PD: Giochi chiusi per le candidature sei in corsa: Boccia, Corallo, Giachetti, Martina, Saladino e Zingaretti

Eccoli, rigidamente in ordine alfabetico. Ultime contestazioni (superate) su raccolta firme per Giachetti. La domanda che gira (perché la si vuol far girare) è: ma senza Matteo Renzi  nel PD c’è ancora vita? Già perchè il PD, nonostante i piani dell’ex segretario, non sembrerebbe ancora morto… sicuramente è e resta in stato comatoso. E nel congresso, a partire dalle primarie aperte, resta aperta la ‘trappola’ di un possibile ulteriore referendum su Renzi. Infatti, Il problema del partito (grazie al lavorio soprattutto di Renzi e dei suoi) è stata la incapacità di analizzare e anestetizzare la paura di perdere definitivamente un ‘presunto’ leader… Bene, ora è chiaro, Renzi non si candida… ma resta lo spettro scissione nel PD. Quando Matteo Renzi dice che non ama le correnti intende dire che non vuole stare e agire all’interno di un partito nel quale esistano altre correnti oltre la sua… È sempre stato così ma il suo autoritarismo è risultato fin qui alquanto imperfetto perché il Partito Democratico ha dimostrato in tutti questi anni di poter rinunciare a molto – anzi praticamente a quasi tutto – ma non alla sua democrazia interna. Si può passare sopra il fatto che le Feste dell’Unità si siano trasformate in party e che i dibattiti politici siano stati sostituiti dal luna park; si è accettata senza battere ciglio la fine ingloriosa dell’Unità e il fatto che il suo archivio storico venisse regalato a privati; si è potuto chiudere un occhio sulla chiusura di decine di circoli e sul crollo degli iscritti, ma lo spazio riservato alla tutela delle mozioni minoritarie non può in nessun modo essere messo in discussione, figuriamoci se addirittura soppresso come nei desii del “Napoleone” di Rignano sull’Arno. Prova ne sia il fatto che morta una minoranza se n’è creata immediatamente un’altra e dove un tempo c’erano bersaniani e dalemiani oggi ci sono cuperliani e orlandiani e un domani potranno esserci addirittura gentiloniani e orfiniani. Il PD è sempre più nel Caos. Renzi nega la scissione ma questa è sempre più probabile e si lavora, nonostante le smentite comunque per un progetto civico che è qualcosa che va oltre e non è il PD.  La democrazia interna, certo, come ci ricorda un memorabile titolo di “Cuore”, ha pure dei limiti: «votano anche gli stronzi!» Ma se perfino il Movimento cinque stelle ha dovuto cedere, pian piano, almeno all’idea che le diverse voci che lo animano non possano fare politica sempre e solo all’unisono, è facile intuire quanto possa essere complicato convincere un democratico che si possa fare a meno di questo che è più di un meccanismo di tutela delle minoranze, ma è un vero e proprio marchio di fabbrica. Mentre l’ex segretario del PD, anche se continua a negarlo, lavora già da mesi alla nascita di un suo movimento (non si spiega altrimenti la tempistica che vuole logo e nome già pronti all’uso), e quanti gli hanno tenuto il gioco al Largo del Nazareno avrebbero dovuto – nei suoi programmi ma a loro insaputa – occuparsi di mandare definitivamente a ramengo il più grande partito della sinistra italiana. In che modo? Essendo consapevole di essersi circondato di mediocri – in larga maggioranza saliti sul suo carro a giochi fatti, e solo perché quelli erano gli unici posti a sedere – Renzi sa perfettamente che è sufficiente lasciarli senza guida perché quelli, autonomamente, vadano a sbattere… Candidiamo Marco Minniti? Fate, fate. Dare carta bianca a Dario Nardella e Luigi Marattin, significa necessariamente accendere la scintilla dalla quale non potrà che scaturire un’implosione. D’altra parte la più grande abilità degli “uomini della provvidenza” consiste nel circondarsi di persone nettamente inferiori in modo che nessun luogotenente possa nemmeno lontanamente ambire a prendere in mano le redini dell’intera armata in assenza del comandante in capo. Difatti oggi la corrente che esprime il maggior numero di deputati in parlamento, di delegati in assemblea e di dirigenti in segreteria, non riesce a muovere un solo passo – nonostante formalmente abbia mano libera – in assenza di un chiaro segnale da parte di un tizio che ufficialmente non ha più alcun ruolo di rilievo all’interno del partito, essendo il semplice Senatore di Scandicci e Firenze. Da questo punto di vista è ancora più ridicola l’accusa mossa un giorno sì e l’altro pure verso un fantomatico “fuoco amico”. Matteo Renzi non ha mai voluto vicino a sé amici perché averli avrebbe potuto comportare la messa in discussione del suo ruolo di guida suprema. E infatti oggi, mentre tasta il terreno in Europa, Renzi si porta al traino solo l’inconsistente Sandro Gozi, uno che nel Pd ha sempre avuto al massimo il ruolo di “galoppino” e di comparsa, e non certo quelli che sono da sempre riconosciuti come i suoi due ‘alter ego’ per eccellenza, nonché amici del cuore Luca Lotti o Maria Elena Boschi. Così come quando si è trattato di decidere a chi cedere il proprio ticket alle ultime primarie la scelta è ricaduta sul mite Maurizio Martina e non su Lorenzo Guerini, e quando si è trattato di imporre un governatore per l’Emilia-Romagna è toccato all’ex bersaniano Stefano Bonaccini (mentre si chiedeva un passo indietro al fedele Matteo Richetti) è così via, all’infinito, finché del Giglio magico non rimarrà nemmeno lo stelo e dei renziani che hanno consumato scarpe e carriere rincorrendo le scelte di un capo ‘eterno’ perdente non rimarrà manco l’ombra (eterno, sì, perché il famoso 41% delle Europee 2014 arriva cinque mesi dopo la sua prima elezione a segretario e non è ragionevole ritenere che quel risultato sia attribuibile esclusivamente alla sua segreteria). E oggi Martina e Richetti corrono in ticket alle primarie del 3 marzo p. v.  Il piano renziano di smantellamento del Partito democratico preliminare al suo totale annientamento avrebbe potuto funzionare se non fosse che, ancora una volta, sotto la pioggia di proiettili esplosi, invece che morire l’animale è entrato in coma, in un Paese in cui il suicidio assistito non è assolutamente contemplato. Nonostante tutti si augurino, arrivati a questo punto, che il PD si dissolva, nessuno si assume la responsabilità di staccare la spina, di compiere quel gesto che proprio non appartiene alla loro cultura di “cattolici perbene”. Non funziona ormai da anni, non cammina, non parla, forse nemmeno ragiona. È attaccato solo alla macchina dei gazebo ma pur sempre respira. E finché respira, continuerà a respirare. E finché avrà fiato in gola, Matteo Renzi non potrà ambire a un suo superamento e dovrà continuare a rimandare la nascita di un suo partito personale a corrente unica e non alternata… Lo stallo nel quale è precipitato per l’ennesima volta il PD dopo il ritiro di Marco Minniti dalla corsa a segretario racconta questa storia. Che è la storia di uno – Renzi – che cerca invano una vittima sacrificale, uno che accetti placidamente di condurre il PD in una condizione di caos totale, dalla quale potrà nascere la sua stella danzante. Ma trova, come è ovvio, solo gente che si sfila. Ed è la storia di un senatore semplice che al massimo, in questo momento, potrebbe avere la forza di fondare una pagina su Facebook e non certo una nuova formazione politica (pochi giorni fa è comparso l’account «Movimento LibDem» con tanto di simbolo e slogan, rilanciato da altre pagine di fede renziana e anche da Carlo Calenda, che se ne complimentava, ma è andato offline dopo poche ore). Facciamo un passo indietro: l’esperienza di Liberi e Uguali è stata utile alla sinistra solo per un motivo: ha dimostrato che per l’elettorato di quel campo non c’è vita oltre il partito erede del Pci. E non c’è nome capace di far confluire i suoi voti, destinati in realtà non al singolo ma a una certa struttura organizzativa, in un contenitore seppur vuoto. In questo caso il principio dei vasi comunicanti non funziona e due più due non fa necessariamente quattro. A quelle latitudini, rimane vero che il tutto è maggiore della somma delle parti. Ma soprattutto, per questo elettorato la personificazione della politica non è un male banale, nemmeno quando a personificare una certa tradizione o un certo ideale è un dirigente particolarmente amato. Leggi alla voce «Moderaramente Bersaniani». In tutto questo, peraltro, un ruolo fondamentale lo gioca il fatto che questi elettori siano gli ultimi veri militanti: hanno partecipato attivamente – spesso per una vita intera – alla costruzione del loro partito, investendo affetto e denaro, rinunciando regolarmente ogni estate alle proprie ferie e a ogni scampolo di tempo libero… Ecco anche perché il Partito Democratico non uscirà in tempi brevi dal coma in cui versa e dalla conseguente paralisi che lo immobilizza, non uscirà dalla grave crisi con un semplice coup de théâtre. Un Partito di Renzi è dato ipoteticamente al 12% ma ciò solo se non esistesse più il PD. Altrimenti è destinato, come è stato per qualsiasi altra formazione scissionista, all’irrilevanza. Ma non si tratta solo di una disputa sul voto inutile, il punto è che i partiti (e i fascisti, direbbe Olmo Dalcò in Novecento) non nascono mica come i funghi, così, in una notte: occorrono molti soldi (che Silvio Berlusconi, Beppe Grillo o Emmanuel Macron avevano e che Renzi non ha) e occorre un forte radicamento territoriale (vedi i Club Forza Italia e i MeetUp, al lavoro per almeno tre anni prima della nascita dei rispettivi movimenti politici) mentre Matteo Renzi è l’uomo delle scalate e delle guerre lampo e quindi per lui l’unica soluzione sarebbe avere a completa disposizione un apparato già collaudato come quello dem (iscritti, militanti, feste, giornali, fondazioni, case del popolo, circoli, sedi, amministratori). Insomma quella che dovrebbe condurre l’ex sindaco di Firenze alla fondazione di un nuovo movimento è una strada senza uscita, almeno finché esisterà il PD. E è già stato spiegato perché il PD (pur in coma) esisterà ancora per parecchi anni, con questo o con un qualsiasi altro nome… Rimanendo così le cose Renzi può solo tornare indietro, e infatti – per niente a sorpresa – è rispuntata l’ipotesi di una sua ricandidatura alla guida del partito, ma era solo il gioco dell’oca, si tornerebbe dritti al punto di partenza con gli stessi problemi di sempre, a cercare invano di azzerare una minoranza interna che ha invece questa capacità inscalfibile di rigenerarsi e rinascere dalle sue stesse ceneri, nonostante tutto e tutti, al di là di qualsiasi abbandono eccellente. Ma anche quello nel quale si muove a tentoni il PD è un vicolo cieco, comunicante con quello nel quale si trova Renzi. O forse è addirittura cieco proprio perché comunque continua a comunicare con Renzi. Tutti i dirigenti di prima, seconda e terza fascia continuano infatti a dire che Matteo è una risorsa per il partito e che per lui ci sarà sempre spazio. Il problema fondamentale, in definitiva, è che tutti gli aspiranti segretari del post Renzi vogliono fare un saltoin avanti, ma da seduti, mentre occorrerebbe un deciso colpo di reni. Un esempio? Si potrebbe iniziare col dire che un Senatore che fonda un proprio movimento politico, o almeno ci prova, è fuori dal partito nel quale è stato eletto e deve quindi convergere in un altro gruppo parlamentare. Si persevera invece nell’inutile tentativo di tenere unito ciò che proprio geneticamente è diverso perché si ha il terrore che senza Renzi si andrà incontro a una ulteriore sconfitta storica (ma dopo una serie di storiche sconfitte che senso ha?) e si perderanno per strada una ulteriore valanga di consensi (ma dopo essere scesi dal 41 al 18%,  ma quanto elettorato resta da perdere ancora?) Ma che cìè d’aspettare ancora cosa? Il ragionamento ricorda questa discrasia tra dati reali e percezione della realtà! Ah, sì, questa storia che nonostante gli sbarchi siano calati sensibilmente la paura degli immigrati continua invece a crescere, la storiella insomma sulla quale si regge l’inesorabile avanzata della destra in Italia e in Europa… A dover essere colmata è dunque sempre una distanza tra percezione e realtà. Ma mentre nel caso dei flussi migratori su questa discordanza il PD sta tentando di costruire la propria alternativa politica, quando si parla dello spettro del «senza di me» renziano, lo stesso partito si rivela assolutamente incapace di individuare, analizzare e quindi anestetizzare una paura obiettivamente infondata perché non trova riscontri reali nei numeri delle ultime tornate elettorali. E a quanto pare nemmeno nei sondaggi che davano Renzi dietro Nicola Zingaretti di 10 punti qualora l’ex segretario avesse riproposto la sua candidatura alle primarie del prossimo 3 marzo. Un bel paradosso, non credete? Intanto arrivati ai ceppi di partenza della corsa congressuale, si sono spaccati i renziani nella riunione convocata per decidere la posizione da tenere al congresso del Partito Democratico. Una parte appoggerà la candidatura di Maurizio Martina (e per quest’ultimo sarà un’abbraccio illusorio rispetto ad una possibile vittoria… si un abbraccio mortale, com’è stato per Marco Minniti, pur dirigente d’altra tempra e statura politica di Maurizio Martina), ma i fedelissimi renziani, inoltre, non soddisfatti della sintesi, varano un ticket tra Roberto Giachetti e Anna Ascani, che hanno annunciato la loro candidatura su Facebook. «Il congresso non può essere solo ad appannaggio di Martina e Zingaretti pur avendo per loro assoluto rispetto», ha spiegato Giachetti, aggiungendo: «Ci siamo confrontati con Anna e insieme abbiamo pensato che fosse giusto che chi di noi non se le sente di farlo in quel modo (con un accordo politico con il segretario uscente Martina), possa farlo direttamente, mettendo a disposizione una candidatura e noi proviamo». Con il ritiro di Minniti e la smentita di una possibile candidatura di Matteo Renzi in persona, la corrente dell’ex segretario non ha trovato una posizione di sintesi unitaria. La maggior parte ha deciso per l’appoggio alla candidatura di Maurizio Martina, dando mandato a Guerini per trattare con lui questo sostegno. Ma una minoranza ha scelto di percorrere un’altra strada… Tra gli interventi dei renzianissimi quello di Andrea Romano ha sostenuto, non si comprende ‘cum grano salis’,  che no! Non sarebbero «incompatibili» per l’area Renzi che convivano le due posizioni, vale a dire che una parte appoggi Martina e l’altra Giachetti-Ascani. Si vuole spiegare l’inspiegabile. Il fronte che sostiene l’opzione della candidatura alternativa, appare così alquanto debole… c’è già chi ha sottolineato che: «La riunione di oggi ha registrato una larghissima maggioranza a favore di una verifica per una possibile intesa col candidato Martina di circa una ventina di interventi su 25. Di fronte a questo esito sembra che eventuali iniziative di candidature alternative, rischino di essere troppo minoritarie e di non arrivare al voto degli elettori delle primarie, rischiando così di favorire la candidatura di Zingaretti obiettivamente più distante». Di conseguenza che succederà effettivamente… è pensabile  che nella realtà il “cerotto” Giachetti/Ascani sia un’ulteriore finta pausa di riflessione… per fare la scelta ben meditata. Visto che non c’è che dire: sono i cromosomi costitutivi del renzismo ad essere all’origine delle divisioni… e che prima o poi…  l’ex segretario uscirà dal PD… per la semplice ragione che non solo non può controllare ciò che resta del Partito Democratico ma non può controllare nemmeno più i suoi come un tempo… Dopo nove mesi di incomprensibili esitazioni il PD approda nonostante tutto alla scelta del segretario. E lo fa attraverso la solita ‘frusta’, con la procedura delle primarie aperte. Ciò a dire che in tutto questo tempo il PD non ha trovato il tempo di discutere il merito di questo meccanismo. Non ha saputo e voluto comprendere quanto questa modalità di selezione del leader scardini dalle fondamenta l’idea stessa di partito e, della democrazia delegata-rappresentativa nel suo complesso… Ma ormai è tardi, e la corsa è cominciata e probabilmente già finita. Con il restare del disturbatore in pista, Matteo Renzi. Dall’alto – o dal basso – dei suoi clamorosi insuccessi l’ex-segretario continua a pontificare su quello che deve essere fatto per “salvare l’Italia” (Porta a Porta dell’altra sera). E ovviamente ancora il PD, questo PD senza una guida ufficiale, non può fare nulla… In fondo cosa è il PD senza un “nuovo leader?” Un misero accrocco di dirigenti che cercano una poltrona, una palude di iscritti ormai afasici, un ricettacolo di nostalgici della sinistra dispersi nel nuovo mondo… Ricordate? lo scrive Piero Ignazi, oggi su Repubblica: «Al di là della sua gente non c’era nessuno che valesse la pena di essere salvato. Come Renzi gridò in una Leopolda qualche anno fa: “non lasceremo che questi (i non-renziani) si riprendano il partito perché sono persone che non sanno dove mettere il gettone nell’iPhone”. Renzi ha sempre lavorato con un obiettivo ben chiaro: conquistare il partito per fare terra bruciata degli avversari. E c’è riuscito spingendo ad uscire, con insulti e dileggi, gran parte dei suoi oppositori (che peraltro non hanno avuto la forza di resistere in attesa della rivincita). Il dominio incontrastato sul PD negli anni della sua segreteria si trasforma ora, nella sua narrazione in un puro stile da “piagnone” fiorentino, in un calvario di trabocchetti e stilettate alle sue spalle da parte delle minoranze. Una ricostruzione allucinante per chi abbia un minimo di senso della realtà. Basterebbe ricordare lo svolgimento simil-castrista delle direzioni del partito dove, dopo l’intervento fiume del leader maximo, agli altri toccavano 5 minuti , in modo che tutto finisse presto. Che fatica deve essere stato ascoltarli per così tanto tempo. Adesso che l’opera di distruzione del Pd è completata, Renzi ha le mani libere. Non c’è niente di male, né di inedito, che un ex-segretario prenda un’altra strada: del resto, addirittura Bersani se n’è andato dalla Ditta. Ma Renzi non sbatte la porta, rimane con un piede dentro e uno fuori. In effetti, non ha ancora trovato il casus belli per giustificare politicamente la sua dipartita. L’idea di dar vita a un movimento anti-populista ed europeista non è certo in contrasto con le prospettive politico-ideali di tutti i concorrenti alla segreteria. E quindi traccheggia: vado o non vado? Ma la spinta verso nuovi lidi è molto forte perché al fondo c’è un problema di potere. Renzi non sopporta di essere secondo a Roma. Necessita di poter disporre a piacimento di un proprio gruppo di fedeli, che lo seguano e non facciano tante storie. Che senso ha stare in minoranza nel PD? Del resto, lo statuto delle sue fondazioni, Big Bang prima e Open poi, casseforti economiche e relazionali dell’ascesa del leader fiorentino, recitava , testualmente, che lo scopo dell’associazione era quello di “supporta(re) le attività e le iniziative di Matteo Renzi, fornendo un contributo finanziario, organizzativo e di idee alle attività di rinnovamento della politica italiana, in particolare quelle articolate intorno alla figura di Renzi”. Chi ha condotto la propria (fortunata) ascesa politica con tali veicoli di promozione personale male si adatta a perseguire progetti collettivi, a confronto con altri, discutendo e mediando. Molto meglio una propria “squadra” (come diceva Berlusconi). Il modello della République en Marche di Macron si attagliava perfettamente a Renzi, soprattutto per l’impostazione personalistica e verticistica di quel partito più che per le sue politiche. Ora, forse, affiora qualche perplessità. Ad ogni modo, l’ex segretario è in via di uscita dal PD per la semplice ragione che non può più controllarlo totalmente e i suoi finiscono per dividersi. Per questo, se del PD ne rimangono ceneri non piangerà di certo. Anzi». Siete destinati a scindervi nuovamente… c’è solo da convincersi: cari democratici, coraggio fidatevi almeno di voi stessi, per quel che resta e sarà poi il PD, solo senza Matteo Renzi, c’è e ci sarà ancora vita!

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