Pd: Renzi il congresso e quel “pasticciaccio” dei Comitati civici…

Mozzi e luogotenenti lo invocano. “Capitano mio Capitano” ma non il Matteo della Lega, terrore degli immigranti…  il loro Capitano è Matteo Renzi. Sì, ci risiamo il solito leit motiv: questi anni, il governo, il mito dei mille giorni, vengono continuamente evocati come Berlusconi vent’anni dopo evoca lo “spirito del ’94” dalla roccaforte di Arcore, attorniato dalla sua corte compiacente. L’orologio, biologico e politico, del renzismo è fermo al 4 dicembre 2016, senza alcuna critica e autocritica, elaborazione o analisi, anzi costruendo una teoria sulla rimozione della sconfitta. E’ lo smarrimento del principio di realtà. Silvia Fregolent, una delle amazzoni del renzismo, è un caso di scuola: “Basta analisi della sconfitta, facciamo l’analisi della vittoria, del 40 per cento che abbiamo preso alle europee” (Sic!). Concetto che, nell’intervento finale, Renzi porta al parossismo egolatrico: “Noi abbiamo preso il 40 per cento due volte, una abbiamo vinto, una abbiamo perso. E quel 40 per cento era frutto della capacità di dettare l’agenda, della capacità di leadership e di organizzazione del consenso. Abbiamo smesso di fare questo nel 2017″. Tradotto per il volgo: “quando è arrivato Gentiloni e io non c’ero più,  si è perso, non è vero che il 4 marzo è la conseguenza del 4 dicembre e della medesima rimozione. Diciamolo in chiaro. Il grosso della sala di Salsomaggiore, mentalmente, sta da già da un’altra parte, e non più nel PD. Vuole un’altra cosa, di fatto è già un altro partito, fanaticamente posseduto da una vocazione minoritaria. “Noi non chiediamo scusa a nessuno”, “non facciamo nessuna abiura”, è il refrain dei vari interventi che si susseguono: “Io – prosegue la Fregolent – mi sento ormai ospite in questo PD”. Nella maggior parte degli interventi nessun accenno a Marco Minniti alla sua candidatura da contrapporre a quella di Zingaretti. Si sa, tra i renziani Il rapporto con Minniti è alquanto controverso, perché l’ex ministro dell’Interno è culturalmente e politicamente un’altra cosa, difficile che possa cantare “Menomale che Renzi c’è” e presentarsi come il “candidato di”. È vissuto più come una necessità, all’interno di un mondo incapace di andare “oltre” se stesso. Una dura necessità che, al momento non scalda i cuori, anzi li agita vedendo i baffi di D’Alema  alla presentazione del libro dell’ex ministro dell’ interno. Un mondo quello renziano che vede intorno a se tradimenti e ingratitudine – quanti applausi in sala alle battute indirette su Gentiloni e Franceschini – e dove proliferano i professionisti della fedeltà e dell’ortodossia. Anche Lorenzo Guerini, uno dei pochi a nominare l’innominato (o quasi), non si sottrae allo spartito del culto della personalità. Gli tocca. Prima di spiegare che è necessario sostenere Marco Minniti: “Matteo in questi anni ci ha detto che non si può rimanere nei porti sicuri, ma si deve avere il coraggio di andare in mare aperto. Di non cedere alla tentazione di stare lì, a gestire la decadenza di una storia”. Facile la battuta: meglio provocarla la decadenza, e poi non se ne parla più. Ma questo è un altro discorso. Il prossimo intervento. Ecco Ettore Rosato il cui picchi evocano, le poesie dedicate da Sandro Bondi a Silvio Berlusconi: “Matteo, tu sei quello che ci ha saputo trasferire l’amore per guardare lontano. Non possiamo fare a meno di te”. È la solita storia, in questa Salsomaggiore dai colori grigi. Così come alla Leopolda qualche settimana prima, come sempre. Sempre più stretto, in se stesso più che nel partito e nel Paese, sempre più ripetitivo, senza slancio e fantasia, il renzismo è ormai la ridotta di un Capo che, di indole, preferisce comandare in una casa più piccola piuttosto che guidare assieme a altri,  in una più grande. Vuoi mettere, a sentirsi sempre chiamare Capitano. E c’è un motivo se, nel suo intervento, Renzi ha ripetuto almeno cinque volte “non sarò il capo di una corrente, perché per me il partito è un mezzo e non un fine”. O se per mezzo intervento dà l’impressione che non gli importa nulla del congresso, e neanche più di tanto del paese, perché “abbiamo fatto un grande pezzo di strada, con tante riforme mai fatte prima di noi,  ma gli elettori (sbagliando) non ce l’hanno riconosciuto, per colpa del “fuoco amico”. Adesso… vedranno come governano questi “principianti allo sbaraglio… già si vede,  ma il peggio deve ancora venire”. Dopo la politica dei  “popcorn” adesso quella del “tanto peggio tanto meglio” …ma per chi e per  che cosa? Renzi e i renziani sono impegnati su tre fronti: gettare fango sul governo e soprattutto su Salvini; tenere comunque il pallino in mano nel partito con la candidatura di Minniti (che al di là di ciò che pensa e dice l’ex Ministro che non si sente renziano, anzi sicuramente ha una sua autonomia e carattere, concepisce e interpreta bene un riformismo governativo) e che verrà comunque strumentalizzato e utilizzato nel gioco al massacro delle primarie PD; terzo, ma non ultimo costruire i “Comitati civici” lanciati alla Leopolda. Il meeting di Firenze è stato per Renzi l’occasione per lanciare l’ultima sfida – fra monito e minaccia – agli avversari interni, tenendo i piedi su due staffe: se il PD, sgominati i nemici vecchi e nuovi, resta suo, avanti con il Partito Democratico, che è comunque una forza elettorale attorno al 17/18%. Altrimenti PD addio e via con il nuovo progetto del nuovo partito “personale” stimato da recenti sondaggi in una forbice che va dall’8% al 15%. I “Comitati di azione civici” (la realizzazione dei quali è stata affidata a Scalfarotto)  sono un tassello decisivo di questa strategia, uno strumento di nuova resistenza politica sociale e civile fatto direttamente con i cittadini per i cittadini, sopra e oltre il PD, cancellandolo, se necessario. I valori guida dei comitati: Europa contro nazionalismo, crescita contro assistenzialismo, scienza contro superstizione, giustizia contro giustizialismo, vero contro virale, democrazia contro plebiscitarismo, società aperta contro esclusione, sono sicuramente valori forti e condivisibili, ma che Renzi continua a declinare ancor oggi, nonostante le sconfitte pesanti di cui è stato protagonista come fossero un concentrato di una confusa propaganda impregnata di banalità e come mostrato nel recente passato priva di spessore culturale, ideale e politico: “Questo governo di scappati di casa”. Che vuol dire, dove sta la politica il contrasto di idee le proposte alternative delle cosa da fare per rispondere e riprendersi coloro che non riconoscendosi più nel PD se ne sono andati. Rifugiandosi nell’astensionismo o addirittura votando per gli altri… Quella dei Comitati civici è un inquietante passo avanti, perché rischia di trasformarsi in un  pasticciaccio, perché segue anch’essa la logica dell’antipolitica e del populismo dei suoi nemici di cui, a parole dice di voler combattere. Renzi sposta così ancora più avanti i progetti abbozzati del “Fronte repubblicano” di Calenda e del “fronte largo” di Gentiloni e soprattutto dalla “Piazza Grande” di Zingaretti con il suo: “Ricostruiamo il PD, lasciamo la strada che ci ha portato alla distruzione”; perché salta a piè pari il ruolo e la mediazione dei partiti, delle associazioni e dei movimenti, puntando direttamente sui cittadini. Per un tale progetto, serve continuamente drammatizzare la situazione del Paese e lo scontro politico con allarmismi sui rischi per la democrazia e per l’economia dell’Italia. Si vuole risolvere la crisi della democrazia usando l’accetta della semplificazione delle procedure: dalle inutili primarie ormai tutta “fuffa” per la selezione dei gruppi dirigenti del partito, alle elezioni dirette locali su su, fino a quelle del Premier. L’obiettivo è quello di concentrare il potere, ovunque e a ogni livello. Non si vede nulla di diverso dal passato e nulla di nuovo, se non sempre più la somiglianza con gli avversari… Invece, per salvaguardare la democrazia, va evitato l’eccesso di potere perché la democrazia non è fatta per rendere più facile il comando ma per disciplinarlo e moderarlo. Renzi – sulla falsariga di Berlusconi prima e Grillo poi, pur con sfumature, linguaggio e strumenti diversi – incarna anche lui una vocazione estremista della politica, non certo una posizione moderata. Renzi accusa Salvini di estremismo quando l’estremista, con una sua sostanza politica, è anche e proprio lui. Renzi demonizza l’avversario, non percependo i problemi e i bisogni nuovi della società e non li traduce quindi in azione politica. Soprattutto mai di sinistra, e tanto meno vicino al PD delle origini. Lo dimostra plasticamente la sua voluta assenza all’Assemblea Nazionale di sabato scorso e il suo like a un suo sostenitore che l’invita a rompere gli indugi e uscire definitivamente dal PD per fare il suo partito/movimento. Renzi si vanta di essere “democristiano” dimenticando che la Dc aveva acquisito dalla millenaria tradizione cattolica importanti elementi di prudenza, di controllo, di mediazioni, ma anche di lungimiranza e di azione, ascoltando la gente, non dimenticandosi e non svendendo i suoi valori. Cosa è stato (ed è) il PD renziano se non centro di potere e cartello elettorale? Come non vedere che il cosiddetto nuovo renziano sia stato privo di un progetto strategico su “quale Italia” costruire, covasse dentro di sé una buona dose di corruttela e la peggior rozzezza politica: “o con me o contro di me”, la peggior cupidigia del potere con una riforma costituzionale e una legge elettorale, che introduceva di fatto una verticalizzazione istituzionale portandoci ad un a sistema semi-presidenziale. E soprattutto senza dirlo e giocando su una maggioranza parlamentare drogata da un premio di maggioranza. Di qui la crisi (anche elettorale) del PD, di qui la vittoria del M5S e della Lega e la spinta popolare pro Salvini, inteso come il “nuovo” in contrapposizione al PD e alla sinistra visti difensori dell’establishment nazionale e internazionale e sempre più lontani dal suo elettorato tradizionale. Per risalire la china a Renzi serve demonizzare il “nemico” andando oltre i nemici interni. Il nemico è il governo “ladro”, il nemico è il M5S (nessun accordo con i grillini!), il nemico dei nemici è Matteo Salvini cui vanno solo insulti e propositi di annientamento. L’idea di Renzi punta a legittimare la logica della leadership assoluta, dell’uomo solo al comando, del rapporto diretto con i cittadini, del superamento dei partiti e così via. Un film già visto. E in più elementi comune ai suoi principali nemici Salvini & Di Maio. I Comitati civici evocano brutte storie: ovunque ferve un gran lavorio e oltre 200 sono i comitati già in fieri con l’obiettivo di arrivare presto a 1000 e usarli nel PD contro il gruppo dirigente che uscirà dal congresso e chiaramente anche fuori… C’è, fra i renziani, chi grida “alleluia!” ma serviva e serve ben altro per ridare smalto a Renzi & C. senza più credibilità e comunque alquanto “spompato”. Tira un brutto vento per il PD e per la sinistra tutta. Renzi promette di tirar fuori l’ennesimo coniglio, dal cappello. Ma non va oltre il solito gioco delle tre carte…

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