Quirinale: ancora in campo Draghi. Ma oltre al pur possibile scambio Silvio per Sergio… lo scenario prospetta sorprese fin anche all’ipotesi del bis di Mattarella…

Non c’è dubbio, il presidente Mattarella ha ampiamente motivato il suo “no” a un bis. Ma in molti si chiedono cosa farebbe, davvero, se l’Italia si trovasse sull’orlo del burrone e se alla fine il suo nome fosse riproposto proprio dal leader di Forza Italia, con una capriola da candidato King a semplice kingmaker? Che nel buio che ancora c’è su chi salirà al Colle l’unica cosa relativamente chiara è l’ennesima scesa in campo di Silvio Berlusconi e questa la dice lunga su come è messa la partita del Quirinale a sette giorni dalla prima votazione. Peraltro, si tratta di una fiammella che può anche spegnersi presto, o al massimo dopo le prime quattro votazioni. Per il resto, continuano i veti incrociati, i dubbi, le antipatie, i doppi giochi… E ogni scelta porta con sé le proprie controindicazioni. I suoi punti deboli. Persino il nome più forte, quello di Mario Draghi, rischia di far ruzzolare l’Italia nel burrone del non governo – governicchio o elezioni, o tutt’e due – per di più in un anno cruciale: si fanno scenari su un eventuale nuovo governo ma nessuno sa ipotizzare con chiarezza chi ne sarebbe la guida. L’Europa è tornata a guardarci con enorme preoccupazione. L‘Italia è di nuovo finita sul ciglio di un burrone e anzi questo sarebbe persino più profondo di quello del 2013, quando in Parlamento c’era una buona maggioranza di centrosinistra sfarinatasi per insipienza dei suoi dirigenti che portarono al macello prima Franco Marini e poi Romano Prodi e fu per questa ragione che fu rieletto Giorgio Napolitano che escludeva un suo bis e si infuriò poi con il Pd per il disastro che aveva combinato. Stavolta, come ha detto Enrico Letta, il Parlamento è «una somma di tante minoranze»: che è una premessa forte per un’impasse micidiale. Dunque? Salvini (ma, non la Lega) ha la necessità di andare definitivamente oltre il Papeete. L’obiettivo principale per lui è far saltare il patto tra gli interessi convergenti di Letta, Conte e Meloni. Come molti altri leader in passato, a un certo punto Matteo Salvini sembrava inarrestabile, ma a causa della sua tracotanza e superbia, il capo leghista ha collezionato un elenco di errori politici uno dietro l’altro che lo hanno relegato ad un modesto ruolo di secondo violino di Giorgia Meloni. La partita del Quirinale è quella che potrebbe riscattarlo da un destino di gregario, a patto che Salvini cominci a ragionare con la testa sulle spalle, non esattamente la specialità di un leader solitamente mosso da istinti primordiali. L’indole di Salvini, però, potrebbe trarre vantaggio dalle grandi manovre di Giorgia Meloni, la quale vuole andare alle elezioni anticipate per capitalizzare la sua opposizione solitaria al governo e il ruolo di leader della destra assegnatole dai sondaggi. Per questo, c’è chi accenna la possibilità di un’intesa con Enrico Letta che ha aspirazioni uguali e contrarie, la leader di Fratelli d’Italia sa benissimo che la via più diretta per assicurarsi il primato della destra è quella di far traslocare Mario Draghi al Quirinale e correre al voto. E l’ipotesi di Draghi Presidente della Repubblica metterebbe dunque in difficoltà Salvini, il quale sarebbe costretto a uscire precipitosamente dal governo, assieme a Berlusconi, a mettersi in fretta e furia in modalità elettorale, ma partendo da una posizione di debolezza rispetto all’integerrima linea antigovernativa di Meloni. Insomma, Salvini dovrebbe aggirare l’improbabile asse Meloni-Letta ed evitare che siano i Fratelli d’Italia a dettare i tempi della scadenza elettorale e i temi della campagna politica nazionale. Per farlo, è necessario che Salvini cominci a fare politica, anziché aspettare con atteggiamento malmostoso di capire la direzione del vento, col rischio di restare col cerino in mano. Ma c’è la questione Berlusconi, ovviamente, al momento il candidato ufficiale di tutta la destra unita, cui spetta la prima mossa grazie alla maggioranza relativa dei Grandi Elettori. Ma mentre Meloni ha già il suo piano B, che poi è il piano A che converge verso le attese di Letta per eleggere Draghi, Salvini non ha ancora esplicitato il suo vero progetto, ammesso che ne abbia uno, anche se parecchi retroscena raccontano di una possibile convergenza con Matteo Renzi per individuare un candidato appetibile sia per la destra sia per il centrosinistra, qualcuno tipo Pierferdinando Casini, già co-leader del centrodestra degli albori e attuale senatore del Pd eletto addirittura nella Bologna rossa su indicazione di Renzi. Insomma, Salvini ha bisogno di tornare protagonista e per farlo deve trovare una soluzione credibile per il Quirinale, magari assieme all’ex sodale Luigi Di Maio che sul suo fronte ha un problema simile a quello del leghista, ovvero sabotare ogni iniziativa del suo rivale interno Giuseppe Conte. Il rebus Quirinale oggi è guidato dall’aritmetica, ovvero dal vantaggio numerico del centrodestra tra i Grandi elettori, ed è appeso alle bizze berlusconiane o, magari, a un colpo di teatro dello stesso Cavaliere nel caso si rendesse conto dell’impossibilità di farcela. Ma per orientarsi sul tipo di partita che si sta giocando, bisogna guardare con attenzione la sfida tra gli interessi convergenti di Letta, Conte e Meloni e quelli di Salvini, Renzi e Di Maio… Ma che bel ‘casino’, cosa fare per evitarlo? Ecco così spiegata, la ragione principale per la quale le quotazioni di una nuova elezione di Sergio Mattarella (applaudito alla Scala al ritmo di: “bis, bis, bis”) non decrescono, tutt’altro, malgrado le ben note argomentazioni a contrario portate dallo stesso Capo dello Stato. È innanzi tutto sbagliato pensare al Mattarella bis come a un mandato di breve periodo, e non solo per una questione di riguardo personale e istituzionale, ma soprattutto per una ragione politica: come ha scritto Marco Damilano sull’ultimo numero dell’Espresso un nuovo mandato a Mattarella dovrebbe essere conferito «non solo in nome dell’emergenza ma anche per una ragione di sistema: per cambiare il sistema e non lasciarlo così com’è». Un secondo mandato, dunque, non tanto per evitare il burrone ma per dare impulso a quella stagione riformatrice in campo istituzionale che questa legislatura ha totalmente eluso, a meno che non si voglia considerare il taglio del numero dei parlamentari una riforma e non un ulteriore problema. E qui torniamo a Sergio Mattarella. Nell’importante discorso dell’11 novembre molto citato per il riferimento alla proposta di Giovanni Leone di escludere esplicitamente la possibilità di un secondo mandato, il presidente della Repubblica ha pronunciato una frase forse non ben valutata: «Nella vita di ogni comunità – e quella politica non fa eccezione – si manifestano momenti di difficoltà, di incomprensione, di stallo, in cui la nave sembra rifiutarsi di proseguire, le macchine paiono smettere di funzionare. Questo, naturalmente, applicato alla vicenda politica può portare a conseguenze imprevedibili». Siamo dunque alla presa in esame della possibilità di un default istituzionale ma anche morale attraverso parole che, pronunciate da un uomo che ha un altissimo senso dello Stato e della stabilità del sistema democratico, fanno riflettere: e se davvero «le macchine smettessero di funzionare»? Se cioè il sistema s’ingrippasse sotto il macigno della inadeguatezza della classe politica, quali potrebbero essere le «conseguenze imprevedibili»? Difficile, qui non scorgere il rovello che si agita nella coscienza del nostro presidente. Come ha scritto uno dei quirinalisti più attenti, Ugo Magri, il capo dello Stato sarebbe contrario a una rielezione anche se dovessero chiederglielo tutti ma – ecco la domanda cruciale – «se votazione dopo votazione lo stallo si trascinasse, se l’Italia si trovasse sull’orlo del caos, se l’emergenza dovesse richiedere un ultimo sacrificio per la tenuta delle istituzioni, come farebbe Mattarella a tirarsi indietro? Come potrebbe giustificare i suoi scrupoli?». Nessun dubbio, veramente nessuno, sul fatto che questi scrupoli di ordine istituzionale siano nella mente del giurista Mattarella ben radicati. Ha ricordato due predecessori, grandi giuristi anche loro, Antonio Segni e Giovanni Leone, per motivare il “no” al doppio settennato: ma più per una ragione “di sistema” (la necessità di abolire il semestre bianco) più che per una preoccupazione legata a una sorta di “monarchizzazione” del presidente, teoricamente in carica per 14 anni, un tempo troppo lungo. Ci sono poi le ragioni di ordine personale nelle quali nessuno ha diritto di entrare che però potrebbero incrociare o scontrarsi con la ragion di Stato. E in questo quadro non sarebbe impossibile che lo “scrupolo” lasciasse il passo alla necessità di salvare il sistema democratico, in vista, come si è detto, di un ruolo attivo del Quirinale per riformare il sistema stesso, a partire da una nuova legge elettorale in senso proporzionale. Se fosse in gioco la democrazia, Mattarella – è comune convinzione – non si tirerebbe indietro. La maggior parte del Partito democratico è su questa linea prima ancora che si aprano danze che potrebbero risultare fallimentari. «Sarebbe il massimo», si è lasciato sfuggire Letta alludendo al bis di Mattarella che egli per ora non sollecita, com’è giusto che sia, ma che tiene come asso nella manica. Ma la novità davvero eclatante, “un coup de théâtre” in piena regola, potrebbe venire dalla destra. Non da Matteo Salvini, e meno che meno da Giorgia Meloni, che vi si accoderebbero, ma proprio da un Silvio Berlusconi trafitto dal voto segreto e in cerca di restare comunque nella storia della Repubblica come alla fine un leader positivo: e quale migliore via per recuperare dignità politica se non la sponsorizzazione della rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, che oltretutto eviterebbe fastidiose candidature (quella di Draghi) che potrebbero risultare più forti della sua, onde poter dire “o io o nessuno”? I Cinquestelle sarebbero felici e così la stragrande maggioranza dei parlamentari che non desiderano certo il ritorno alle urne. Sarebbe un esito davvero sorprendente. Ma non certo il peggiore che può augurarsi l’Italia…

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