Life: coronavirus, come gestire l’impatto psicologico e sociale provocato dalla paura del contagio?

Diluire la socialità, prolungando le restrizioni e estendendole, è l’approccio perseguito con sempre maggiore forza per ridurre i contagi da Coronavirus. Una regola che pesa su tutti, specie tra i gli adolescenti, “affamati” di amicizie e di incontri e che tocca agli adulti far rispettare in questi giorni insoliti e caotici. Il coronavirus ha posto tutti noi in uno stato di perenne angoscia e paura, il clima che si respira in giro e sui social è quello di una situazione surreale e pericolosa. Il virus ha un impatto non indifferente sulla psicologia umana. Sentimento alquanto naturale è quello della paura, umana e comprensibile di contrarre il virus, alla quale si accompagna la sofferenza della perdita di libertà di movimento verso l’esterno ma anche all’interno della propria casa… un “effetto galera”. Il virus fa paura, inutile nasconderlo. Fa paura ai genitori che temono per la vita dei propri figli, fa paura ai malati oncologici che nella loro battaglia contro il “mostro” si ritrovano la minaccia insistente ed invisibile del virus che potrebbe aggredire le loro già precarie difese immunitarie. Fa paura ad ogni essere umano perché impotente dinanzi ad un virus sconosciuto e che ogni giorno viene analizzato e scoperto dalla scienza. Fa paura perché ci pone di fronte alla vita vera: il baratro tra la vita e la morte. Fa paura perché sconosciuto significa anche che non ci sia una vera e propria cura, seppur i medici instancabilmente lavorano e pongono sotto terapia i casi più gravi. Paura che molti di noi hanno imparato a sperimentare in questi giorni, fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza: se non la provassimo non riusciremmo a metterci in salvo dai rischi. Quindi ben venga percepire paura, perché ci attiva e ci mette in allerta. Ma se non riuscissimo a gestirla rischiamo di attuare comportamenti impulsivi, frenetici, irrazionali e talvolta errati. Il passo dalla paura al panico o all’ansia generalizzata è breve, per cui si perde lucidità e ogni cosa viene percepita come rischiosa ed allarmante. Non siamo fatti per reggere situazioni di allerta e tensione continua, anche perché l’essere umano come reazione scapperebbe di fronte a situazioni di tensione perenne, ma è impossibile farlo in questa situazione. In alcune persone si sviluppa poi una situazione di ipocondria, intesa come eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute percependo ogni sintomo come un segnale da infezione da coronavirus. Una limitata dose di paura e allerta sono necessarie, anzi fondamentali per poter attivare e agire senza perdere lucidità. Seguire le preziose indicazioni della autorità sanitarie richiede un minimo di attivazione e concentrazione. E’ importante iniziare a gestire i social e la televisione, d’accordo con l’informazione e la comunicazione, ma non devono diventare ventiquattro ore su ventiquattro il nostro unico pensiero. Controbilanciare lo stress positivo di una situazione di allerta con comportamenti controproducenti che generano ansia. Ad esempio la corsa ai supermercati per essere saccheggiati, diventano controproducenti alle indicazioni fornite dagli esperti, che invitano ad evitare luoghi affollati. Gestire l’ansia si può. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “sto seguendo anche oggi le indicazioni fornite?” Un suggerimento va anche alla stampa: frasi come “il bollettino dei morti” e cose simili, suscitano e diffondono allarmismo. Siamo di fronte anche a giorni e forse periodi prolungati di isolamento almeno per alcune zone geografiche del Paese e per alcune categorie sociali (bambini – giovani – anziani) mentre per tutti si chiede di limitare i propri spostamenti e assumere dei comportamenti insoliti, che richiedono anche di rivedere gesti che di riflesso provengono spontanei. Quindi molte delle nostre rassicuranti abitudini quotidiane devono essere interrotte creando uno stato temporaneo di disorientamento, che potrà però essere reinvestito in nuove attività magari mai fatte: genitori e figli che si ritrovano a guardarsi negli occhi e a parlare; leggere finalmente libri lasciati interrotti o riprendere progetti tralasciati. E’ importante cercare di mantenere self-control, cercando di infondere senso di sicurezza in noi stessi ma anche negl’altri a partire dai più piccoli, che dovranno evitare i media allarmistici, onde evitare di bombardare la loro mente con un quadro parziale e distorto. I più piccoli vanno protetti dalle irrazionalità e allarmismi degli adulti: non vanno mostrati loro gli scaffali dei supermercati vuoti o le tende da campo fuori dagli ospedali, ma invece, i compiti da fare per mantenere un senso di normalità. Non solo impatto psicologico per il coronavirus ma anche un impatto sociale, inevitabilmente abbiamo smesso incontri ravvicinati, strette di mano con abbracci e baci, tipici del saluto italiano. Cambia anche il pacco dei viveri, all’interno ora c’è l’Amuchina, per dare la possibilità alle persone più fragili di poter disinfettare mani ed oggetti. E’ proprio il sociale che ne dovrebbe uscire più forte ed arricchito da questo periodo: la società civile che si ritrova nella società del rischio, dovrebbe diventare un luogo per rigenerare la fiducia. Si sperimenta il lavoro e il cooperare ai tempi di un’emergenza gravissima: continuità nel lavoro di cura, supporto alle persone fragili. Viene da pensare ai medici, infermieri e personale sanitario che senza sosta lavorano e cercano di fronteggiare non senza qualche difficoltà e carenza, questa emergenza. Allo stato attuale il coronavirus sembra che ci possa cambiare (ma è così veramente?) in meglio: nel nostro tempo, nel nostro sociale, nel nostro impegno. E allora proviamoci: facciamone una risorsa di oggi e di domani nel solco della speranza, della fiducia, dell’ottimismo e del crederci. Crediamo nel nostro sistema sanitario e nella ricerca. Crediamo in tutti noi che con regole e comportamenti coscienti possiamo salvaguardare noi stessi e gli altri, riuscendo a rinascere da un momento che si spera presto (ma non subito) potremmo lasciarci alle spalle e ricordare come un brutto ricordo…

E’ sempre tempo di Coaching!

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una sessione di coaching gratuito

0

Aggiungi un commento