Riforme inutili: è allarme per le pensioni…

Non bastano le riforme lacrime e sangue che hanno condannato gli italiani ad andare in pensione più tardi rispetto a quasi tutti gli altri europei.
Sforzo insufficiente anche l’introduzione del metodo contributivo, che ha creato uno spartiacque nel sistema previdenziale italiano.

Il prima, con trattamenti alti e generosi; il dopo con assegni legati ai versamenti all’Inps fatti durante la vita lavorativa.
Quello che tutti gli ultimi ministri dell’economia hanno definito il sistema previdenziale più solido del Continente, potrebbe, non essere sostenibile nel lungo periodo e tra qualche anno potremmo ritrovarci a dovere fare il bis della Dini se non addirittura fare una riedizione della legge Fornero. pensioni_cartello_forneror439_thumb400x275
Il contrario di quello che si appresta a fare il governo Renzi con l’Ape, l’anticipo di tre anni che rischia solo di aumentare l’incertezza sui conti futuri delle pensioni.
A fare il punto (non si sa quanto oggettivamente centrato) è stato il centro studi di Impresa Lavoro presieduto dall’imprenditore Massimo Blasoni, in una ricerca nella quale si evidenzia come da molti anni la spesa per pensioni rappresenti la voce più importante dell’intera spesa pubblica italiana: nel 2015 sostiene Impresa Lavoro è stata di quasi 260 miliardi, pari al 31,5% dei complessivi 826 miliardi di euro… Ma, come l’Inps, ci dice che sono state erogate oltre 18 milioni di pensioni nel 2015. Per una spesa complessiva di 196,8 miliardi… Una bella differenza non vi pare? Chissà come mai?
Ora non c’è dubbio che innanzi tutto pesa l’invecchiamento della popolazione, ma soprattutto pesa il fatto che le riforme fatte si siano fino ad oggi concentrate solo su un aspetto del problema. Hanno innalzato l’età, mentre sostiene Massimo Blasoni: «poco o nulla è stato fatto invece per contenere – o addirittura ridurre – il livello degli assegni pensionistici». Ma che dice? Vaneggia?
Il Ministero dell’Economia sostiene (…forse spera solamente) che la spesa previdenziale resterà al livello di oggi, scendendo all’1,9% nel 2060… ma secondo Impresa Lavoro e in questo caso anche per …me: «queste stime contengono però elevati livelli di incertezza e sembrano basarsi su assunti tutt’altro che solidi».
Ora tra le premesse che rendono incerta la sostenibilità delle nostre pensioni, c’è il discorso della produttività che nelle previsioni dovrebbe miracolosamente tornare ai tassi di crescita degli anni Settanta e Ottanta. Tuttavia, la produttività è legata al tasso di occupazione che da tempo è a livelli molto bassi in Italia e che dovrebbe invece allinearsi rapidamente agli standard europei con una maggiore occupazione.

C’è poi il tema della crescita attesa ipotizzata. Il governo dà per scontato un 1,5% all’anno tra il 2020 e il 2060. E se queste previsioni dovessero, nella realtà, risultare scorrette? pensioni-novit-2016-375x195

In tal caso la politica sarebbe costretta a intervenire nuovamente sugli unici fattori direttamente controllabili: l’età di accesso alla pensione (già ora molto elevata) e l’entità degli assegni pensionistici (già assai contenuti e difficilmente riducibili).
Con il solo risultato di rendere sempre più povere le future pensioni.
Intanto ieri sono proseguiti i contatti tecnici tra governo e sindacati in vista dell’incontro del 21 p. v. che dovrebbe essere conclusivo. Confermate le posizioni. Il segretario generale della Cisl Anna Maria Furlan a favore, spera che si chiuda la prossima settimana. La leader della Cgil Susanna Camusso si prepara a dire nì e tira in ballo la trattativa sui precoci. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo ha invitato il governo a rendere esplicite le risorse a disposizione della riforma, per poi trovare le soluzioni per i lavoratori precoci e per tutti gli altri.
Quello che è chiaro già da tempo è che: …senza soldi non si chiude.

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