Partito Democratico: un gran patatrac…

«A Matteo Renzi è riuscito un piccolo capolavoro: passare dalla parte del torto pur avendo fondate ragioni. Il suo stop alla trattativa di governo tra M5S e Pd posa su argomentazioni solide: il rischio di dare vita a un Frankenstein politico, che non avrebbe risolto i problemi del Paese e avrebbe trascinato il Partito Democratico in una avventura senza ritorno, era altissimo, condiviso dalla maggioranza degli iscritti ed elettori del partito…». Così scrive Stefano Cappellini – su La Repubblica – del 1 maggio. Incapibili a questo punto della vicenda: i tempi e le forme, il modo con il quale l’ex premier ha scelto di intervenire nel dibattito sulla formazione del governo. Con un’intervista televisiva. «Altro che ho il diritto dovere di spiegare le mie idee». Così facendo Lui ha negato il diritto di parola alla Direzione, nella quale avrebbe avuto modo di far valere le sue buone ragioni. Una comunità politica vive del rispetto di queste forme. Ha così prodotto l’ennesima peggiore conseguenza: precipitare il Pd in una condizione – di caos e di ulteriore frattura interna. Un effetto che Renzi non poteva certo ignorare cosa avrebbe causato. Sapeva bene, che il suo intervento avrebbe delegittimato l’azione del reggente Maurizio Martina e che una sua parola pubblica sarebbe stata sufficiente a demolire il percorso concordato con l’esploratore Roberto Fico e dunque anche con il Quirinale. Un percorso che – è bene ricordarlo – non prevedeva un accordo a tutti i costi tra Pd e M5S ma la possibilità di verificare in una sede ufficiale le compatibilità di programma. Un passaggio che anche i detrattori dell’intesa (lui per primo) non dovevano temere, piuttosto auspicare, dato che avrebbe potuto certificare quanto incolmabile fosse la distanza tra le due forze, e non sulla base di dichiarazioni tribali di guerra bensì sulla effettiva inconciliabilità delle proposte… Invece, ha chiaramente voluto mandare per l’ennesima volta un messaggio: qui comando io! Conseguentemente Renzi dovrebbe ora con solerzia rispondere a una domanda, rimasta inevasa da troppo tempo. Se comanda lui, perché ha scelto di dimettersi? Visto che non ha mai perso occasione di ricordare che tutti gli organismi del partito, dai gruppi parlamentari alla stessa direzione, sono composti in maggioranza da esponenti a lui fedeli? La questione è divenuta cruciale… ed evidenzia un fatto a lungo negato. Renzi ha un’idea proprietaria del PD. Ma c’è di più! Renzi: «È fermo al 4 dicembre del 2016». Sembra incredibile, invece è la verità. Mi è già capitato di commentare da questo Blog che l’ex Premier: «Se avesse a cuore l’interesse del Paese e non solo la sua permanenza sulla scena politica» …avrebbe preso in considerazione la possibilità di trovare una formula per aiutare la formazione di un governo seppur di transizione, fosse anche “l’appoggio esterno”. Invece ha chiuso a doppia mandata la porta del dialogo con il M5s e ha accusato i così detti “dialoganti” del PD di puntare alle poltrone. L’uomo è sicuramente arrabbiato, e ascoltandolo in TV …persino iroso. Ma con chi ce là? Seguendo la logica delle cose dette nell’intervista di domenica sera: con gli italiani che gli hanno votato contro nel referendum, impedendo di fatto una trasformazione della nostra Repubblica parlamentare, in una Repubblica semi-presidenziale …alla francese. E fedele a questo ragionamento, ha proposto un governo per le riforme, che riprenda in mano, la riforma costituzionale respinta a suo tempo. Un governo della durata di due anni, dedito a ciò e che alla fine riscriva una legge elettorale maggioritaria a doppio turno (ballottaggio) e riporti il Paese alle urne. Ci tengo a sottolineare la proposta fatta in TV da Renzi in un modo meno ermetico e più articolato, sicuro che se la proposta: «l’avesse presentata con minore ira si sarebbe capito meglio» dove voleva rimettere le lancette dell’orologio del Paese.  A prima del 4 dicembre 2016. Tuttavia i Democratici non hanno perso solo il referendum del 4 dicembre, sconfitta all’origine di ogni male nella narrazione renziana, ma sono arrivati al disastro del 4 marzo scorso dopo un quadriennio di sconfitte a ciclo continuo. Hanno perso la guida di decine di Comuni (e tra questi Roma, Torino e Genova) e di quattro Regioni (ultime proprio le due in cui si è votato in questi giorni, Molise e Friuli), vincendo solo laddove la formula è stata opposta a quella dettata dal quartier generale (le comunali di Milano e le regionali del Lazio, che il centrosinistra ha affrontato unito). Ma di questo, tra tweet e talk, non c’è mai stato tempo né voglia di fermarsi a discutere… E oggi siamo all’incredibile! «Autoproclamarsi comunque opposizione, di un governo che non c’è e che con tutta probabilità non ci sarà, auspicando che gli avversari si mettano insieme». Non sembra affatto una scelta lungimirante, né per il Paese né per il Pd. Continuare a pensare che Di Maio e Salvini debbano a tutti i costi essere quelli che devono governare il Paese perché hanno già l’accordo in tasca! Parrebbe detto francamente per il PD una cosa inaccettabile. E’ un gioco al massacro: «al tanto peggio tanto meglio» E il compito del PD dovrebbe invece doverosamente essere quello di scongiurarlo.
Già ma cos’è oggi questo PD? Se non altro che un …gran Patatrac*.

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* dice il vocabolario:
Onomatopea – Voce imitativa di una rottura per lo più seguita da un crollo rumoroso: “la seggiola si ruppe e lui, patatrac! Finì per terra”; frequente anche come s.m. (invariato), specifica nel senso figurativo di improvviso e rovinoso dissesto economico.

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