Qual è il vero welfare italiano per i giovani?

Sono padre di due splendide ragazze …forse è meglio che dica Donne, altrimenti …potrebbero tirarmi le orecchie. 28 anni la prima, va per i 20 anni la seconda. L’una laureata con un 100 e lode l’altra dopo una maturità (96/100) acquisita in un buon liceo linguistico della nostra città… è matricola universitaria della facoltà di Lingue Straniere,  con un indirizzo in relazioni  internazionali. Sta aggiungendo Arabo a inglese, francese e spagnolo lingue che già parla fluentemente.
Sono padre, ma ho l’età di un nonno, avevo già più di quarant’anni quando è nata la mia prima… Ecco perché sono ben orientato a rispondere ad una domanda ormai ricorrente: “Come può oggi un pensionato, che magari mantiene un figlio o un nipote disoccupato, vivere con sua pensione?” Già, quante volte abbiamo sentito questa frase un po’ ovunque al bar, sul treno, per strada? Un interrogativo che fa il paio con quello, ben più classico: “Come fa un padre di famiglia con moglie e figli a carico…” ecc. ecc. copertinanumero
Quella della dipendenza, del/dei figlio/i rispetto al padre e anche quello della moglie rispetto al marito, un tema che in Italia raggiunge una grande dimensione economica, anzi possiamo dire che costituisce l’economia stessa del nostro Paese. In quanto è conseguenza e allo stesso tempo effetto dei record negativi che deteniamo da molto prima della crisi economica nel campo dell’occupazione femminile o giovanile.

La crisi finanziaria ed economica e conseguente la recessione sembra non avere poi avuto un grande effetto su queste statistiche, perché ben poco si erano evolute anche nel periodo precedente di (già debole) crescita.

Si guardi per esempio la Spagna, invece. La conseguenza ovvia è un tasso di occupazione generale strutturalmente più basso di quello dei principali partners europei. D’altronde decenni di rinnovi dei contratti solo a chi era occupato, con partiti e sindacati concordi, con un conseguente costo del lavoro che rimane per quel che riguarda il fisco quello che più è aumentato dal 2000, hanno disincentivato le assunzioni e ci hanno regalato un tasso di occupazione che era appena sopra il 50% (il 51% nei primi anni ‘80) anche quando crescevamo del 4%. Sono dati noti, cose trite e ritrite forse, il problema non sta tanto nella statistica stessa, che è conosciuta, ma nell’atteggiamento degli italiani e dei governi di fronte al fenomeno.  E’ quello del crogiolamento.welfare_del_futuro_fig_vol1_101800_016

Amiamo crogiolarci nel nostro modello sociale ed economico, difendendolo, perpetuandolo, convinti che in fondo sia intrinsecamente giusto, che i tassi d’occupazione di cui sopra, il 62,5% di giovani che vive con i genitori (dati Sidief – Nomisma – Censis), il 53% di donne che non lavora, siano dovuti o a qualche accidente esterno, che sia la speculazione internazionale o la Merkel, o all’azione insufficiente dei governi. La seconda ipotesi è quella più esatta, naturalmente, e però dai governi l’opinione pubblica ormai si aspetta un tipo di azione che alla fine inevitabilmente andrà a rafforzare, e non a combattere quello schema vecchissimo. E i governi felicemente assecondano queste pulsioni profonde.

Sono quelle che chiedono di “mettere soldi nelle tasche degli italiani” che già hanno un reddito e, delle entrate, di aumentare gli stipendi ai “padri di famiglia”, perché possano così aiutare chi da loro dipende.

7 miliardi sono gli euro che la legge di Stabilità prevede per i pensionati nei prossimi 3 anni, tra anticipi pensionistici gratis per chi prende meno di 1350 euro lordi (più di quanto un giovane al primo impiego può in media sperare), e 14esime, assegnate a livello individuale senza guardare al nucleo familiare. Ora i padri e i nonni potranno quindi assistere figli e nipoti, cui è stato tolto anche l’incentivo della decontribuzione, l’unico provvedimento cui si deve l’aumento di più di 700 mila unità dei contratti a tempo indeterminato nel 2015 (dati INPS), con un picco, guarda caso, a dicembre, visto il più che dimezzamento degli incentivi nel 2016. Nel 2017 la decontribuzione sarà annullata, se non per i 50 milioni destinati ai pochi neo-diplomati e neo-laureati che hanno aderito agli stage formativi previsti dalla Buona Scuola. Una cosa di nicchia insomma, a confronto dei 6 miliardi stanziati per il 2015, comprendendo le deduzioni IRAP sui dipendenti, e degli 8,3 e 7,8 miliardi per il 2016 e 2017, a beneficio però delle assunzioni del 2015-2016. Questi sono i dati della CGIL, che critica fortemente tale esborso di denaro, meglio destinare 10 miliardi annui agli 80€ evidentemente, quelli che vanno a chi già ha un contratto di lavoro, quelli che “hanno una famiglia da mantenere”, e che da essi dipende. Sulla stessa linea le risorse stanziate per il rinnovo del contratto degli statali.tasso-occupazione

E lo stesso leitmotiv ha guidato l’abolizione della TASI nel 2016, per cui sono stati spesi circa 5 miliardi. E’ il trionfo dello status quo insomma. Se non c’è lavoro per i giovani e per le donne, meglio aiutare chi li sta mantenendo, piuttosto che incentivare la creazione di nuovi posti per loro. Meglio dare 80€ a 10 persone che 800€ a un nuovo assunto, a dispetto dell’evidenza che vedrebbe quest’ultimo aumentare i consumi molto più dei primi. Il retro pensiero è condiviso in fondo anche da coloro che dovrebbero ribellarsi. La maggioranza delle donne italiane non lavora, si deve andare in Paesi islamici vicini e lontani per trovare una statistica simile, eppure la reazione del governo (appoggiata appunto dall’opinione pubblica) ora pare diretta verso l’introduzione del quoziente familiare nel 2018. Una misura su cui ci sarebbe molto da dire, ma che oggettivamente favorisce soprattutto i redditi alti e che, come bene sanno in Svezia, che lo abolì a suo tempo, rappresenta un disincentivo al lavoro femminile e favorisce invece il lavoro nero, due cose di cui in Italia più che altrove non sentiamo certo il bisogno, oltre che, ancora, una cultura e un’economia della dipendenza verso i pochi con un reddito stabile. Diciamocelo francamente… è il nostro un piccolo mondo antico rassicurante quello che anche il governo Renzi corteggia, fatto di lavoratori dipendenti, proprietari di casa, pensionati, famiglie tradizionali. Peccato che nonostante questo mondo rimanga maggioritario, sia in continuo declino. L’ISTAT mostra bene come aumentino le famiglie con un solo componente, sia occupato che disoccupato, e calano quelle pluri-componenti con solo l’uomo al lavoro, come pure quelle con due stipendi. Il risultato di decenni di politiche analoghe a quelle che riempiono le pagine della legge di Stabilità 2016/2017 oggi non hanno modificato in meglio il panorama della società, come si vede, e anche prima della grande crisi, nel 2009, si poteva osservare come i 30enni nati nel periodo 1970-79 non fossero più occupati e neanche più studiosi dei coetanei di 20 anni prima. La percentuale di esclusi, di coloro che dipendono dalla mancia e dal reddito di chi ha un lavoro o una pensione, è aumentata. E’ come una maledizione, un destino di decadenza in cui una parte della società, quella più giovane e con più potenzialità, è solo un percettore di trasferimenti monetari, e non può osare investimenti, consumi diversi e innovativi, essere protagonista. giovaniE’ un caso del resto se siamo il Paese europeo in cui l’e-commerce e l’economia legata all’IT più stenta a decollare?

Destinare le poche risorse disponibili a una decontribuzione strutturale delle nuove assunzioni, a un taglio massiccio del cuneo fiscale però rende poco in termini politici, meno delle briciole gettate qua e là in tagli da meno di un miliardo alle varie categorie, molto meno degli interventi sulle pensioni che con il loro buon odore vintage anni ‘70 confortano tanti italiani in questo autunno infinito.

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