“I ragazzi di oggi non sono più quelli di una volta”

Quando una generazione non fornisce termini certi di identificazione si suole spesso definirla per diminuzione o differenza rispetto alla propria, sovente giudicandola con eccessiva generosità e di contro l’altra con eccessiva severità: un problema di linguaggi e di incomprensioni. “I ragazzi non sono più quelli di una volta”, è un ritornello che ciascuno di noi ha sentito recitare, al tempo della propria adolescenza, da chi era più adulto o già anziano. E che oggi recitiamo a nostra volta nei confronti di figli e/o nipoti… Ora, quella che è un’ovvia constatazione di una differenza nei modi di comportarsi, di aggregarsi, di amare, di desiderare, di perseguire obiettivi diventa sempre più spesso un giudizio di valore. I ragazzi e le ragazze di oggi sono sì diversi, ma, aggiungerei, per fortuna! Un modo di vedere e di pensare differente gli consente di sopravvivere in una società altra rispetto a quella in cui siamo cresciuti noi: il nostro modo di pensare, vedere, vivere le cose gli sarebbe, probabilmente, fatale. La società in cui si trovano a gestire la propria crescita e i propri tentativi di futuro è una società già molto e sempre più complessa, che richiede un’attrezzatura e una strumentazione enormemente più raffinata di quella che abbiamo oggi noi adulti. Tant’è che ci lamentiamo molto dei nostri disagi scaricandoli per l’appunto sulle nuove generazioni, senza saper a nostra volta …come uscire dal nostro scontento. Se si trovano in questa condizione la responsabilità è da attribuire grandemente chi li ha preceduti. Noi tutti appartenenti alle generazioni precedenti dovremmo assumerci molto di più le nostre responsabilità e avere, inoltre, coscienza della caducità della nostra esperienza che nel contesto post moderno della società odierna non è più in grado (in quanto insufficiente) di costituire, per loro, un esempio. Invece, sfogliando riviste e quotidiani, si ha l’impressione di un’adolescenza (e di una giovinezza) violenta, annoiata, vuota di idee e di voglia di fare, vuota di “valori” e priva di confini e limiti ragionevoli. I titoli a effetto accusano, additano, semplificano, si moltiplicano. Diventa facile per esperti e opinionisti parlare di “generazione vuota”, “generazione dell’attimo”, “generazione priva di riferimenti, di progetti e di scopi”. In ambito educativo si sente spesso parlare di ragazzi/e che non hanno motivazioni, che non sanno quello che vogliono, senza principi e norme morali. Le notizie di cronaca, meglio se nera, vengono utilizzate per il classico gioco mediatico della generalizzazione: bastano uno o due episodi e lo sguardo si allarga a effettuare giudizi su un’intera generazione. Poco, quando addirittura nessuno spazio viene invece dato alle “good news”: alle iniziative autonome, all’organizzazione informale che ragazzi e ragazze spesso si danno per realizzare, con spirito di iniziativa e intelligenza, serate, concerti, manifestazioni sportive, luoghi di aggregazione, giochi più o meno strutturati, momenti di sostegno a coetanei in difficoltà – nessuno o poco spazio – viene dato alla generosità che gli adolescenti esprimono nelle associazioni, nelle cooperative, nel volontariato, nell’organizzazione culturale. Nessuno o poco spazio a chi, quotidianamente, nonostante le enormi difficoltà di un mondo che, per la prima volta, prospetta per il futuro un orizzonte peggiore di quello precedente, coltiva i propri sogni, i propri obiettivi, le proprie ambizioni. Un Pietro Maso, il noto protagonista di un fatto di cronaca nera di vent’anni or sono e tornato recentemente alla ribalta per una intervista televisiva, fa molta più notizia di ognuno dei ragazzi che, ogni giorno, compiono le proprie scelte e interpretano, al meglio possibile, il proprio ruolo nella società, pur nelle enormi difficoltà che la stessa società gli frappone. Converrebbe ricordare che quando i nonni di adesso erano giovani l’Italia era in ricostruzione. Per coloro che avevano buona volontà e voglia di imparare e una certa disponibilità al sacrificio, seppure non partissero da condizioni di particolare favore, era più che possibile compiere dei passi in avanti rispetto alla generazione precedente, prendere il cosiddetto “ascensore” sociale. Oggi i giovani si trovano nella condizione particolarissima di abitare sotto “soffitti di cristallo”, al punto che per i più meritevoli, spesso, l’unica possibilità è costituita dal cercare altrove, emigrando in altri paesi, una valorizzazione dei propri talenti e dei propri meriti oppure di crearsi spazi autonomi di lavoro che prima non esistevano. Altri non ce la fanno: non hanno, magari, i mezzi o l’intraprendenza necessaria per costruirsi una vita lontana dalle sicurezze affettive familiari, dal supporto dei genitori e della propria rete relazionale, non hanno l’intuizione decisiva che trasforma un hobby in un lavoro o che “apre” uno spazio che non c’era. Ma questo, non può essere una colpa. L’adolescenza, ricordiamocelo, è un periodo dello sviluppo delle persone, difficile da racchiudere con precisione tra un’età di inizio e un’età di termine e sempre più spesso oggi si allungano i tempi di questo periodo che si distingue spesso per la sua alterità: non è né il periodo dell’infanzia, né della maturità. Proprio ‘Adolescenza’ significa crescita e cambiamento, e segna l’inizio di un viaggio sempre… ma oggi, sicuramente ancor più turbolento che non in passato. In cui lasciarsi dietro la protezione del porto della fanciullezza (le sicurezze stanno tutte sparendo) per dirigersi verso il mare aperto dell’ «adultità» e navigarlo è sempre più difficile. Se non si posseggono ancora le conoscenze e le competenze che derivano dall’aver sperimentato le prime responsabilità. Ciò, costringe sempre più spesso i giovani a differire il raggiungimento dei normali obiettivi di vita (lavoro, indipendenza economica, formazione della famiglia, genitorialità ecc.) ovvero, per dirlo in altre più semplici parole: le ricompense dell’acquisizione dell’età adulta sono sempre più lente e differite a rendersi disponibili… La responsabilità di tutto questo non può certo essere a loro imputata!

“E’ sempre tempo di Coaching!”

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