PD: ecco l’effetto Zingaretti…

(ma occhio a non sprecarlo)

Da 48 ore i media italiani hanno e stanno discutendo del presente e del futuro del Partito democratico: una centralità politica che i democratici non avevano da molto tempo. Il nuovo segretario inizia con una forte legittimazione. Saranno decisivi la scelta della classe dirigente e il posizionamento sui temi più caldi. Può piacere o meno ma le primarie di domenica hanno dato una scossa importante al Partito Democratico e possono essere considerate a pieno titolo un successo.  L’asticella della partecipazione era stata portata volutamente in basso dai Democratici: le aspettative pubbliche si aggiravano attorno al milione di elettori, un numero a portata di mano scelto anche per sfruttare l’effetto sorpresa di una partecipazione maggiore. Tuttavia, nessuno si aspettava davvero che i votanti potessero superare il milione e mezzo: duecento mila in meno rispetto a due anni fa, quando però lo stato di salute del Pd, che si aggirava attorno al 27% dei consensi, era ben diverso. Nel complesso, Nicola Zingaretti può quindi iniziare il proprio mandato da segretario con una legittimazione forte (anche questa superiore alle aspettative) e un Pd nuovamente al centro dell’attenzione mediatica. Avrà quindi tutti gli occhi su di sé in questi primi mesi, e dovrà essere attento a imprimere da subito al partito la svolta che gli elettori hanno chiesto a gran voce. Per la prima volta da mesi, tuttavia, i democratici possono affrontare la campagna elettorale futura con un piglio e uno stile diverso dal passato… Certo “una rondine non fa primavera”. Ma il buongiorno comincia dal mattino. E il buongiorno è presto detto nel caso del nuovo segretario del Pd: lo stile del suo proporsi al pubblico, il suo linguaggio e la forma riflessiva e pacata del suo parlare. A cominciare dalla dichiarazione appena dopo la sua elezione: con appunti scritti e la testa che si abbassava per leggerli. Un segno nemmeno troppo difficile da decifrare: forse un po’ di timore, poiché nonostante le batoste elettorali che lo hanno ridotto ai minimi storici, si tratta pur sempre dell’essere stati eletti segretario di un partito che vuole uscire dall’angolo. Ma c’era qualcosa di più. C’era l’indicazione di un abito: a prendere appunti, a cercare le parole giuste per non concedere nulla alla demagogia. Questo stile ce lo eravamo dimenticati. Ci eravamo dimenticati lo stile dei rappresentanti di partito in una democrazia parlamentare. Che non sono capi di eserciti da combattimento; plenipotenziari che tutto possono dire e decidere; capi plebiscitari. E non vogliono sempre il tweet veloce e lapidario. È benvenuto questo cambio di passo. Perché una delle ragioni della condizione deprimente della nostra democrazia sta anche nell’eccessiva autostima dei suoi leader, in tutti i partiti (che in questo si assomigliano). L’audience televisiva e poi quella digitale hanno mesmerizzato politici grandi e piccoli, di destra e di sinistra; condizionato la forma stessa dell’azione politica. Hanno accorciato la dimensione temporale – tutto deve essere detto subito, di getto, come se parlare fosse solo asserire, dichiarare, pontificare. Lasciando i cittadini con l’opzione o di essere reattivi o di ritirarsi, di non partecipare. Il risvolto più problematico di questo fare da dux cum multitudine lo verifichiamo quotidianamente. I social sono ring per chi ha muscoli flessi, per atterrare coloro con i quali si dissente, o per aizzare con “bacioni” la propria audience contro quel che non piace. E a farci le spese in questa arena di gladiatori ringhiosi è la politica: che è discorso pubblico tra estranei, parlare di questioni e dialogare intorno a problemi… La nostra cittadinanza si è avvizzita anche a causa dell’imbarbarimento dello stile del discorso, dell’identificazione del senso del limite con il “buonismo”. Essere sinceramente intolleranti è indice di schiettezza; l’opposto è bollato come politically correct. I cittadini si fanno seguaci che amano o odiano. E coloro che parlano in loro nome sono capi e capitani, non rappresentanti; sono anchormen di uno spettacolo che cerca applausi. Che vengono facilmente dall’offendere chi è messo nella categoria dei deboli… Lo stile intollerante, il dileggio spettacolare sono divenuti un modo quotidiano di interagire, non sono una questione formale. Per questo, l’interruzione di questo stile con Zingaretti è già una boccata d’aria. In attesa di contenuti coerenti. E sono tre le sfide fondamentali che Zingaretti giocherà in questi primi mesi. La prima, è la scelta di una nuova classe dirigente. Molti l’hanno accusato di «riportare il Pd indietro»: il governatore del Lazio ora potrà rispondere con i fatti, promuovendo una segreteria giovane, fatta di volti nuovi, non ostaggio delle correnti. Il consenso delle primarie gli conferisce la forza per imporre i nomi che preferisce con estrema libertà. La seconda, è la sfida del posizionamento. Nei ringraziamenti dopo il voto, Zingaretti si è rivolto a molti segmenti sociali parlando loro direttamente e impegnandosi pubblicamente. Ora è il momento dei fatti. È partito dalla Tav, assieme al governatore Chiamparino, un chiaro segnale al Nord che l’ha premiato con percentuali plebiscitarie. Ora toccherà all’ambiente e alla lotta alla povertà, i primi impegni presi dal segretario domenica sera: due temi in cima alle priorità degli italiani, e fino ad oggi sottovalutati dal Pd. Infine, c’è la sfida del voto europeo (e amministrativo). Per le europee, Zingaretti dovrà far valere il ruolo dei Democratici, che dopo il voto di ieri non potrà essere subalterno al progetto di Calenda, ma dovrà essere il perno di una coalizione larga. E soprattutto, dovrà lavorare molto nei comuni che andranno al voto. Per il Pd, le comunali sono una sfida ancor più decisiva del voto europeo: gli amministratori sono la grande forza del centrosinistra, perdere tanti governi locali sarebbe un sacrificio sanguinoso. Per la prima volta da mesi, tuttavia, i democratici possono affrontare la campagna elettorale futura con speranza: d’altronde, le primarie hanno spesso fatto da traino al centrosinistra, in particolar modo quando, come avvenuto domenica, la partecipazione è andata oltre le aspettative. È lecito quindi attendersi un effetto-Zingaretti nelle prossime settimane, ma non bisogna perdere di vista il punto di partenza: quello di un partito reduce da un anno di delusioni, sconfitte, liti interne e venti di scissione – per adesso rimandati.

E’ sempre tempo di Coacing! 

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