Italia: come non sprecare i 209 miliardi del Next Generation Eu e avere un futuro…

L’Europa riconosce che l’Italia di Conte è nei guai… sarebbe meglio non esultare. Il premier ha ottenuto più di quanto avrebbe ricevuto il suo predecessore (non ditemi che non vi ricordate il nome?) e meno di quanto avrebbe strappato qualsiasi governo senza scheletri sovranisti e populisti in bella vista quali: il reddito di cittadinanza e quota 100. I soldi arrivano perché la nostra crisi economica, anche prima del Covid, era peggiore di quella degli altri. Quindi meno meme trionfali e più progetti veri per ricostruire il paese. Per dirla fuor di qualsiasi metafora: Conte è tornato a casa con un buon risultato conseguito grazie alla credibilità europea del Partito democratico e che avrebbe conquistato senza l’agitazione di questi giorni se non si fosse presentato a Bruxelles come il premier di quota 100, del reddito di cittadinanza e dell’indisponibilità a usufruire dei soldi del Mes per ragioni incomprensibili… Il vero problema per l’Italia inizia ora: come spendere i 208,8 miliardi (81,4 tramite sussidi a fondo perduto e 127,4 di prestiti) del Next Generation Eu approvato martedì dal Consiglio europeo? In attesa del voto del Parlamento europeo, che darà il via libera finale al piano e dell’ennesima task force (??) annunciata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il nostro Paese dovrà elaborare un piano di riforme credibile e ambizioso da presentare alla Commissione europea entro settembre-ottobre. Se il governo Conte sarà rapido nelle decisioni, visionario sulla crescita e coraggioso nella sfida a burocrazia e corruzione, diventeremo un modello per il rilancio Ue così come i nostri medici e infermieri lo sono stati nella resistenza al virus. Se invece a prevalere saranno liti intestine, cecità politiche, ambizioni personali e resistenze burocratiche allora l’occasione sarà perduta. Il governo Conte dovrà spiegare in modo chiaro a Bruxelles quali investimenti intende fare per usare i finanziamenti europei, inserendo anche una tabella di marcia con le tappe intermedie. Il pagamento delle varie tranche sarà legato solo agli obiettivi che gli stessi Stati si sono auto imposti di rispettare. Con 208,8 miliardi si possono finanziare molte cose, compresi dei provvedimenti che aumentano la spesa corrente, fanno contenti limitati gruppi elettorali e non fanno crescere il prodotto interno lordo. Come è successo per Quota 100 e il reddito di cittadinanza che secondo Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte avrebbero aumentato il Pil dell’1,5% nel 2019 (era come si è dimostrata una enorme balla) infatti, secondo il procuratore generale della Corte dei Conti, Fausta di Grazia sono stati sotto le aspettative, aumentando solo il debito pubblico. Questa volta però l’Italia non può sbagliare perché i 124 miliardi di euro di prestiti che arriveranno tra la metà del 2021 fino al 2023 (il 70% entro il 2022) andranno restituiti a partire dal 2026 e il Paese non potrà farlo se non crescerà il Pil, non aumenteranno i consumi interni e non si alzeranno le entrate dello Stato. L’alternativa è veder aumentare ancor di più il debito pubblico che dopo la fine della pandemia è già arrivato al 160% del Pil. La Commissione europea deciderà entro due mesi quali riforme approvare se rispetteranno le politiche per la sostenibilità ambientale, per la digitalizzazione e se sono in linea con le raccomandazioni inserite nel “Semestre europeo” del 20 maggio, il documento che la Commissione elabora ogni sei mesi, in cui spiega ai Paesi i settori dove deve intervenire per migliorare le sue criticità. Le raccomandazioni di Bruxelles per l’Italia sono quelle di sempre: velocizzare i tempi della giustizia, ridurre la burocrazia della Pubblica amministrazione e i pagamenti in ritardo alle imprese, potenziare il sistema sanitario, migliorare le infrastrutture fisiche e digitali. Ma anche aumentare la protezione sociale dei lavoratori atipici italiani e far calare il tasso di disoccupazione. Gli stessi obiettivi che tutti i nostri governi da 25 anni ad oggi dicono di voler realizzare. «Sono quasi 209 miliardi, direi che c’è spazio per fare altre cose. La riforma della pubblica amministrazione si dovrebbe basare sulla semplificazione, che di per sé non costa molto, ma potrebbe voler dire comprare computer, tablet, potenziare la rete internet per velocizzare la burocrazia. E più che le grandi opere, metterei nel piano quelle piccole come la manutenzione delle reti ferroviare locali», dice l’economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano. «La riforma della giustizia potrebbe comportare delle risorse straordinarie per smaltire l’arretrato dei processi così da diventare più rapidi in futuro, magari richiamando per un breve periodo dei giudici in pensione. In generale si deve trattare di un investimento temporaneo per tornare a crescere e non un aumento strutturale dei costi. Per questo mi sembra difficile pensare che con il piano si possa finanziare il taglio permanente del cuneo fiscale o la diminuzione dell’Iva, perché comporterebbe esborsi permanenti, a meno che il governo non decida di approvare misure temporanee per stimolare la crescita», spiega sempre Cottarelli. Non esiste un elenco di riforme “da non proporre” alla Commissione europea, ma quello che si può proporre dovrebbe essere limitato alle raccomandazioni della Commissione europea, ambiente e digitale. In realtà un Programma Nazionale di Riforma esiste già: è stato approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 6 luglio ed è consultabile nel sito del ministero dell’Economia. In accordo con la Commissione europea il testo non è stato ancora inviato in via ufficiale perché dovrà essere discusso in Parlamento prima di arrivare a Bruxelles entro settembre-ottobre. Nel piano ci sono molte indicazioni generiche come «rafforzare la crescita grazie all’innovazione e alla modernizzazione del Paese, migliorare l’equità e l’inclusione sociale, promuovere e incentivare la sostenibilità ambientale». «Vasto programma», verrebbe da commentare. Per farli approvare dalla Commissione europea servirà qualcosa di più. Per questo è decisivo il passaggio in Aula e il dialogo con le opposizioni, così il governo capirà come approfondire i vari punti da presentare alla Commissione europea con obiettivi ben precisi. Leggendo il documento però possiamo capire cosa ha in testa il governo. Per esempio il rilancio degli investimenti pubblici. L’obiettivo è incrementarli di almeno un punto percentuale in rapporto al Prodotto interno lordo rispetto ai livelli del 2019 (2,3% del Pil) investendo sulle reti di telecomunicazione 5G e potenziare il trasporto ferroviario per merci e passeggeri. Ma anche aumentare la spesa pubblica per la ricerca e per l’istruzione per arrivare almeno alla media europea nei prossimi tre anni, visto che a oggi l’Italia è l’ultimo in Europa per spesa nell’istruzione pubblica (7,9% del totale). Nel piano del governo c’è l’idea di un investimento a medio-lungo termine per potenziare il settore sanitario (così continua il mistero del non uso del Mes), ma anche il rilancio di settori strategici come l’auto e la componentistica, il turismo e lo spettacolo, l’edilizia, la produzione di energia, la siderurgia e la prevenzione al dissesto idrogeologico. Tutti questi investimenti potrebbero essere accettati dalla Commissione, ma in particolare gli ultimi due a tema ambientale. Per fare un esempio concreto Bruxelles darebbe il via libera al piano per bonificare e decarbonizzare alcuni impianti siderurgici come l’ex Ilva di Taranto o il bacino carborifero del Sulcis, anche se il Just transition fund, il fondo europeo per una giusta transizione dall’economia basata su fonti fossili, è stato ridotto da 40 a 10 miliardi di euro, durante il negoziato. Così come l’attenuazione dei rischi idrogeologici e sismici anche se a giugno il Parlamento europeo ha approvato l’invio degli aiuti del fondo di solidarietà per 211 milioni e 700mila euro per Venezia e le regioni alluvionate. Anche in questo caso, come per il Next Generation Eu, l’Italia è il primo beneficiario del fondo. Un po’ meno certo il via libera a una riforma fiscale proposta nel Programma Nazionale di Riforma per migliorare l’equità e l’efficienza, ridurre le aliquote effettive sui redditi da lavoro, aumentare la propensione delle imprese a investire, creare reddito e occupazione. In questo caso bisognerebbe capire se si tratta di misure definitive o temporanee. Infine, il governo propone interventi sul sistema dell’istruzione, per innalzare i livelli di conseguimento educativo, migliorare l’inclusione e ridurre il disallineamento fra le qualifiche richieste dalle imprese e quelle disponibili. Un ottimo proposito, ma in Italia l’ultima volta non ha funzionato molto bene il progetto europeo di “Garanzia Giovani” destinato ad ampliare le competenze dei Neet (i ragazzi che non studiano e non lavorano) anche perché implementato in modo disomogeneo dalle varie regioni italiane. Risultato? Tra il 2018 e il 2019, poco più di diecimila ragazzi sono stati assunti con gli incentivi del progetto comunitario. Concludendo: per dirla in ‘spiccioli’, è giunta l’ora di fissare bene le priorità e soprattutto di fare quello che si dice…

E’ sempre tempo di Coaching!

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una sessione di coaching gratuito

0

Aggiungi un commento