, senza la narrazione degli eventi che i numeri determinano non abbiamo alcuna verità. Oggi si sta diffondendo un nuovo nichilismo. Non è dovuto al fatto che le credenze religiose o i valori tradizionali stiano perdendo la loro validità. Questo nichilismo dei valori, che Nietzsche esprimeva con “Dio è morto” o con la “trasvalutazione di tutti i valori”, è già alle nostre spalle. Il nuovo nichilismo è un fenomeno del XXI secolo. Appartiene alle distorsioni patologiche della società dell’informazione. Nasce nel momento in cui perdiamo la fede nella verità stessa. Nell’era delle fake news, della disinformazione e delle teorie del complotto, stiamo perdendo la realtà e le verità fattuali. L’informazione circola ormai, completamente scollegata dalla realtà, in uno spazio iper-reale. Si perde la fiducia nella fattualità. Viviamo quindi in un universo de-fatticizzato. In definitiva scompare, con le verità fattuali, il mondo comune a cui potremmo riferirci nelle nostre azioni. E la democrazia è sempre meno compatibile con questo nuovo ‘nichilismo’. Essa presuppone un parlar vero. Solo l’Infocrazia (che è una sorta di “prigione” da cui dobbiamo evadere. Proprio Byung-Chul Han racconta nel suo libro delle “nostre vite manipolate dalla rete”) può fare a meno della verità. Nella sua ultima conferenza, poco prima di morire, Michel Foucault si è dedicato al «coraggio della verità» (parresia), come se prevedesse l’imminente crisi della verità, in cui la volontà di verità va perduta. La «vera democrazia» è guidata (Foucault fa riferimento allo storico greco Polibio) da due principi, ‘isegoria’ e ‘parresia’. L’isegoria si riferisce al diritto concesso a ogni cittadino di esprimersi liberamente. La parresia, il parlar vero, presuppone l’isegoria, ma va oltre il diritto costituzionale di parlare. Essa permette a certi individui di «dire ciò che pensano, ciò che credono vero, ciò che credono veramente vero». La parresia obbliga quindi le persone che agiscono politicamente a dire ciò che è vero, a prendersi cura della comunità usando un «discorso ragionevole e vero». Chi parla con coraggio, nonostante tutti i rischi che comporta, pratica la parresia. La parresia crea comunità. È essenziale per la democrazia. Dire la verità è un atto genuinamente politico. La democrazia è viva finché si pratica la parresia: «Era allora evidente […] che la parresia era anzitutto legata al funzionamento della democrazia. […] La parresia fonda la democrazia e la democrazia è il luogo della parresia. […] [Esiste un] legame d’appartenenza circolare parresia / democrazia». La parresia come coraggio della verità, la «parresia coraggiosa» è l’atto politico per eccellenza. La vera democrazia, quindi, possiede un eroismo intrinseco. Ha bisogno di quelle persone che osano sempre ben oltre tutti i rischi dire la verità nonostante i pericoli per loro stessi. La cosiddetta libertà di opinione, invece, riguarda solo l’isegoria. Solo la libertà della verità dà origine a una vera democrazia. Senza di essa, la democrazia scivola quindi inesorabilmente nell’Infocrazia (Per Han il regime dell’informazione è quella forza di dominio nella quale i meccanismi della comunicazione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e intelligenza artificiale, i processi sociali economici e politici. Nel regime disciplinare, che si sta formando dentro l’infosfera digitale, gli esseri umani sono addestrati a diventare bestie da lavoro. Il soggetto sottomesso nel regime dell’informazione non è docile né obbediente. Piuttosto si crede libero, autentico e creativo: produce e performa se stesso. L’affermazione della propria opinione, sempre possibile e sempre sollecitata, annulla la piazza della democrazia, che è confronto e ragionamento, per fare spazio alla piazza digitale, che è soliloquio alla ricerca di like. Torna in qualche modo la volontà generale di Rousseau, che non è l’espressione faticosa dell’interesse collettivo tradotta in sintesi delle istituzioni della politica, ma diventa piuttosto espressione delle volontà individuali che si manifestano fuori dalla discussione pubblica. È dunque questa la Cultura nel Postmoderno? Scetticismo, ironia, rifiuto delle grandi ideologie e delle narrazioni  che furono invece tipiche del Modernismo, spesso mettendo in discussione anche vari presupposti della razionalità proclamata dall’Illuminismo. Tant’è che assieme al tempo del  Novecento (che chiude anche il secondo millennio) sembrerebbe definitivamente finito anche l’Umanesimo che ancora caratterizzava la seconda metà del secolo , dopo che nei primi 50 anni dello stesso si erano combattute ben due guerre mondiali. Umanesimo ai nostri giorni è considerata una parola per molti versi logora, sia perché ha una storia controversa sia perché, in epoca hi-tech, suona inevitabilmente un po’ vetusta, è diventata quasi una parola ‘placebo’, proprio per una umanità sempre più apprensiva. Però, il giudizio cambia se pensiamo che la nozione di umanità resta una parola chiave anche nel terzo millennio. In questo caso, l’Umanesimo (nato qui da noi nel 1400 alla fine del Medioevo e in parte sormontatasi col Rinascimento del 1500 e via via, in conseguenza alla centralità e esaltazione dell’uomo, si è andato evolvendo e nel 1700 nascevano altri due movimenti culturali, i quali basandosi anch’essi sui valori umanistici, quelli che semplicemente distinguono l’essere umano dalle bestie: i Sentimenti e la Ragione (che diedero lo sviluppo i primi al Romanticismo… mentre sul secondo sorse invece l’Illuminismo). Movimenti culturali, che hanno permeato tutto il tempo trascorso prima di noi e anche gran parte del nostro tempo. L’ Umanesimo può quindi rappresentare ancora l’orientamento filosofico che prova a comprendere e orientare il tempo anche nel terzo millennio? Tutt’altro che scontata la risposta, anche se l’Umanesimo è il movimento ideologico-culturale che afferma la dignità degli esseri umani e di questi tempi è sicuramente necessario. Infatti: «l’Umanesimo torna attuale  perché si è riaperto, in maniera drammatica e in forme del tutto nuove, anche qui in Occidente il problema della Condizione Umana».  Ecco il perché della ‘narrazione’: se l’informazione perde la ‘narrazione’ finisce che ci si scorda che siamo umani e che l’Umanesimo ha caratterizzato culturalmente la nostra Società dal Medioevo in avanti e può continuare ad orientarci anche in questo 21°secolo, primo secolo del 3°millenio…

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