Parlamento: ridurre il numero dei parlamentari per andare dove? Chi pensa che questa riforma sia un primo passo per superare il bicameralismo si illude…

C’è qualcosa nell’aria di impalpabile che però giorno dopo giorno pare soffiare via certe tematiche sinora centrali nell’immaginario degli italiani e conferire loro molta minore importanza rispetto a ieri. La ‘guerra alla Casta’ che ha gonfiato le vele del M5s fino a issarlo sulla vetta della classifica dei partiti pare affievolirsi, scalzata da altre questioni – il Covid, il lavoro – poiché è chiaro che il Paese sente che le priorità sono altre: e così il referendum grillino sul taglio dei parlamentari non scalda i cuori, è per così dire fuori fase, di un’altra stagione, come un maglione in agosto; e infatti l’affluenza alle urne viene stimata bassa, al massimo del 30%. Peraltro fra gli interessati si registra un evidente riequilibrio fra un Sì che pareva plebiscitario e un No che era affare di élite. Da 95 a 5 (i numeri dell’ultima votazione parlamentare) sembra si passi adesso a un rapporto tutt’altro che plebiscitario, con un No in costante crescita anche fra i giovani, al Nord e fra i più istruiti. E mancano ancora più di 20 giorni al voto. Ma non basta. Nel pericolosissimo incrocio fra un referendum che non sta funzionando (dopo il No di Romano Prodi quanto reggerà la fragile barricata eretta confusamente da Nicola Zingaretti a favore del Sì?), le cose per il partito di Vito Crimi, cui comunque verrà addossata la responsabilità di una possibile débâcle – un facile capro espiatorio – sembrano mettersi male anche per il voto delle Regionali. La sensazione generale è quella di una grossa difficoltà del Movimento a trovare ormai una ragione per vivere, una via per trascinare un’esperienza politica oltre la stagione lontana del vaffa e quella successiva del governismo a ogni costo, governismo che peraltro ha nuociuto gravemente all’immagine dei 5 stelle, da Toninelli alla Azzolina passando anche per Di Maio. E non sarà un caso se l’avvocato Conte ostenti un inedito distacco dalle battaglie di quel Movimento cui pure deve tutto. Diciamolo chiaramente “non ha più amici”, il grillismo e ha molti meno fans. Così, vede molte certezze cadere giù e forse il peggio deve ancora venire. Nella vicenda del referendum costituzionale ci sono tre diversi protagonisti, che partecipano con diversi gradi di impegno e di presenza. Uno è quello costituito dai partiti, che in teoria sono tutti per il Sì, ma non si può dire che stiano facendo molto per la campagna referendaria. La destra, in particolare, sembra avere qualche dubbio, avendo capito che la vittoria del Sì alla fine non potrebbe che rafforzare il governo. E questo si capisce bene. Nonostante che Salvini e Meloni facciano “spallucce”. Il secondo protagonista è il variegato gruppo di intellettuali e commentatori, non necessariamente giuristi, che stanno animando in queste settimane un dibattito abbastanza vivace nel quale si sommano e si incrociano, com’è inevitabile, motivazioni e argomenti diversi e a volte contraddittori. Accade nei referendum… Intanto non si può non notare che la posizione del No stia crescendo, e certo non soltanto tra i costituzionalisti conservatori; ma anche tra molti che si sono battuti per i precedenti progetti di riforma costituzionale. Il terzo protagonista, silente, è il popolo elettore. Si fa presto a immaginare che, se andrà a votare, voterà per il taglio dell’odiata casta. Ma in qual numero e con quali percentuali è tutto da vedere. Due partiti, però, sono obbligati a prendere posizione: il Movimento 5 stelle, che è il padre ideologico e l’autore pratico della legge e di fatto l’ha fatto, seppur senza fare alcuna reale campagna referendaria… E il Partito democratico, che è il principale partner dell’alleanza. Tuttavia il PD, come si sa, parte da una situazione difficile: ha votato no per tre volte e infine sì, per evidenti ragioni politiche, in cambio di impegni (i famosi “correttivi”) che sono stati del tutto disattesi. Così quello che è, o dovrebbe essere, il più solido sostegno dell’attuale governo oscilla dalla tesi che la riduzione del numero dei parlamentari senza correttivi è un vulnus per la democrazia, a quella che tale riduzione è però da sempre nel suo Dna. Rimembrando che in altri tempi, all’interno della proposta di riforma del bicameralismo perfetto o paritario, includeva anche l’ipotesi di riduzione nel numero dei parlamentari. Una bella confusione, dunque, che a volte sfiora i toni della disperazione, a volte produce, anche da parte di esponenti illustri, un poco decoroso arrampicarsi sugli specchi. Intanto nel partito monta il disagio e cresce la ribellione a un voto positivo che appare come un cedimento clamoroso alla politica, peggio, alla cultura grillina. È da presumere che la prossima Direzione del PD, grazie a qualche salvagente lanciato dai 5 stelle e/o da Italia viva (leggasi promessa di legge elettorale, che vale quanto può valere una promessa dell’ultimo momento), deciderà per il Sì, salvo lasciare liberi, come è inevitabile, militanti e dirigenti di votare come gli pare. Il risultato sarà che, in ogni caso, la vittoria sarà dei 5 stelle (un’ulteriore risultato contro la democrazia e contro il Paese); e il Pd farà e non è la prima volta, la parte di chi gli regge la coda. Infatti, la pura e semplice riduzione del numero dei parlamentari, senza toccare il funzionamento delle istituzioni rappresentative, non ha altro significato possibile se non quello di una riduzione del ruolo del Parlamento. Si inquadra in modo esplicito nel ridimensionamento della democrazia rappresentativa sempre teorizzato dal Movimento, che infatti ha presentato anche altre proposte di legge che vanno nella stessa direzione, come quella che introduce il vincolo di mandato (che, in parole chiare, significa che il parlamentare è responsabile verso il suo partito e non verso i suoi elettori). Certo, siamo oggi circondati dalle macerie di tutti i tentativi di riforma organica fatti negli ultimi trent’anni. Si illuderebbe chi pensasse che si possa, nel prossimo futuro, realizzare un obiettivo tante volte mancato. Solo una nuova e diversa fase politica, con diversi soggetti in campo, potrà forse consentire di affrontare di nuovo il tema. Ma si illude altrettanto chi ritiene che intanto si fa un primo passo, poi si continuerà con gli altri. Davvero qualcuno può pensare che la riduzione dei parlamentari apra la strada a una seria riforma del bicameralismo? O che meno parlamentari siano più efficienti, o più qualificati? Suvvia, non prendiamoci in giro. Questa riforma è semplicemente inutile, se non nel quadro strategico del Movimento 5 stelle. I “correttivi” a cui si pensa non fanno che confermarlo. Pensare che la legge elettorale, che è una legge ordinaria, quindi modificabile in qualunque momento, possa fare da garanzia democratica a una legge costituzionale, è assurdo. E un Senato ancora più identico alla Camera rende il bicameralismo paritario se possibile ancora più insensato. Tutto ciò non sarà la fine della democrazia ma ne comprime ulteriormente la rappresentanza; alla fine sarà un ulteriore cedimento alle pulsioni populiste che trovano spazio non soltanto tra i grillini, ma, ahinoi, ormai in tutta la politica italiana…

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