Il lavoro che cambia, il lavoro che manca, il lavoro che finisce

In questo momento socio-politico in Italia il lavoro ha una importanza fondamentale.

È un tema nodale che investe le trasformazioni e i cambiamenti. È in atto un cambiamento normativo, organizzativo, della vita delle persone a tutto tondo.

I giovani di fronte al lavoro, quando a 50 anni si perde il lavoro, il lavoro come identità, le aziende… Che fare?

Questo è un periodo complicato, non sappiamo dove ci porterà, è molto difficile fare previsioni, si naviga a vista.

Esiste il problema dell’accesso dei giovani al lavoro e contemporaneamente esiste il problema dei lavoratori in avvicinamento all’età della pensione che vengono esclusi dal mondo del lavoro. Poi ci sono quelli che in pensione ci vanno e …

In entrambi i casi, il problema è serio ma i due (tre) gruppi hanno differenti e specifiche risorse culturali e psicologiche che li portano ad affrontare in modo diverso la situazione.

I giovani di fronte al lavoro

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I giovani stanno entrando nel mondo adulto; fase marcata specificatamente dal lavoro, vale a dire, in una dimensione fatta di regole, di tempi, di organizzazione che oggi, rispetto al passato, prevede quasi sempre un periodo non breve di aggiustamenti: assunzioni part-time, a tempo determinato, con contratti diversificati.

Quello che sperimentano i giovani è un quadro di grande instabilità e di incertezza che il sostegno morale, e concretamente economico, della famiglia, aiuta a mitigare.

Questo periodo di incertezza, quando non è troppo prolungato, ha suo malgrado il vantaggio di permettere al giovane la graduale maturazione delle proprie scelte e della capacità di assunzione delle proprie responsabilità, in ambito sia professionale che personale.

Oggi manca il lavoro, ma non mancano le opportunità. Si, ci sono! Se ne perdiamo alcune ne guadagniamo altre.

Quindi ai giovani cosa dire?

Oltre a dire di tentare strade nuove, di inventarsi un “nuovo” lavoro… direi: “anche se una persona è “costretta” a fare delle cose che non gli piacciono, credo però che non debba rinunciare a un percorso verso un progetto proprio che può raggiungere… quindi non abbandonare mai, anche se uno deve fare una cosa assolutamente lontana dal proprio sogno, deve cercare di rimanere in qualche modo legato al suo obiettivo finale, accettare la deviazione, ma non perdere di vista traguardi realizzabili”.

Le esperienze intermedie sono preziose come i percorsi formativi.

Inoltre, consiglio ai giovani di “incollarsi come cozze” alle persone che possono insegnare loro qualcosa, anche se non sono le più importanti …anche se sono ormai “…vecchie” , mai scordarsi che hanno dalla loro l’esperienza di una vita lavorativa e più complessivamente di una vita già in gran parte vissuta.

Cercare “Qualcuno” da cui imparare.

Poi, sicuramente avere altre aperture e interessi e non pensare solo al lavoro.

Viaggiare, vedere altri posti. Conoscere altre Genti e le loro diverse culture…

Il Mondo è più grande …di qualsiasi “grande singolo Paese” sì, anche del Nostro!

Quando a 50 anni si perde il lavoro

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Contemporaneamente esiste anche il problema di coloro, donne e uomini, che arrivati intorno ai 45 50 anni, si trovano, all’improvviso, senza lavoro… gli over 50.

Come è risaputo, per over 50 si intende quelle persone con alle spalle già una consistente carriera lavorativa, in quell’età nella quale si comincia ad intravedere l’epoca della pensione e che improvvisamente si ritrovano disoccupate.

Questo fenomeno interessa tutte le categorie lavorative: dagli operai, agli impiegati, ai quadri, ai dirigenti.

A differenza della condizione di disoccupazione del giovane, gli over 50 non hanno il sostegno della famiglia.

Al contrario sono loro stessi che la sostengono, primariamente dal punto di vista economico e poi da quello di inserimento sociale. Nonostante i grandi mutamenti che hanno investito la famiglia, essa rimane immagine identitaria del nucleo di relazioni.

Inoltre i cinquantenni di oggi, come è risaputo, portano con sé una visione culturale della società e del lavoro, in alcuni aspetti piuttosto diversa da quella delle attuali generazioni.

Essi sono i figli del baby-boom, dello sviluppo economico, dell’inarrestabile crescita industriale.

Anche per questo nelle loro aspettative la vita lavorativa si sarebbe dovuta svolgere, e per buona parte di essi così è stato, nella medesima azienda e comunque senza grosse inquietudini concernenti la propria occupazione lavorativa.

Il lavoro come identità

Oltre a ciò, il lavoro è elemento costitutivo della loro identità; colonna vertebrale, soprattutto per gli uomini, dell’immagine di sé.

E ancora, il lavoro elemento fondamentale di riconoscimento, di inserimento sociale e del sentimento di appartenenza alla società.

È evidente come ancora oggi, per ciascun individuo che si affaccia al lavoro, questi elementi siano irrinunciabili, ma tutto avviene in una realtà meno rigida, meno uniformemente regolata, nella quale modalità diverse, potremmo anche dire atipiche, di vivere il lavoro sono più facilmente riconoscibili.

Oggi la vita lavorativa è meno strutturata che in passato e se ciò da un lato è nello stesso tempo causa ed effetto dell’incertezza a cui accennavo, dall’altra permette un alleggerimento del vissuto di esclusione sociale che la condizione di disoccupato porta con sé.

Nel decennio dei quarant’anni, l’uomo comincia a tirare un bilancio della propria vita ma ancora avverte la possibilità, probabilmente l’ultima nell’ambito della sua storia lavorativa, di poter cambiare. Ed è infatti in questo decennio che taluni realizzano dei nuovi progetti professionali, con dei cambiamenti significativi di carriera e di professione.

Nel decennio successivo, o comunque intorno ai cinquant’anni, invece, egli si trova in quella fase della vita nella quale realizza che non deve più prepararsi a vivere ma che deve vivere.

Cresce la consapevolezza che se la vita, ancora non ha il fiato corto, tuttavia il suo spazio, meglio sarebbe dire il suo tempo, è limitato.

Non c’è tempo, quindi, da sprecare. La vita va vissuta con pienezza, giorno per giorno, cercando di trarne il meglio.

La carriera professionale, soddisfacente, oppure no, di alto livello, o di livello modesto, è decisa e non ci saranno più grandi progressioni. Eventualmente, qualche piccolo accomodamento.

Nel lavoro, in termini generali, l’uomo non si pone più nell’ottica di innovare, o di rivoluzionarne il metodo ma pensa che la sua esperienza e la sua competenza possano essere utili, all’azienda, nel trasmettere il sapere acquisito. E il sapere del cinquantenne non è certo quello informatico, nei confronti del quale mostra spesso delle difficoltà, quanto piuttosto quello legato ai valori del lavoro, quali ad esempio: il senso del dovere, dell’appartenenza e della serietà di fronte all’impegno lavorativo.

Si dice spesso che in azienda gli over 50 siano poco motivati, con poco desiderio di migliorarsi e di crescere ancora. Qualcosa di vero in queste considerazioni c’è ma come spesso succede ci si ferma all’apparenza, non considerando che spesso è proprio l’azienda che mette in una sorta di “limbo preparatorio alla pensione” i propri dipendenti più anziani. Nel concreto, ciò si realizza non più conferendo loro incarichi impegnativi, escludendoli dalle decisioni importanti e di prospettiva futura.

Insomma, hanno la percezione che loro per l’azienda non contano più molto.

Ebbene, è su questo panorama che scende, con inequivocabile durezza, la mannaia della disoccupazione.

Ma qual è il vissuto dell’over 50 improvvisamente disoccupato?

Oltre al contraccolpo economico, ovviamente particolarmente incidente per i lavoratori di livello più modesto, sono le sofferenze di tipo psicologico quelle che segnano maggiormente l’individuo e che accomunano tutti coloro che vivono l’esperienza della perdita del lavoro.

Innanzitutto il sentimento di esclusione, il sentimento profondo di essere stati rifiutati. La percezione di essere stati messi ai margini, non ritenuti più capaci, né all’altezza delle nuove esigenze produttive.

Considerati superati dalle innovazioni tecnologiche e informatiche, troppo costosi rispetto ad un eventuale giovane so-stituto.”Gettato via”.

Non più valido, né utile, né capace”. Come, si domandano: “fino all’altro giorno il mio lavoro era riconosciuto ed oggi non più. Anzi, sono considerato un peso…”. “A fare il mio lavoro hanno preso una ragazza con pochissima esperienza che di certo non ci mette la passione che ci mettevo.

Certo, costa poco e non dice nulla”. Una delle conseguenze di ciò è l’insinuarsi pernicioso del dubbio concernente le proprie capacità professionali, e per generalizzazione, su di sé come individuo nella sua interezza. È il sentimento di svalorizzazione di sé.

A ciò si aggiunge il vissuto della delusione che prende la forma del sentimento dell’essere stato tradito, per come, ai loro occhi, l’impegno profuso per anni non abbia avuto alcun valore di credito e di riconoscenza.

Le Aziende

Anche le aziende o meglio chi le conduce dovrebbero riflettere meglio su alcune questioni che riguardano il lavoro e il suo valore per le persone.

Infatti, alle aziende direi di riconoscere il valore e apprezzare le qualità delle persone, ciò che non sempre avviene.

Sento troppo spesso di situazioni in cui viene richiesto di essere degli umili servitori e delle copie conformi dei capi.

Allora è premiato chi è congeniale, corrispondente e mimetico con l’esistente e questo porta alla disgregazione.

Perché tacerlo… un’organizzazione che ragiona così non farà molta strada.

Che fare?

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E’ tempo di coaching! Il Coaching può aiutarti a sbloccare le tue resistenze, ad uscire dalla fase critica, e a ridisegnare e sviluppare la tua vita privata e la tua prospettiva esistenziale alla fine della tua attività lavorativa e/o professionale.

Puntare sulle proprie risorse… oggi la possibilità di realizzare attraverso le proprie risorse e potenzialità una risposta a tutto ciò ha alcune strade …percorribili.

 

E’ sempre tempo di coaching!

Se hai domande o riflessioni da fare, ti invito a lasciare un commento a questo post:

sarò felice di risponderti! Oppure contattami per una seduta di coacing gratis.

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Commenti

  1. Massimo Foletti  Febbraio 16, 2017

    Davvero interessante!!!!

    rispondere

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