PD: mancano ancora scelte precise…

“La cornice entro cui si muove il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti è abbastanza chiara, però i contenuti  meno…” 

Così scrive chiosando su repubblica di qualche giorno fa Stefano Folli: “C’è qualcosa di nuovo e insieme di antico nello stile con cui Nicola Zingaretti ha cominciato a interpretare il suo mandato. Ad esempio, nessuno ricorda con precisione quando si era svolto l’ultimo incontro fra un segretario del Pd e i capi dei sindacati. Come è noto, Renzi non se ne curava, privilegiando il rapporto personale ed esclusivo – qualcuno diceva plebiscitario – tra il leader e il corpo elettorale. Viceversa Zingaretti ha subito colmato la lacuna e così abbiamo visto tra gli altri Landini, da poco segretario della Cgil, varcare il portone del Nazareno. Commento ovvio ma un po’ superficiale di qualche osservatore: la differenza tra Renzi e il neoeletto leader del Pd è tutta qui, il primo nella sede del partito incontrava Berlusconi, il secondo vede Landini…” Ma cosa sta veramente succedendo nel PD? Qualcuno sostiene: “Ops… che sono spariti i renziani dal PD (e Zingaretti non sa con chi trattare). In sostanza, tranne la piccola “fazione” di Giachetti, i fedelissimi dell’ex premier che al congresso hanno sostenuto la candidatura di Maurizio Martina che sono la maggioranza dei parlamentari PD, ancora non sanno come collocarsi e con chi andare. E di conseguenza il neo-segretario non sa con chi parlare per formare la segreteria unitaria… questa la notizia, che ormai circola insistentemente nei corridoi del Nazareno. Non riguarda direttamente il nuovo segretario Nicola Zingaretti ma ne sta condizionando i primi passi alla guida dei democratici. La notizia è che, di fatto, i renziani non esistono più. Esiste una piccola falange di affezionati inossidabili, disposti a sacrificarsi per l’ex capo anche quando non è lui a chiederlo, ancora intenti a interpretare ogni cosa che si muova all’interno del nuovo PD in chiave pro-Renzi o anti-Renzi. È la falange giachettiana, soprattutto la coppia formata da Anna Ascani e Luciano Nobili, a muoversi in questa direzione. Tutto il resto di quel che era il corpaccione renziano si sta rapidamente evolvendo, con fluidità sorprendente… Che Renzi avesse lasciato alla sua corrente un’eredità fatta di macerie era prevedibile, che i suoi peones riuscissero a far saltare praticamente tutto nel giro di poche settimane lo era meno. Al di là del drappello di delegati facenti capo all’area capitanata da Roberto Giachetti – e della relativa battaglia di testimonianza fatta a colpi di tweet e di astensioni in Direzione – tutti gli ex fedelissimi che al congresso hanno sostenuto la candidatura di Maurizio Martina sono alla disperata ricerca di una strada da seguire. Un percorso tutt’altro che semplice, complicato dal pessimo risultato – decisamente sotto le aspettative – che l’ex segretario pro-tempore ha ottenuto nei seggi del 3 marzo scorso. E che ha già lasciato dietro di sé strascichi pesanti. Tutta quell’area, che conta una fitta schiera di deputati e senatori (numericamente, la maggioranza), è ora in balìa dello scontro furente esploso tra Maurizio Martina da una parte e la coppia Lotti-Guerini dall’altra. Il primo che accusa i secondi di non aver portato tutti i voti promessi, i secondi che imputano alla debolezza della candidatura dell’ex ministro la pesante sconfitta. Per non parlare delle esternazioni di Matteo Richetti, della diffidenza di Matteo Orfini (vedasi recentissimo mea culpa fatto dall’ex Presidente PD, sugli eventi di Torre Maura) vedasi l’ostentato distacco di Graziano Delrio. Le conseguenze di questa situazione sono sotto gli occhi di tutti. Ognuno si muove in autonomia, alla ricerca di una nuova posizione. C’è anche l’intempestività delle esternazioni del Senatore Zanda uomo di lungo corso e neo tesoriere PD senza tesoro che impopolarmente (sfida l’antipolitica) lanciando il rifinanziamento pubblico dei partiti e l’adeguamento degli stipendi dei parlamentari italiani a quelli europei… sostenendo genericamente che tutto è fatto all’insegna del risparmio (??!!). Comunque tra i renziani c’è chi ha già corretto la rotta, spostando la prua verso lidi più sicuri, chi invece attende che lo scontro si consumi (ma Renzi alla fine resterà nel PD?) ed esprima un riferimento d’area più sicuro. Zingaretti sta ritardando la formazione della segreteria unitaria perché non ha trovato un interlocutore per offrire il ruolo di vice segretario. Ma il governatore del Lazio non aspetterà in eterno, vuole chiudere prima delle elezioni europee. Quel che è certo è che questo stallo sta provocando dei grattacapi anche allo stesso Zingaretti. In primo luogo, la mancanza di un interlocutore sta ritardando la formazione della “segreteria unitaria” che il segretario aveva offerto alla minoranza. I nodi da sciogliere sono parecchi: accettare la proposta di Zingaretti di indicare un nome per il ruolo di vicesegretario, rinunciando così automaticamente al capogruppo alla Camera? E poi, eventualmente, il nome andrebbe individuato nel (piccolo) gruppo di parlamentari legati a Martina o nel (grande) gruppo degli orfani di Renzi? Tutte questioni che non possono prescindere dalla determinazione di una gerarchia precisa. Il governatore del Lazio, però, non può aspettare in eterno. Occorre chiudere la partita della segreteria prima della presentazione delle liste per le europee, altro rebus che ha cominciato ad affrontare in autonomia. Quattro capilista su cinque sono stati (quasi) ufficialmente individuati. Si tratta di Giuliano Pisapia nel nord-ovest, Carlo Calenda nel nord-est, Simona Bonafè al centro e Caterina Chinnici nella circoscrizione isole. Resta vacante la casella del sud, dopo il no di Lucia Annunziata. In tutto questo, è singolare come una delle fedelissime renziane, l’europarlamentare Simona Bonafè sia stata scelta direttamente da Zingaretti, senza attendere un via libera dalla minoranza, a testimonianza del fatto che anche i capisaldi apparentemente più solidi si stanno lentamente sgretolando… infine, per quanto riguarda le liste alle europee c’è ancora il tema della possibile alleanza con Mdp ad agitare le acque in casa PD. Nei giorni scorsi, c’è stato un passo formale dal segretario, Nicola Zingaretti, che ha aperto alla presenza in lista di esponenti candidati nel 2014 a Strasburgo con il Partito democratico e passati poi con Mdp. In particolare, il nome più probabile, è quello dell’eurodeputato uscente Massimo Paolucci. Un’ipotesi che inquieta soprattutto l’area renziana. Ma che continua a innescare il dibattito nel partito. Carlo Calenda (l’ex Ministro dello sviluppo economico da sempre ’militante’ nelle schiere dei liberisti, approdato dopo la sconfitta del 4 marzo 2018 nella schiera degli sconfitti ex ministri del PD) ha manifestato le sue perplessità e i suoi paletti. “Io penso che sia un errore candidare qualcuno di Mdp nella lista Pd-Siamo Europei. Ma, se così deve essere, almeno vanno riconosciuti i valori e sottoscritto il Manifesto, che è un programma condiviso, e dichiarato con chiarezza che non si persegue un’alleanza con M5S”, ha detto in un video su Fb a proposito della partecipazione degli scissionisti democratici alla lista per le europee. Francamente mi viene un commento sul raglio degl’asini… Già, ma quando si decideranno i renziani quelli che schieratesi con Martina, hanno detto con chiarezza che dal PD non se ne vogliono andare… ne prima ne ora, lasciando lo “scissionista” Renzi solo, e impedendogli di fare (per il momento) la sua “en marce”, a capire che il tracollo elettorale del PD è avvenuto tutto sul piano politico e su proposte economiche e istituzionali di segno marcatamente neo-liberiste, che negavano in buona sostanza un reale segno riformista alle stesse e negavano un reale sollievo economico alle classe meno ambiente e più bisognose… falcidiate nelle condizioni materiali di vita dal crescere delle disuguaglianze sociali indotte da una globalizzazione senza regole? E quindi avendo perso, lo ridico perso il consenso degli elettori del PD e conseguentemente il ritardatissimo congresso PD che ha visto “vincere alla grande” Nicola Zingaretti, che gli offre una gestione unitaria del partito, lasciando spazi di segreteria e altri incarichi, la devono piantare di pretendere di dettare condizioni astruse che continuano ad avere un carattere divisivo anche nel PD post-renziano? In sintesi, con buona pace di Giachetti & C. che se non contenti, irosi e protervi possono andarsene dove ripetutamente “siamo tutti stati mandati” in questi ultimi anni dal “Guru” della politica italiana Beppe Grillo e dove finalmente sembra anche lui essere stato mandato da ”Giggino” e Davide Casaleggio… Guardate la cosa è più semplice di quel che appare se l’obiettivo è l’unità del PD e l’allargamento del campo del centrosinistra con una politica economica e sociale che guardi al recupero dell’elettorato di sinistra che ha lasciato i PD perché ne ha visto l’eccesso di liberismo economico di politiche che davano a chi già aveva di più (vedasi 80 euro) dare l’opportunità di conferma della presenza a deputati eletti al parlamento europeo nelle liste PD e poi passati a Mdp è il giusto viatico… Calenda la pianti di dire ‘cazzate’ e mettere paletti all’ingresso alla lista per le europee del “PD-siamo europei” non è la sua lista personale perché è capolista ed è stato colui che per primo ha fatto la proposta di un raggruppamento ampio di centro-sinistra e oggi voglia scegliere chi vi entra sulla base di un discrimine tutto renziano (ampliamente sconfitto): “mai nessun accordo con i 5 Stelle!” non è questo l’obiettivo. Ma è Sì agli elettori già PD, che per gli errori renziani, sono passati (circa due milioni e mezzo) al Movimento 5 Stelle e che sono riapparsi in buon numero alle primarie votando Zingaretti ben oltre ogni aspettativa… Calenda li vuole quei voti si o no? Certo a Zingaretti rimane il grosso problema, della gestione dei gruppi parlamentari. Il Senato doveva essere una sorta di “ridotta renziana” e così è, almeno per ora, non fosse altro per la presenza dello stesso Renzi e degli uomini a lui più fedeli. Alla Camera ognuno si muove in ordine sparso. Il guaio è che su molti argomenti stanno emergendo delle differenze culturali e d’approccio politico profonde tra gli zingarettiani (vecchi e nuovi) e i turbo-riformisti renziani. Sul reddito di cittadinanza, come noto, il giudizio negativo dell’ala sinistra del PD è tutt’altro che definitivo e la battaglia per l’introduzione del salario minimo è una priorità. Approccio non condiviso da tutti, per usare un eufemismo. Senza una guida autorevole il caos potrebbe diventare ingovernabile. Segreteria, liste, gruppi parlamentari. Ecco il risultato dell’ultima involontaria? (ci pensa) polpetta avvelenata lasciata da Renzi al suo successore: la dissoluzione del renzismo… Ora, sicuramente, c’è qualcosa di antico nella discontinuità di Zingaretti, che come è evidente, ambisce a ricostruire una forza di sinistra con le sue radici sociali e un modo sperimentato di rivolgersi al Paese. C’è uno slogan (“prima le persone”, forse poco incisivo, in logica antitesi al salviniano “prima gli italiani”) e c’è un percorso che rimette al centro i cosiddetti “corpi intermedi” che piacevano poco a Renzi: adesso i sindacati, interlocutori privilegiati, tra breve magari le organizzazioni imprenditoriali. Peraltro la Confindustria si è appena schierata a favore delle elezioni anticipate, proprio in sintonia con la linea zingarettiana. Tutto bene quindi? Non esattamente. Come sostiene Stefano Folli “la cornice entro cui si muove il segretario è chiara, i contenuti molto meno”. A cosa è servito, l’incontro con i sindacati? A uno scambio di convenevoli, a riesumare l’atmosfera della “concertazione” che non esiste più da anni? La gravità della condizione economica (siamo di nuovo in recessione con il Pil a zero) impone di fare delle scelte e non è detto che le priorità sindacali siano le stesse del PD (vedasi l’eterna discussione su patrimoniale sì o no). L’impressione in ogni caso è che non sia più tempo di comunicati stampa generici a suggellare scambi di idee altrettanto poco concreti. Se l’intenzione di Zingaretti è di ricreare quello che un tempo si sarebbe detto “un blocco sociale”, forse il ritmo dell’azione politica dovrebbe essere molto più incalzante: rispetto alla maggioranza, in primo luogo, visto che finora il PD è stato abbastanza assente dal dibattito su tutte le questioni che stanno lacerando i rapporti tra Lega e Cinque Stelle. Certo, il segretario del Pd ha avuto un colloquio con l’ambasciatore degli Stati Uniti – si presume chiesto da quest’ultimo – che gli ha rappresentato le preoccupazioni americane per la scivolata filo-cinese del governo. Ma sarebbe interessante conoscere più in dettaglio qual è, se ne esiste una, la posizione del PD circa il rapporto con Pechino e su molti altri temi dell’agenda di politica estera… Quale politica s’intende perseguire nel prossimo Parlamento di Bruxelles/Strasburgo, al di là di garantire che “siamo europei”? E qual è in definitiva il ruolo di Calenda? Quanto alle relazioni con i sindacati di cui si diceva all’inizio, è evidente che una forza di sinistra non può prescinderne. Tuttavia sarebbe senza dubbio utile collegarle a un tema preciso, a un’idea che possa diventare un cavallo di battaglia non solo elettorale, ma politico come “prima di tutto il lavoro”. E se gli strumenti della comunicazione sono i social istantanei, una forza di centrosinistra deve misurarsi con essi, anziché guardare ai tempi in cui bastavano pochi gesti simbolici per mandare un messaggio politico a chi aveva orecchie per intenderlo…

E’ sempre tempo di Coacing! 

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