Life: fase due, cauta fiducia e tamponi, così usciremo dalla pandemia…

Ieri 7 maggio I dati della Protezione Civile sul Covid-19 riportano un calo delle persone ricoverate. In terapia intensiva si trovano oggi 1.311 persone, 22 meno di ieri. Sono ancora ricoverate con sintomi 15.174 persone, 595 meno di ieri. In isolamento domiciliare 73.139 persone (1.287 in meno rispetto a ieri). Nelle ultime ventiquattr’ore sono morte 274 persone (ieri le vittime erano state 369), arrivando a un totale di decessi 29.958. I guariti raggiungono quota 96.276, per un aumento in 24 ore di 3.031 unità (ieri erano state dichiarate guarite 8.014 persone). Or bene col pessimismo, l’allarmismo, l’invito a non fare nulla col se non “state a casa” non si va lontano e l’Italia muore di coronavirus e di Pil che scende del 9,5%. Con il Covid dobbiamo imparare a convivere senza diventare il Paese dei ‘tragediatori’. Ed è qui che il governo se è possibile (ma personalmente visto il ritorno della litigiosità non solo con l’opposizione ma all’interno della stessa maggioranza ne dubito) deve dare prova di sé. Dobbiamo seguire con attenzione quelli che ci invitano a non abbassare la guardia, che ci ricordano che il vaccino sarà pronto (forse) fra un anno e mezzo, che la cura anti-Covid è tuttora sperimentale, che ci sono troppi contagiati che non lo sanno e così via. Una sana dose di pessimismo e un allarmismo giudizioso fanno bene a un Paese che peraltro ha mostrato (fino a 4 giorni fa) una capacità di disciplina, soprattutto con i più giovani, straordinaria. Ma… si c’è un ma… a soli quattro giorni dall’inizio della ‘fase 2’ i Navigli di Milano tornano ad affollarsi. Come documentano le immagini, intorno alle 19 di ieri 7 maggio, erano numerosi i cittadini in Darsena che non indossavano la mascherina e non rispettavano le misure di distanziamento sociale disposte dal governo. Ormai abbiamo capito, anche noi orgogliosamente non virologi, che la quarantena serve per piccole realtà, un paese, una residenza, ma non si possono chiudere regioni o città a meno che non scoppi l’ambaradan… ma l’Italia, l’Europa, l’Occidente nel suo complesso non sono la Cina o la Corea del Sud. Le esperienze più riuscite dicono che là dove c’è un contagio ci dovrebbe essere un tampone, una cura per l’ammalato, la ricerca di tutti coloro che potrebbe aver contagiato, l’eventuale loro isolamento. Serve una macchina burocratico-sanitaria che abbia tamponi, che sia attrezzata tecnologicamente, che sappia intervenire per tempo sui casi che ogni volta si prospettano. La domanda obbligata è: in Italia abbiamo questa capacità? Il pessimismo e le immagini dei navigli viste ieri ci dicono di no. L’allarme lo lancia ancora una volta il Prof. Galli primario di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano: «È un dato di fatto: con la riapertura possono presentarsi problemi e c’è il rischio di richiudere». Una domanda Professore: cosa sta succedendo a Milano e in Lombardia, perché i nuovi casi non calano? «Soprattutto in città, le nuove diagnosi riguardano cittadini riusciti finalmente ad ottenere un tampone. Si tratta cioè di persone infettate già da tempo, che erano rimaste senza diagnosi. Quello che disturba è che avrebbero potuto ottenere un test molto prima». Quanto è pericolosa la situazione? «Quella di Milano è un po’ una bomba, appunto perché in tanti sono stati chiusi in casa con la malattia. Abbiamo un numero altissimo di infettati, che ora tornano in circolazione. Perché la situazione non esploda è evidente che sono necessari maggiori controlli. La città preoccupa il sindaco Sala e il presidente della Regione Fontana, troppa gente ha ripreso ad affollare parchi e Navigli.  Mi chiedo perché da noi (in Lombardia) ci sia stato un atteggiamento quasi forcaiolo nei confronti dell’uso dei test rapido, il “pungidito”, che poteva comunque essere utile». Bisognava quindi intervenire in modo diverso nelle scorse settimane? «Si dovevano raggiungere coloro ai quali è stato detto di restare buoni a casa con i sintomi, per avviare il tracciamento dei contatti, e non mi riferisco solo alla Lombardia. Lavorando in quel modo prima avremmo avuto maggiore tranquillità adesso nell’aprire». Visti quindi i dati dei contagi, certe zone della Lombardia rischiano di richiudere subito. Sarebbe giusto? «Che con la riapertura si possano presentare dei problemi è un dato di fatto ineliminabile a priori. La nostra regione rischia di richiudere ma anche certe zone del Piemonte o dell’Emilia. Del resto si è deciso così, che se qualcosa va storto si torna indietro. Speriamo di no, comunque. Questo è il momento dell’estrema attenzione e responsabilità». Invece? «Alcuni hanno interpretato l’ingresso nella fase 2 come un “liberi tutti”. È un segnale di grande pericolosità, perché dovrebbe invece prevalere la cultura della responsabilità per limitare al massimo i danni». Il Covid-19, ci spiegano i virologi, sarà un compagno di merenda, più o meno aggressivo, praticamente a vita. Nel frattempo che facciamo, andiamo in campagna a cercare tuberi da bollire o a cacciare per mettere sulla brace un cinghialetto inurbato? No, sicuramente bisogna osare. Osare significa far ripartire la produzione e la vita normale. Una vita che non sarà mai più normalissima. A nessuno di noi piacerà sedere al ristorante a un tavolino attaccato a un altro che ospita uno sconosciuto. La stessa cosa al bar. Tutti però dobbiamo imparare a rispettare le regola del distanziamento e, udite udite, anche l’abitudine a fare la coda. Però il pessimismo se è possibile evitiamolo… il pessimismo no. Non si sa se usciremo da questa pandemia migliori o peggiori. Non lo sa nessuno e ciascuno lo valuterà a secondo della propria visione del mondo (catastrofisti versus provvidenzialisti), tuttavia abbiamo imparato in questi due mesi di lockdown a come evitare di farci del male. Dovremmo anche imparare a non rompere le palle agli altri… comportandoci civilmente. La scienza raccomanda prudenza: rispetto delle regole, niente assembramenti. O presto scatterà un secondo lockdown. L’invito alla fiducia e al tempo stesso l’obbligo dello Stato di rivelarsi tecnologicamente attrezzato sono l’unica garanzia per salvare il salvabile e per progettare il futuro. Sennò diventeremo il Paese dei “tragediatori”… e nulla più…

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