Avremo a che fare: con una massa di anziani poveri…

…leggendo e prendendo da più fonti giornalistiche, si mette insieme un quadro prospettico della situazione economica e previdenziale della nostra popolazione… che è a dir poco disastrosa…

 

I GIOVANI DI OGGI?

C’è chi dice senza tergiversare: “Non li invidio”, e a dirlo è un noto professore di Politica economica alla Sapienza di Roma (prof. Pizzulli), che racconta altresì come il modello del contributivo puro (con la pensione strettamente proporzionale ai versamenti e alla crescita del Pil) funziona solo a patto che non ci siano interruzioni nei contributi e che il Pil cresca e di pari passo aumentino anche le retribuzioni.

Due condizioni che, per com’è strutturato l’attuale mercato del lavoro e per com’è messa in questo momento l’economia italiana (…ma non solo), non si stanno verificando, avverte il professore, che ipotizza, fra venti o trent’anni… una massa di anziani poveri con cui fare i conti. Pizzuti sostiene la necessità di meccanismi solidaristici all’interno del bilancio pensionistico come l’istituzione di un fondo per i giovani in modo da includere nella storia contributiva di ciascuno i periodi di disoccupazione involontaria.

Proposta finora inascoltata.

IL SISTEMA INTRODOTTO dalla legge Fornero funziona un po’ come il gioco dell’oca.

Facciamo un esempio: una persona viene assunta nel 1996, andrà in pensione a 66 anni, come prescrive la norma. Ma solo a condizione che il primo assegno mensile della pensione sia almeno 2,8 volte l’assegno sociale, che è quello riconosciuto alle persone a basso reddito. Dunque, il nostro pensionando dovrà avere una pensione di almeno 1.254 euro. Altrimenti si salta il giro e si continua a lavorare fino a 69 anni. Qui c’è un altro test: stavolta la pensione deve essere almeno 1.5 volte l’assegno sociale, cioè 672 euro. Non è così? E quindi si perde un altro turno e si va avanti a sgobbare fino a 73 anni.

Un gioco pericolosissimo perché si rischia di creare una generazione di anziani che si barcamena tra lavori saltuari, pensioni inavvicinabili e povertà.

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LA SOLUZIONE è ridurre la prima soglia ed eliminare la seconda. Ma per questo mancano le risorse e il Governo ha quindi pensato di tamponare l’emergenza con l’Anticipo Pensionistico, l’Ape, che tuttavia non sembra convincere molti.

La proposta introduce elementi di flessibilità ma crea problemi di disuguaglianza, perché per lasciare il lavoro anni prima (fino a 3 anni e 7 mesi) rispetto alle prescrizioni della legge Fornero occorrerebbe contrarre un prestito bancario da restituire a scapito della pensione.

Nessun problema per chi avrà un assegno alto, in cambio di una decurtazione potrà ritirarsi prima dal lavoro, chi invece può contare su una pensione scarna difficilmente potrà abbassarla pur di uscire in anticipo dalla vita lavorativa, perché una rendita di 800 euro si ridurrebbe a 640.

Lo Stato dovrà anche farsi carico di un’assicurazione a favore delle banche nel caso in cui il pensionato muoia prima di saldare il suo debito, che come ci viene spiegato in molte “note stampa” calcola un onere complessivo per le finanze pubbliche attorno ai 700 milioni di euro, che si aggiungerà ai costi di altri possibili interventi (anticipo pensionistico per i lavoratori precoci, aumento dei beneficiari della “quattordicesima”, ricongiunzione gratuita dei periodi contributivi).

L’intero “pacchetto pensioni” costerebbe quindi circa 3 miliardi, mentre le disponibilità del governo sono fissate intorno alla metà. Ma resta, ed è questo il vero problema, da affrontare il problema strutturale della massa di pensionati poveri in arrivo nei prossimi due-tre decenni che, per come funzionano i sistemi pensionistici, si deve affrontare per tempo e che nel caso italiano come si dice: è già tardi!

giovani

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