4. La comunicazione efficace…

La comunicazione è una materia molto affascinante. È considerata un’arte.

Comunichiamo tutti i giorni, nella vita personale come in quella professionale. Ma come? Siamo efficaci? Siamo degli ottimi o pessimi comunicatori? Cerchiamo di capirlo insieme. Partiamo dal fatto che “non si può non comunicare”. Così recita il primo assioma della comunicazione definito dalla Scuola di Palo Alto, California, che sottolinea come comunicare sia un atto implicito della natura dell’uomo: l’essere umano non decide se essere comunicante, lo è fin dalla nascita. Ne è un esempio il pianto del neonato appena dopo il parto che comunica sofferenza mista  a stupore. 

Comunichiamo sempre per raggiungere un obiettivo: scoprire e spiegare qualcosa, stare in compagnia, esprimere i propri sentimenti, dimostrare interesse per una data situazione, fare in modo che qualcuno si comporti in una certa maniera. In queste e tante altre occasioni la comunicazione è fondamentale: attiva un processo di relazione, scambio e di comprensione reciproca tra gli interlocutori. Esistono tre diverse modalità di comunicazione: verbale, non verbale e para-verbale. La comunicazione verbale avviene attraverso l’uso del linguaggio, sia scritto sia orale. La comunicazione non verbale avviene senza l’utilizzo delle parole, ma attraverso il linguaggio del corpo (espressioni facciali, mimiche, gesti, posture). La para-verbale riguarda il tono della voce, il volume, il ritmo, le pause. Secondo lo studioso e psicologo statunitense Albert Mehrabian, gli aspetti non verbali e para-verbali della comunicazione hanno una grande importanza nel veicolare i messaggi in quanto hanno un forte impatto sull’interlocutore. Gli studi condotti negli anni ’60 arrivarono ad affermare che l’influenza della comunicazione para-verbale e non verbale sull’ascoltatore è pari rispettivamente al 38% e al 55%, mentre l’aspetto verbale incide solo per il 7%. Lo pensavate? Io sinceramente no! La teoria di Mehrabian ha subito numerose critiche nel tempo. Bisogna tuttavia riconoscere che i suoi risultati vennero travisati. Difatti, lo studioso chiarì sin da subito le precise condizioni in cui queste percentuali sono vere: quando comunichi sentimenti e atteggiamenti. Praticamente se dico che “non sono arrabbiato” con un tono di voce alterato, uno sguardo incattivito e il pugno chiuso, questi elementi non verbali saranno considerati più veritieri del contenuto della mia frase? “Scoperta sensazionale!” direbbe qualcuno in senso ironico.In realtà, Mehrabian ha condotto diversi esperimenti che lo hanno portato a convalidare questa percezione umana. Dunque, quando comunichiamo con uno o più interlocutori, qual è la nostra gestualità? Rispettiamo gli spazi fisici? Utilizziamo un tono di voce adeguato in funzione delle varie situazioni? Siamo assertivi o troppo accomodanti? Ci sono numerosi aspetti da prendere in considerazione. Pertanto comunicare non è un atto semplice. Anzi, lo diventa ancora più complesso dal momento in cui ci sono due elementi chiave da non trascurare: l’ascolto e il feedback. Senza ascolto non c’è comunicazione. Diventa impossibile creare interazione tra gli interlocutori e definire una relazione. Non basta comunicare, bisogna adottare un ascolto attivo che presuppone un approccio di tipo partecipativo, orientato allo scambio interattivo tra i soggetti coinvolti. Tuttavia il rischio maggiore nell’ascoltare è interpretare e comprendere qualcosa di simile. Questo poiché entrano in gioco elementi di disturbo quali l’incompatibilità di schemi, differenti codici e linguaggi di comunicazione, preoccupazioni personali e sentimenti, interesse e altre condizioni emotive. L’ascolto è un’abilità, e come tale è necessario praticarla per mantenerla e svilupparla. L’altro elemento chiave – strettamente collegato all’ascolto – è il feedback, ossia la “retrocomunicazione”. Definisce il ritorno della comunicazione e costituisce la misura della buona comunicazione: attraverso la formulazione di domande è possibile generare feedback e stabilire se effettivamente c’è stata interazione tra i soggetti coinvolti. Pertanto non bisogna esser timidi nel domandare. Quando si hanno dubbi, i migliori risultati si hanno ponendo domande. Sappiate che chi domanda conduce la conversazione. Quanto visto non è cambiato nel tempo. Ciò che invece ha subito dei mutamenti è l’approccio alla comunicazione. In origine si prediligeva un approccio matematico e pragmatico basato principalmente sulla trasmissione e sull’interpretazione del contenuto. Nel tempo si è data maggior importanza alla relazione piuttosto che al contenuto affermando così un approccio relazionale e sociologico basato su una visione relazionale, sul rapporto tra uomo e uomo e tra uomo e contesto. Cosa vuol dire? Che la comunicazione non si focalizza più esclusivamente sull’individuo e su ciò che dice, ma sul contesto in cui esso è inserito. L’uomo viene considerato all’interno di un sistema di relazioni, community, gruppi sociali, che generano comportamenti e reazioni. Nell’era dei social network dove tutti si promuovono grandi comunicatori, quanto è complesso saper comunicare? L’abbattimento dei confini tra vita privata e vita professionale ha stravolto logiche e vecchie convenzioni: la gestione delle relazioni e la comunicazione si basa su valori quali la collaborazione, la trasparenza e la condivisione. Così con gli amici che con i colleghi e clienti. Siamo veramente in grado di adottare un approccio collaborativo all’interno della nostra azienda? Riusciamo ad ascoltare il collega o cliente e instaurare con lui una relazione trasparente? Abbiamo difficoltà nel condividere conoscenze e competenze con altri soggetti? L’arte del comunicare è una disciplina ampia che necessita approfondimenti e formazione. Riduttivo e impossibile parlarne in poche righe. L’unico modo per diventare ottimi comunicatori è leggere, informarsi, studiare, confrontarsi, ascoltare. Cosa aspettate? State ancora qui?

E’ sempre tempo di Coaching!”

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