PD: in difesa di Nicola Zingaretti…

Ora che risultati elettorali e sondaggi lo danno un punto giu, un punto su, ma comunque in declino… molti autorevoli commentatori intonano già il canto funebre per un leader Zingaretti, segretario PD da meno di un anno, che ha l’unica colpa di aver fatto tutto quello che dicevano loro e che in realtà volevano i vari capi correnti del partito democratico… Da quando i risultati delle elezioni regionali e quelli ancor più impietosi dei sondaggi hanno messo in luce la debolezza del Pd, editorialisti e retroscenisti hanno cominciato a dare per scontata non meno che imminente la conclusione di un’agonia politica di cui, in verità, non ci avevano mai raccontato l’inizio. E così, mentre già si cominciano a leggere i nomi dei possibili successori di Nicola Zingaretti, alle profezie di sventura sulle prossime scadenze elettorali si aggiungono le critiche e le recriminazioni, e in molti si domandano come sia potuto accadere che l’alleanza giallorossa, nata poco più di due mesi fa per sbarrare il passo alla destra, in così poco tempo sembri avere già sortito l’effetto diametralmente opposto. E nel Pd iniziano le recriminazioni sulla scelta fatta ‘obtorto collo’ da Zingaretti spinto dalla ‘mossa del cavallo’ fatta da Renzi. Qualche interrogativo in verità si pone; c’è da chiedersi: “dentro il Pd quanti sono gli ingenui e quanti i politicamente incapaci? E’ mai possibile tanta ingenuità? O è vera e propria incapacità politica? Possibile non accorgersi della trappola ordita da Renzi e dai suoi? Dopo 14 mesi di politica dei ‘popcorn’ all’insegna del “mai il Pd coi 5stelle”. Al sì, senza alcuna riserva al Governo Conte 2 all’indomani della “chiamata alle armi” per i “pieni poteri” fatta dal Papeete dal Ministro e Vicepremier del primo governo Lega-5stelle Matteo Salvini. Renzi era dal 4 marzo dello scorso anno… che preparava una terribile trappola in cui far cadere l’ex suo partito e tutti quelli che lo avevano contrastato, ovvero quelli che con una semplificazione definiva il “fuoco amico”. Renzi, si era accomodato comunque al Senato (Senatore semplice di Firenze e Scandicci) dopo aver comunque nella sconfitta elettorale del Pd, con il colpo di mano della compilazione delle liste, mantenuto un’ampia maggioranza nei gruppi parlamentari in modo di poter bilanciare quella persa nel partito a favore di Zingaretti. A suo tempo Renzi era diventato il Segretario e contemporaneamente il leader del Governo del Paese… con grande slealtà nei confronti di Enrico Letta… Con la sua azione di Governo, Renzi e la sua contemporanea Segreteria, ha diviso il partito e svuotato qualsiasi ragione di un riformismo di sinistra tanto che alla fine il Pd non è stato più riconosciuto nelle sue istanze ed è stato abbandonato da più di 6 milioni di elettori… andati in parte alla Lega e ai 5stelle e molti all’area dell’astensionismo. Adesso dopo la politica del ‘popcorn’, ecco che fa un doppio salto mortale carpiato all’indietro con l’ok a formare il governo coi 5stelle e il si, alla Presidenza del Consiglio numero 2 per Conte; una richiesta di Ministri e Sottosegretari renziani nella compagine governativa… mentre già aveva deciso l’uscita dal Pd per formare un nuovo partito (Italia Viva) da usare come clava per differenziarsi e rendersi visibile nel governo giallorosso con polemiche e atteggiamenti nonché proposte “corsare”. Questi sono gli elementi che danno forma e sostanza alla “grande trappola” ordita da Renzi nei confronti del suo ex partito. La trappola non solo è verso i piddini. L’ex premier ha chiuso la decima Leopolda, quella che ha lanciato ufficialmente il suo nuovo partito Itala Viva, con l’ambizione di puntare a un campo nuovo: liberale, riformista e anti-sovranista. E con l’obiettivo di un risultato a doppia cifra ripetendo il successo di Macron in Francia con “En Marche”. Da una parte l’assicurazione agli alleati della maggioranza giallo-rossa che non sarà da parte di Italia Viva che verrà il colpo che farà cadere il governo. Dall’altra comunque porta avanti la doppia Opa ostile contro il Pd e contro Fi nel tentativo di ricostruire un campo di centro, liberale, riformista e anti-sovranista, ma con lo sguardo rivolta a destra… Cosa dicono i sondaggi? Giusto la scorsa settimana: la media tra le rilevazioni di tutti i principali istituti di sondaggi certificata da Youtrend/Agi ha messo nero su bianco che il centrodestra avrebbe ormai la maggioranza assoluta dei consensi, mentre quello che dovrebbe essere il primo partito di opposizione, il Pd, otterrebbe appena il 18,7. Vale a dire esattamente lo stesso identico risultato delle politiche del 2018, quel minimo storico al quale era stata (giustamente) inchiodata la leadership di Matteo Renzi. Pertanto, obiettare che sul risultato di oggi pesa la scissione di Italia Viva sarebbe doppiamente fuorviante: in primo luogo perché, il risultato ottenuto dal Pd in Umbria (22,3), dove Italia Viva non si presentava, proiettato su scala nazionale sarebbe perfino inferiore (16,8). E in secondo luogo per una ragione di buon gusto, prima ancora che logica: sono infatti i sostenitori della tesi secondo cui a far crollare i consensi al Pd sarebbe stata la svolta a destra impressa da Renzi a dover spiegare perché, dopo la sua uscita dal Pd, quei voti non siano tornati a casa. Tanto più in corrispondenza del tracollo del Movimento Cinque Stelle, che secondo la stessa teoria si sarebbe giovato proprio di quei voti di sinistra messi in fuga da Renzi (a giudicare dai flussi, se ne dovrebbe concludere che i voti di sinistra trasmigrati dal Pd verso di loro abbiano infine trovato casa nella Lega di Matteo Salvini). Ma Nicola Zingaretti, a essere onesti, non è né il primo né il secondo nella lista di tutti coloro che dovrebbero dare qualche spiegazione in proposito. A spanne, direi che almeno i primi cento posti sono già occupati, con miglior titolo, da una lunga schiera di giornalisti, intellettuali e conduttori televisivi – ma anche attori, cantanti, registi e scrittori – che da almeno due anni ci spiegano come il Pd debba fare esattamente tutto quello che ha fatto Zingaretti negli ultimi due mesi. Un coro assordante che non ha solo contribuito a spingere il Pd sulla strada sbagliata, ma che ha al tempo stesso contribuito a metterlo nella posizione oggettivamente più difficile: quella di chi deve praticamente chiedere solo perdono per tutto quello che ha detto e fatto fino al giorno prima, e che dai Cinquestelle ha solo da imparare, se vuole riconquistare un rapporto con il suo popolo, con le periferie, con gli esclusi. Quante dotte lezioni sono state inflitte ai dirigenti del Partito Democratico su come prendere esempio dai Cinquestelle, a cominciare dal reddito di cittadinanza, fino a ieri indicato da tanti come il tipico provvedimento di sinistra che il Pd avrebbe dovuto essere il primo a sostenere. E oggi come l’emblema di un metodo di governo capace di illudere molti per poi scontentare tutti, con effetti disastrosi tanto sul governo del paese quanto sul consenso dei governanti. La trappola di Renzi che ha costretto Zingaretti alla linea dell’abbraccio acritico e incondizionato ai Cinquestelle – peraltro più simile a quello di un pugile suonato nei confronti dell’avversario che a quello di un innamorato – non si sarebbe affermata in modo tanto rapido e incontrastato, se non avesse anche avuto alle spalle due anni di un simile cannoneggiamento. Per quanto l’immagine possa risultare straniante, gran parte dei nostri più autorevoli commentatori somigliano agli amici dell’indimenticabile Sogliola di Animal House, e con lo stesso spirito oggi sembrano compatire il segretario del Pd: «Avanti, Nicola, vorrai mica passare il resto della vita a piangere sul latte versato? Hai fatto una sciocchezza: ti sei fidato di noi…».

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