Quirinale: restano 24 ore per capire come si arriverà a Draghi al Colle … probabilmente per consunzione. Oggi, è stato un altro giorno di carnevale, ma la rosa dei candidati di centrodestra è già sfiorita. A Letta resta ancora l’opzione Casellati da respingere e i Partiti indicano ognuno una direzione diversa…e

Alla vigilia del quarto scrutinio oggi, quello dal quale è sufficiente la maggioranza semplice per eleggere il capo dello Stato, non è più possibile barare con la propaganda o cullarsi nelle false illusioni: o hai i voti o non li hai. La farsa del centrodestra in vantaggio nei numeri per l’elezione del capo dello Stato è finita. Questo è il non banale risultato della giornata di ieri. Non a caso, quando Salvini ha realizzato che le velleità di kingmaker lo stavano portando allo sfascio della sua carriera politica, è subito decollata una trattativa vera che non è ancora chiusa, ma pare stavolta indirizzata alla ricerca di una figura condivisa ed eleggibile con un consenso largo. Si vedrà, nulla è ancora scontato, soprattutto quando protagonista è il leader della Lega, apparso in queste ore confuso e smarrito come nei giorni del dopo Papeete… Questo girare a vuoto sul candidato per il Colle mostra che la politica è come una “bolla” scollegata dalla realtà del Paese ed è segnata da grandi rimozioni, a cominciare dalla pandemia. Domani è sempre un altro giorno, si diceva in un film capolavoro. Ed è un “giorno chiave” sostiene Enrico Letta, in buona fede. Come doveva essere chiave ieri o oggi, dicevano tutti. Perché si riunisce il “tavolo” con le delegazioni dei partiti, quel tavolo che Salvini aveva annunciato prima di Natale, poi dopo la manovra, poi dopo la Befana. E ora al quasi Martedì Grasso nel “gran carnevale” del Quirinale. Pare un gioco di parole, ma così è. Sarebbe un vero passo avanti: il tavolo e non ci sarà già più la famosa “rosa” perché già sfiorita, con poco rispetto per i nomi messi nel ventilatore per un paio d’ore di Marcello Pera, Letizia Morati, Carlo Nordio, stimabili persone, diventate stelle filanti di ordinario ballo in maschera. La sequenza: li hanno proposti Meloni, Salvini e Tajani che nel dire “come fanno gli altri a dirci di no”, sanno già benissimo che quella sarà la risposta, perché, da che mondo è mondo, non si fa così. Basta fare una telefonatina, per sapere come si fa, a Gianni Letta e Pierluigi Bersani, che si incontrarono nel 2013 a casa del primo e il secondo propose la sua rosa “Marini, Amato, Mattarella”. Si concordò il primo. Andò male per colpa del Pd, ma il metodo era corretto. E invece i nostri eroi non ci credono al punto tale che il nome possibile per la quarta votazione non lo mettono nella rosa, per non bruciarlo. È quello della presidente del Senato Elisabetta Casellati che, di verde vestita, il colore della speranza, durante lo spoglio della terza, ovviamente andata a vuoto come la seconda, messaggia compulsivamente lo smartphone col dito indice, in piena attività relazionale. Poiché tutti parlano con tutti si viene anche a sapere da qualche pettegolo che ha cercato anche Renzi per un incontro riservato, evidentemente per sondarlo. Dicevamo, i nostri non ci credono e sanno che gli altri non ci credono. E gli altri rispondono che “sono nomi di valore” pur non credendoci e sapendo che, dopo due ore diranno di no, intesi come Letta e Giuseppe Conte, sempre piuttosto ciarliero quando vede il palcoscenico. A quel punto Salvini, che non ci crede e che sa che gli diranno di no, sottolinea come “si tratta di parole importanti”. Poi il comunicato, dopo un lungo vertice in cui viene messo nero su bianco che, pur essendo di tutto riguardo sono “divisivi” perché di parte, con annessa richiesta di tavolo, appunto. Fine dell’amabile intrattenimento di oggi. E menomale che, complice anche il buon senso di Letta e di quel “comunista di montagna” di Speranza, così lo chiamava Giorgio Napolitano, si evita la “guerra delle rose”, contrapponendo a quella del centrodestra una rosa composta da Andrea Riccardi, Paola Severino e chissà chi altro. Avanti così, ognuno dice no, in un’orgia di parole vuote, evitando di mettersi le dita negli occhi, in una storia dove un minimo di pathos si è registrato solo col ritiro senza volto di Silvio Berlusconi. Così, con uno spirito di ordinaria amministrazione si può andare avanti all’infinito, come in un rito che si consuma senza che nessuno avverta l’urgenza della realtà. Che sta fuori dal Palazzo, nella discussione che nel mondo si è aperta sulla crisi ucraina o in un numero, 468, che non è quello dei grandi elettori potenziali della Casellati, ma dei morti di ieri, più o meno ai livelli dell’anno scorso di questi tempi mentre aumentano, contestualmente, ricoveri e terapie intensive. È la politica come “bolla” scollegata, segnata dalla grande rimozione della pandemia. E non è un caso che gli ascolti tv non brillano su un evento senza tensione e senza passione, in cui si vede che nessuno protagonista sembra credere a quello che sta facendo. È giusto così, in un rito autoreferenziale. E allora andiamo al tavolo, dove o miracolosamente dovrebbe accadere ciò che non è accaduto finora, con l’individuazione del mitico nome che mette d’accordo tutti, o inizierà la rumba dei voti in Aula da oggi, e si vedrà chi ha una posizione di forza, magari nessuno. Nel frattempo, è chiaro che in questo casino, mentre non si trova la quadra di un governo senza Draghi con Draghi al Colle, il governo Draghi, quello che c’è, è già un fantasma. Immaginate, dopo quello che sta accadendo un Consiglio dei ministri, per dirne una, con l’estensione dell’obbligo vaccinale. Aleggia in Parlamento un senso di rivincita della politica contro Draghi, la cui eventuale ascesa viene percepita come rischio di elezioni anticipate, senza capire che le può provocare anche uno strappo sul Colle, come ha spiegato Letta a Conte, piuttosto infastidito dal flirt dell’avvocato del popolo con Matteo Salvini. Borsino di giornata: l’ipotesi non è tramontata, ma per convinzione non ci arriva, piuttosto per consunzione e sale Casini: Salvini non è ostile pur avendo Giorgetti in casa, dentro Forza Italia ha un largo consenso, mezzo Pd pure e piace ai parlamentari dei Cinque stelle, perché è diventato il simbolo della revanche del Parlamento. Piace più ai parlamentari che ai leader. Ce lo vedete Grillo a dire “meglio Casini di Draghi?”. Vabbè, domani o il miracolo o avanti così, bruciando ipotesi. È un altro giorno e c’è sempre un altro giorno. Ci sono ancora Ventiquattrore (le prossime) per capire se a Draghi si arriverà per convinzione, entro la quarta chiama, o per consunzione dalla quinta in avanti, bruciate altre ipotesi. Questo il punto di oggi. Convinzione o consunzione che passano dal disvelamento dei due doppi forni, quello di Salvini e quello di Conte. E se si arriva alla consunzione- cioè non si decide tra oggi e domani, va male la trattativa sul governo che verrà, si iniziano a impallinare candidati – dall’elemento “esogeno” che, inevitabilmente a un certo punto, suonerà la fine della ricreazione nel Palazzo. Beh, diciamolo: il Covid è stato pressoché dimenticato, nel senso che non mette più fretta. Nel palazzo si gira a vuoto come se niente fosse. Vediamo che succede con l’Ucraina. Renzi, che è uno veloce, l’ha capito. Alla buon’ora, su Radio Leopolda, ecco il buongiorno: “C’è un elemento in più che è la pressione geopolitica. Non ci stiamo rendendo conto che tra Russia e Ucraina, Russia e Nato sta accadendo una cosa enorme:”. E aggiunge, per chi vuole intendere: “Da due anni diciamo che serve un presidente europeista, sembra strano che nessuno parli”. Tradotto, l’Ucraina porta Draghi. A proposito. Dato statistico, poi torniamo al pane caldo (e a quello raffermo). Nella Seconda Repubblica non si è mai arrivati oltre alla sesta votazione. Nella Prima, con i partiti solidi, si arrivava anche alla ventesima. Con i partiti liquidi alla ventesima si scioglie la Repubblica. A un certo punto c’è un fatto traumatico che fa decidere, come accadde nel 2013 col bis di Napolitano, lasciamo stare Capaci nel ‘92. Stavolta o è lo spread (avete visto la borsa nei giorni scorsi?) o, appunto la Russia. Dicevamo, il pane. Per chi non frequenta questi fornai, assai meno sofisticati del Divo Giulio (Andreotti), ricapitoliamo: Salvini prima è andato da Draghi, gli ha portato la lista di richieste sul governo che verrà – gli Interni, la testa di Giovannini, eccetera – poi, per far vedere che è un vero kingmaker di quelli tosti, ha visto Conte, proponendogli una rosa di nomi di centrodestra: petalo pregiato l’ex ministro Franco Frattini, di cui circolano già, a proposito di profilo atlantista certe dichiarazioni filo-russe ai tempi della guerra di Crimea. Conte, con gli occhi brillanti ha visto nell’incontro il riscatto di un anno di frustrazioni, ha ammiccato, ha iniziato a contare i parlamentari che controlla. Non ha calcolato che, così facendo, gli è andato a fuoco il forno col Pd. Tre ore prima aveva assicurato a Letta compattezza contro il nome della destra. Tradimento. Ammazza che strateghi, come si dice a Roma. Qui ci sono almeno tre articoli da fare oggi. Il primo è su Salvini: sono tre giorni che dice “faccio i nomi, faccio i nomi”, ma poi non li fa, minaccia per tenere alta trattativa sul governo dopo Draghi. Lo sa pure lui che se va in Aula con Casellati o Frattini, rischiano di essere impallinati, da Forza Italia innanzitutto – mica Silvio gli dice: prego, si accomodino dove volevo andare io. Se invece, per non si sa quale incrocio astrale, ce la fa, salta tutto, Draghi saluta la compagnia e, quando Salvini torna a Milano, gli imprenditori lo aspettano in aeroporto con i forconi. Auguri. Però l’articolo bello è su Conte, quello che nel Pd chiamavano il punto di “riferimento dei progressisti europei”. Pure Enrico Letta, che non dice neanche una parolaccia, è “incazzato”. Da segnalare che è impossibile parlare con Serracchiani: telefono sempre occupato per gli sfoghi di chi ce l’ha con Conte. Parole irriferibili. Quando poi l’avvocato del popolo si incontrerà oggi (così pare) con Draghi, quel che accadrà è scontato. Previsione del cronista: durerà poco. Conte dirà: “Per noi deve restare a Chigi, il Pnrr, la pandemia…”. Draghi, che ha un rapporto con Grillo (avete visto che infatti tace?), e con Di Maio (che lavora silenzioso), farà sapere a Salvini e Letta che è evidente, così, che è finito tutto. E si decide, in un senso o nell’altro. O per convinzione entro domani in Aula, e bisogna sapere che con i candidati del centrodestra cade anche Salvini. E lì si torna tra qualche altro giorno per consunzione. L’unica alternativa sarebbe solo una conversione del centrodestra sul Mattarella bis. Comunque, si annuncia un gran finale…

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