Economia italiana: ecco i cinque indicatori di non-ripresa…

Governo alle prese con scelte decisive. L’economia italiana sta dando qualche segnale di vita, ma non si può certo dire che sia ripartita. Il 2016 doveva essere l’anno della svolta, l’anno dell’accelerazione dell’economia verso un futuro di crescita e occupazione, ma questi primi sei mesi dell’anno raccontano una storia diversa, diversa dalle promesse, diversa dalla propaganda politica, diversa dalle speranze che questa fosse la volta buona.

Occupazione, PIL, industria, consumi, stipendi: tutti gli ultimi indicatori della salute di un’economia raccontano la storia di un Paese che è uscito dalla recessione, ma è ancora molto lontano dai livelli pre-crisi. A confermarlo arriva anche il Fondo Monetario Internazionale, che nel suo rapporto periodico sull’Italia, ha scritto chiaramente che il Paese, continuando a questo ritmo, tornerà a livelli pre-crisi soltanto a metà degli anni 2020.

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A meno che il governo non decida di fare operazioni impopolari di aumento delle tasse o tagli al sociale. E in effetti è tutta una questione di scelte. L’Italia è in balìa di ogni starnuto dell’economia mondiale: del ciondolare del prezzo del petrolio, del rallentamento della Cina, delle preoccupazioni sulla tenuta dell’Europa. Va dove soffia il vento, se la congiuntura mondiale è positiva vira in positivo se l’economia globale rallenta resta al palo. E in questo contesto l’unico santo a cui votarsi è Mario Draghi che tenendo i tassi ai minimi storici ci concede una boccata d’ossigeno e di quella flessibilità che ci permette di andare avanti. Ma la BCE non sarà sempre qui, a coprirci le spalle. draghi

Nel 2017 le misure di allentamento monetario potrebbero finire e l’Italia deve camminare sulle proprie gambe. Tutto sta nel vedere quali saranno le scelte del governo, se andrà avanti con bonus e mancette elettorali che fanno spendere soldi, ma non spingono la ripresa o se metterà in campo un serio taglio della tasse alle imprese, del costo del lavoro che possa spingere al rialzo occupazione e produzione.

Nelle ultime settimane sono arrivati molti indicatori utili a tastare il polso dell’economia italiana, e purtroppo non raccontano niente di buono. Vediamo una carrellata dei principali: PIL nel primo trimestre a +0,3%. Un risultato migliore del triste +0,1% con cui si è chiuso l’ultimo trimestre del 2015, ma un dato che non fa ben sperare nell’obiettivo del governo di chiudere l’anno a +1,2%. Il FMI sostiene che l’Italia nel 2016 potrebbe crescere di un +1,1%, risultato inferiore alla media UE e alle previsione contenuta nel DEF.
Crollo dei contratti a tempo indeterminato. Secondo i dati dell’Ossservatorio INPS sul precariato, dopo il taglio degli sgravi contributivi introdotti nel 2015, i nuovi contratti a tempo indeterminato calano di oltre il 30%; tolte le trasformazioni di contratto, il saldo tra attivazioni e cessazioni di contratti e tempo indeterminato è di -53.339 unità, dato peggiore del 2014; la quota di contratti a tempo indeterminato sul totale dei contratti attivati nel 2016 è pari al 33,2%, quindi più basso del 2015 (41,5%), ma anche del 2014 (36,2) prima degli sgravi contributivi del miracolo Jobs act. Un momento della manifestazione dei lavoratori Meridiana, che oggi hanno bloccato il traffico nel centro di Roma in via del Corso di fronte a Palazzo Chigi, 12 maggio 2016. ANSA/ MASSIMO PERCOSSI

Industria italiana in frenata. L’ISTAT rileva un crollo del 3,6% del fatturato dell’industria, un risultato peggiore dall’estate del 2013, in piena crisi economica. In calo anche gli ordinativi del 3,3%. A portare in negativo fatturato e ordinativi dell’industria è soprattutto il comparto auto (che ha trainato i risultati positivi del 2015) e il settore energetico. Particolarmente preoccupante è il calo del fatturato interno che indica lo stallo dei consumi sul mercato domestico.
Dopo l’industria anche il commercio: vendite al dettaglio in negativo. Dopo quattro mesi di fila positivi o stazionari, a marzo le vendite al dettaglio tornano a scendere con un calo dello 0,8% in volume rispetto a febbraio e dello 0,6% in quanto a valore. Considerando le difficoltà dei Paesi emergenti e del commercio mondiale, la domanda interna assume un ruolo fondamentale nella ripresa economica del Paese; per questo motivo il dato negativo sui consumi interni è particolarmente preoccupante. crisitaliaInfine, gli stipendi registrano nei primi mesi dell’anno l’aumento tendenziale più basso dal 1982. L’ISTAT spiega che da quando sono iniziate le serie storiche non era mai successo che la crescita su base annua fosse dello 0,6%: il minimo storico precedente era stato fissato a gennaio con un +0,7%.

Questi cinque indicatori, pubblicati da INPS e ISTAT nelle ultime settimane, messi tutti in fila producono un quadro dell’economia italiana a dir poco preoccupante. A pesare sulla ripresa italiana sono politiche sbagliate del governo e, quindi, la stretta correlazione tra la nostra economia e ciò che accade nel mondo. L’andamento del prezzo del petrolio, il rallentamento dei mercati emergenti che frena il commercio mondiale e l’export, le preoccupazioni legate al terrorismo e l’emergenza migranti, per non parlare dei problemi dell’Europa: estrema destra e populismi che avanzano e oggi la Brexit diventata realtà incombente con l’uscita della Gran Bretagna dalla UE…  che avrà un esito tutt’altro che neutro come si vorrebbe accreditare. Sono ancora accesi i riflettori sulla Grecia la sua economia e la discordia sulla gestione dei flussi. Tutti fattori che pesano in negativo su un Paese che da solo non riesce a stare in piedi.

Dicevamo che l’azione della BCE che tiene i tassi di interesse al minimo storico rappresenta per l’Italia è una vera e propria manna dal cielo. Il crollo del costo del debito pubblico, infatti, permette la creazione di avanzo primario anche in presenza di una crescita debole come la nostra. BCE

L’azione di governo incide pochissimo sulla crescita del PIL, ma dall’altra parte, per fortuna, l’azione di Mario Draghi incide moltissimo sul costo del debito pubblico. Ecco quindi a chi dobbiamo essere grati. Se anche nel 2017 il governo Renzi avrà a disposizione qualche decimale di flessibilità dovrà andare ad accendere un cero a Francoforte, sotto la sede della BCE. Ma il punto è che Draghi non sarà sempre qui a tenerci i tassi di interesse al minimo storico e l’Italia deve imboccare la strada della ripresa per non vacillare ad ogni turbamento dell’economia mondiale. Il problema è che la coperta fiscale resta comunque corta.

Nel suo primo discorso da neo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha detto chiaramente che l’Italia non è ancora ripartita ed ha presentato al governo la ricetta degli imprenditori: alzare l’IVA per abbassare le tasse sul lavoro, confermare il super ammortamento, rendere strutturali gli sconti sul salario legato alla produttività. Gli industriali chiedono al governo la stessa cosa chiesta dalla commissione UE nell’ultima lettera all’Italia: spostare il peso fiscale dal lavoro alle cose e al patrimonio immobiliare. Ma il governo ha promesso che avrebbe disinnescato i 15 miliardi di aumenti d’IVA previsti per il primo gennaio 2017 ed ha appena tolto la TASI sulla prima casa.
Deve fare un passo indietro? Dal punto di vista elettorale non sarebbe certamente una buona mossa. Questo è il punto: con la situazione economica attuale dell’Italia non possiamo permetterci di accontentare tutti, di dare mancette elettorali a destra e a manca, di introdurre bonus inutili e dispendiosi.istat-300x168-1

E’ necessario che il governo faccia le scelte giuste, recuperando risorse da una seria lotta all’evasione, ai privilegi, agli sprechi e con queste tagliare il costo del lavoro convincere i datori di lavoro ad assumere e mettere soldi in tasca ai lavoratori. Si deve pensare al bene dei cittadini a lungo termine e non al favore degli elettori. Solo così sarà possibile far uscire le previsioni dell’Istat dalle angustie dei decimali di punto.

 

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