Politica: Sinistra, un problemino per nulla semplice da risolvere. Il crollo dell’importanza del lavoro…

Terza parte…

Torniamo a ragionare di Sinistra e di Pd, per poi chiuderev sul Sindacato e le necessità per una nuova rappresentanza del mutato e mutante “Mondo del Lavoro”. Si è discusso molto negli ultimi anni e si continuerà a farlo ancora per un lungo periodo dell’identità del PD e della sua mancanza; di una visione di società futura. Ora, il modo più semplice e sicuro per recuperare un’identità di Sinistra è quello di esprimere idee su alcuni temi oggi sempre più essenziali l’ambiente, la pace, l’economia globale; ma bisogna farlo guardando avanti, con una prospettiva rivolta al futuro, cioè in una prospettiva almeno di medio periodo. Uno di questi temi essenziali è come fin qui detto, per l’appunto il Lavoro, sul quale in questo blog cerco di dare un mio personale contributo, ma che certamente non è l’unico. Sia chiaro a tutti, qui non propongo un partito del lavoro, propongo di ridare centralità al tema del Lavoro, che di questo tempo non è certo un’esclusività di un solo Partito… Alcuni di voi avranno letto sicuramente il ‘documento laburista’ firmato da Bentivogli, Ceccanti, Tonini. Amici che hanno colto il problema e hanno scritto un documento di politica del lavoro. In questo documento ci sono proposte sicuramente da considerare, ma ancora una volta si rischia di essere fuorviati e di tornare alla logica abituale… In Italia, ma per meglio dire in Europa e più complessivamente nel Mondo non si tratta solo di rivedere la politica del lavoro, ciò di cui c’è bisogno è una discussione politica che abbia nel suo DNA il Lavoro. Non si può fare politica del lavoro, se il dibattito politico prescinde da una adeguata coscienza del Lavoro nella sua cultura. E non dimentichiamo che è proprio dalla caduta dell’importanza del lavoro, che ha corrisposto una perdita di influenza della Sinistra. Cosa dovrebbe fare a riguardo il Partito democratico? Innanzitutto, esprimere a questo punto un documento fondamentale sul Lavoro (penso ai documenti fondamentali della SPD, come ad esempio quello di Bad Godesberg) anche in questo ultimo Congresso, non è stato fatto, ma dovrebbe essere l’oggetto principale di quella fase “ri-costituente”, che la nuova dirigenza dovrebbe attuare. In secondo luogo, se il partito deve rappresentare i lavoratori e rappresentarli, non significa organizzarli,  che lavoratori sono organizzati dai Sindacati, il Partito deve solo rappresentarli, il che significa essere un partito che ha nella sua coscienza collettiva il problema del Lavoro, che ha una presenza significativa di lavoratori nelle sue fila, che dimostra quotidianamente con la propria azione e il proprio modo di essere che cosa sostiene e da che parte sta. E un Partito di Sinistra deve essere in grado di produrre atti (legislazione e tutele) significativi che riguardino il Lavoro. In terzo luogo, occorre essere presenti fra i lavoratori. E là dove non ci sono forze sufficienti a livello di circolo, si operi a livello di zona, realizzando gruppi di lavoro che si impegnano su questo. Non gruppi di semplice studio: ma gruppi di pensiero e di azione. Per tenere vivo un rapporto costante, permanente, con le organizzazioni sindacali, rispettandone il ruolo autonomo, espressa in forma unitaria e non solo su problemi contingenti, ma soprattutto confrontandosi sulle prospettive, sui grandi problemi (ad esempio, promuovendo seminari periodici sulle questioni principali). Occorre lavorare autonomamente, ma parallelamente. Si tratta di un rapporto tra organizzazioni indipendenti, dove il partito deve esprimere le proprie opinioni, che possono anche divergere da quelle sindacali (ad esempio il partito dovrebbe esprimersi chiaramente a favore dell’unità sindacale). Andiamo verso le conclusioni. Ci sarebbero molti altri problemi da affrontare, sociali, culturali, relazionali, di cui almeno uno essenziale: l’economia e la ripresa dello sviluppo. È evidente che non si può pensare di risolvere i problemi del Lavoro senza un buon sviluppo dell’economia; il che significa affrontare problemi strutturali del nostro sistema produttivo: la presenza diffusa di piccolissime aziende a carattere familiare, la bassa produttività, l’arretratezza tecnologica e organizzativa di più della metà delle aziende italiane, i ritardi del Sud e così via. Sta cambiando rapidamente anche il ruolo dello Stato e della politica nell’economia: le sfide energetiche, delle risorse strategiche, della transizione carbon-free, dei cambiamenti climatici, stanno mettendo in discussione profondamente la globalizzazione per come è avvenuta e il rapporto tra pubblico e privato nell’economia. Il mondo del lavoro è dunque profondamente interessato a uno sviluppo che sia sostenibile. Possiamo avere forti critiche sul capitalismo, ma una cosa diversa sono le imprese. Il mondo del lavoro deve ricercare un’intesa col mondo delle imprese, purché non sfruttino e abbiamo un comportamento rispettoso sia della dignità umana che dei diritti sociali, sia dell’ambiente. Enormi sono i problemi da affrontare in un’economia mondiale dove sono presenti colossi enormi, le multinazionali, le grandi potenze economiche, di fronte alle quali rischiamo di fare la fine dei vasi di coccio tra quelli di ferro di manzoniana memoria. La concorrenza internazionale è una concorrenza sfrenata al ribasso estremo, “race to bottom”, causa prima del deterioramento generale delle condizioni di lavoro, non solo nel nostro paese, ma in tutto l’Occidente. È una battaglia dalle dimensioni gigantesche e occorrono tutte le forze disponibili per poterla affrontare con speranza di successo; per questo i Sindacati e la Politica tutta (…tutti i partiti) devono realizzare una seria cooperazione con le imprese, su una base di rapporti autonomi e chiari, ciò costituisce una forte necessità. Se non si affronta seriamente questa situazione, il rischio è che la forza di una concorrenza senza regole proceda progressivamente accrescendo le condizioni di lavoro fragili e precarie, a volte realmente servili. La posta in gioco è molto alta e decisiva. Per questo i lavoratori devono essere preparati e coscienti e avvertire che non sono tanti atomi, singoli, isolati, ma una realtà collettiva, un movimento del lavoro che può esprimere una forza reale sia nel difendere le proprie condizioni sia nel migliorare la società stessa. I Sindacati e la Sinistra devono ritornare a rappresentare i lavoratori, devono essere per loro un punto di riferimento, una guida sicura in mezzo alle traversie del tempo presente. È questa una funzione essenziale, primaria, che il Sindacato confederale e più in generale la Sinistra (i suoi Partiti) devono garantire. Troppi lavoratori comuni, operai, manovali, muratori, lavoratori delle pulizie (la categoria più numerosa), lavoratori dei servizi e delle cooperative, si sentono trascurati, abbandonati. E dalla stessa parte anche tanti altri lavoratori qualificati, tecnici, professionisti, ricercatori che fanno parte di settori avanzati, spesso internazionalizzati, che costituiscono una speranza per il nostro futuro… Per tutti i lavoratori, la prospettiva, deve essere ambiziosa; il popolo, la gente, non si muove, non partecipa se è senza alcuna prospettiva di miglioramento della propria condiiziona umana. La Sinistra deve guardare alla società con l’idea di poterla cambiare, di trasformarla per migliorarla, questo è il suo compito, la sua missione. Non può limitarsi a rispondere ai problemi che man mano si presentano (ieri la pandemia, oggi la guerra in Ucraina con le sue conseguenze): deve avere un’idea di cambiamento, delle idee concrete della società che si vuole realizzare. La democrazia non è un sistema statico, un punto d’arrivo: è una realtà dinamica, che si può e si deve cambiare. Una volta si parlava di democrazia progressiva; senza riandare a cose passate, è giusto pensare comunque a una democrazia più avanzata, più sostanziale. Anche perché, se non si lavora per una democrazia migliore, la democrazia non sta ferma, purtroppo va indietro, retrocede ed è ciò che in parte è già avvenuto e può ulteriormente accadere. Per questo il Pd deve ritornare ad avere una base sociale, deve ritornare a rappresentare i lavoratori. Per fare una legge basta il Parlamento, per cambiare la società occorre una forza sociale nel paese. Lavoro e democrazia sono strettamente intrecciati, quindi riportare il lavoro al centro del Partito democratico è un modo per renderlo più forte e più all’altezza di condurre le battaglie necessarie allo sviluppo della democrazia nel nostro paese. Nei paesi occidentali non si parla praticamente più di classe operaia, ma piuttosto di fine del lavoro, di addio al proletariato, di declino del Sindacato… E questo tramonto del soggetto storico deputato al cambiamento ha comportato un crollo generale dell’epopea e dell’impianto lavoristici. Non si può non concordare con l’affermazione di Axel Honneth, l’ultimo erede della Scuola di Francoforte, secondo cui da quando gli studiosi del lavoro hanno ritenuto che non esisteva più una classe operaia come soggetto del cambiamento della società, lo studio del lavoro è stato praticamente abbandonato. Venendo alla situazione attuale e sulla scorta dei temi richiamati vanno evidenziati alcuni nodi rilevanti al fine di una ricostruzione del valore lavoro e  sul ruolo possibile del sindacato oggi. Per la rivalutazione del lavoro, appaiono rilevanti tre questioni. 1. Il lavoro è una cosa sola con l’economia e la società. Non è possibile una società che vada bene, con un lavoro che vada male. E poi la trasformazione sociale di cui parliamo costituisce il bene comune di milioni e milioni di lavoratori, miliardi oggi, che aspirano a una condizione civile e dignitosa e non si capisce come realizzarla senza il loro coinvolgimento, in quanto diretti interessati. 2. Il lavoro è cambiato e almeno nei suoi punti più sviluppati richiede una maggiore partecipazione personale dei lavoratori, mentre d’altra parte si è esaurito il ruolo dei partiti guida. Siamo oggi di fronte a una manifestazione esplicita di soggettività, il che induce a pensare che la trasformazione sociale non possa avvenire senza l’opera delle persone stesse. Ciò costituisce un recupero non solo formale dello storico programma del movimento dei lavoratori: “L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi”;  e  del Sindacato, in quanto associazione di lavoratori, dove i lavoratori sono i protagonisti e l’organizzazione fornisce loro la cultura e i mezzi per esprimersi. 3. Il nuovo lavoro è un lavoro partecipato, ma non si può partecipare da soli. Se nel lavoro astratto il ruolo del lavoratore era insignificante, ora invece diventa rilevante e ciò comporta sia la cooperazione con gli altri lavoratori, sia l’accordo a livello di impresa tra imprenditori e lavoratori per poter esprimere questa possibilità. Si apre, su una base strutturale e tecnologica nuova e favorevole, la possibilità di una reale cooperazione tra lavoratori e imprenditori in azienda. Del resto il problema odierno delle fabbriche italiane non è tanto un problema di tecnologie, quanto di organizzazione del lavoro, cioè del migliore utilizzo delle persone. Corollario indispensabile è l’investimento sia delle imprese che del Sindacato nell’accrescimento costante della conoscenza dei lavoratori. Al giorno d’oggi, ogni lavoro è importante, anche quello domestico o, per riferirci alla realtà odierna, i molti lavori svolti da indipendenti e precari, e cade dunque una distinzione tra lavoratori più importanti e meno importanti (piuttosto sarebbe opportuno aprire una discussione su quello che Ivan Illich chiamava “lavoro ombra”, quell’ampia fascia di lavoro mal pagato e sfruttato, che contribuisce largamente al benessere generale). Ciò comporta anche un superamento della rigida tradizionale divisione in lavoratori dipendenti e indipendenti, essendo tutti produttori di valore, e con questo anche la possibilità per il Sindacato di non limitarsi alla difesa dei “salariati”, ma di rappresentare tutti i lavoratori (senza doverli fare rientrare a tutti i costi nella categoria dei “salariati”). È significativo in proposito che il prestigioso Istituto internazionale di storia sociale di Amsterdam,  oltre che una imponente mole di documentazione storica sul movimento operaio – abbia deciso da qualche anno di non limitarsi allo studio della classe operaia, ma di allargare la propria visuale a ogni tipo di lavoro, di ogni epoca e di ogni sistema economico-sociale. Questo cambiamento di prospettiva consente una visione più ampia del lavoro e dunque di comprendere meglio il lavoro che si svolge nel mondo, la maggior parte del quale è molto lontano dai nostri standard. Il sindacato ha quindi di fronte compiti inediti per i quali deve rinnovarsi. Delineati alcuni tratti essenziali di un’idea “politica” del lavoro per il presente e per il prossimo futuro, è bene soffermarsi ulteriormente sul Sindacato, in quanto soggetto primario di rappresentanza dei lavoratori. Compito fondamentale del sindacato, anche più delle rivendicazioni salariali, è la difesa e la valorizzazione del lavoro, perché in esso il lavoratore possa esprimersi liberamente, consapevolmente, responsabilmente. È questa una condizione essenziale di democrazia (oltre che di buona convivenza); l’esperienza passiva e negativa del lavoro è causa costante di rivalse e di risentimenti, anche tra generazioni, che si proiettano sulle altre dimensioni di vita e negano il futuro. E come noto questo costituisce un punto debole delle nostre democrazie (dove la democrazia politica fa a pugni con la democrazia economica) Il tema diventa tanto più importante oggi in una fase di non sviluppo o di scarso sviluppo: se il compito fondamentale del Sindacato dal dopoguerra  e per la seconda metà del Novecento è stato quello della distribuzione del reddito, questo ruolo si presenta già ora, e tanto più per il futuro, fortemente ridimensionato. Si svilupperà necessariamente un ruolo diverso nei confronti del lavoro: come incrementarlo, come diffonderlo, come ridistribuirlo (anche con una riduzione dell’orario di lavoro non generalizzata, ma connessa agli aumenti di produttività).  In termini di economia classica si può parlare di un passaggio da un ruolo “distributivo” a un ruolo “produttivo” (di ogni genere di beni, di servizi, di attività). Certamente il lavoro non è tutto; parlare dell’impegno per un lavoro cosciente e responsabile è parlare di un fattore essenziale per il sistema democratico, ma molta vita oggi si svolge fuori dal lavoro e in modo indipendente da esso. È bene che questo avvenga, non come fuga da un lavoro considerato pura necessità di guadagno, ma perché si sviluppino altre possibilità e dimensioni umane (che fra l’altro spesso hanno una ricaduta sul lavoro). La situazione attuale – dove la conoscenza tende ad avere un’importanza sempre maggiore e dove la dimensione dei problemi è ormai quella mondiale – si presenta come una condizione ideale per il rilancio di uno storico obiettivo del movimento operaio: quello di associare alla riduzione dell’orario di lavoro (obiettivo da rivalutare, ma non in modo retorico e populista) un programma di diffusione della cultura: cultura del lavoro, cultura sociale, politica, internazionale. Purtroppo tanto i lavoratori, quanto i sindacati e i partiti sono stati assorbiti pressoché esclusivamente dalla spirale dei consumi, trascurando l’impegno per un’elevazione culturale che qualificasse l’impegno sociale. Un solo esempio “culturale” macroscopico: qui la politica internazionale delle imprese non è fatta dalla Confindustria, ma dalle migliaia e migliaia di imprese che esportano, che hanno sedi e filiali all’estero, venditori e corrispondenti in altri paesi. Nulla di tutto questo nel sindacato dove sopravvivono striminziti uffici internazionali e la stessa Confederazione internazionale sindacale ha una sede e una forza organizzativa inferiore a una media Camera del lavoro. Il risultato è che quarant’anni fa la cultura di un sindacalista era pari a quella di un imprenditore medio; oggi abbiamo un dislivello negativo impressionante, un vero baratro. Per queste varie ragioni il sindacato deve decidere oggi un massiccio programma culturale rivolto ai lavoratori e anche al suo interno (all’interno esemplificando: assunzione di sindacalisti con conoscenza dell e lingue estere e dell’informatica, avere un programma “Erasmus sindacale”, 150 ore di massa dedicate all’informatica, educare i lavoratori a girare il mondo non solo per turismo ma per conoscere le condizioni dei lavoratori degli altri paesi ecc.). Non si tratta naturalmente di indottrinare ma, nella massima libertà, avanzare proposte che valorizzino forme di cultura e di impegno sociale dei lavoratori. I problemi attuali sono complessi e non sono affrontabili da una “base” che si limiti a denunciare le contraddizioni e a protestare: occorre una base che sia messa in grado di realizzare una forma di democrazia come partecipazione qualificata. Questa rappresenta un’altra sfida decisiva per il sindacato. Infine va affrontata dal sindacato, con determinazione, la problematica internazionale. A questo livello, dove si giocano oggi la maggior parte delle decisioni importanti, il sindacato è praticamente assente (se si esclude la contrattazione in alcuni settori peculiari, marittimi e petrolieri). Così in campo internazionale si gioca una partita che è persa in partenza, perché è presente una squadra sola, e come dice un proverbio siciliano: “Chi gioca solo non perde mai”. La squadra vincente è quella liberista costituita dall’insieme delle organizzazioni internazionali (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale del commercio…) e dai grandi poteri economici delle multinazionali e della finanza. L’altra squadra, quella riformista, è assente, perché dovrebbe essere costituita dai movimenti dei lavoratori, dalle realtà sociali, democratiche e popolari, ma non sono state ancora convocate e non sono organizzate. Questo è il movimento da costruire; un grande movimento che, per incidere sul piano mondiale, deve possedere una forza (morale) attrattiva non inferiore a quella che per oltre un secolo ha sorretto il movimento operaio. Questo movimento oggi, per la dimensione degli obiettivi non può essere costituito solo dal movimento dei lavoratori; deve unire, su un piano di parità, tante altre forze che in vari campi e con diversi contributi si muovono nella stessa direzione È questo anche il motivo che spiega la non necessità di un “partito del lavoro” o di qualcosa di simile. Occorrono piuttosto forze politiche che sappiano essere momenti di connessione di queste forze diverse – compito da svolgere non per auto-elezione o con un ruolo di superiorità – ma per capacità di proposte e obiettivi che siano unificanti e apportatori di mete ricche di umanità. Naturalmente c’è anche un grande bisogno di pensiero, ma se si mette in moto il movimento nella giusta direzione e nella forma adeguata, le idee buone si trasmettono velocemente e si trasformano altrettanto rapidamente in intese e azioni comuni. Il pensiero e l’azione in campo sociale marciano sempre uniti, l’uno facendo premio sull’altro: non avanza il pensiero, se non avanza l’esperienza reale e viceversa…

(fine)

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