PD: verso le primarie senza alcuna speranza…

Matteo Renzi ha deciso. Schiera un suo candidato alle primarie PD, il suo nome è Marco Minniti. Dopo la rinuncia di Graziano Del Rio arriva l’appello dei sindaci (tutti renziani) a favore dell’ex ministro dell’Interno. Renzi quindi punta su Minniti, con l’appello in suo favore di 13 sindaci a lui vicinissimi. Però quel che resta dell’area Orfini è già pronta a smarcarsi e potrebbe presentare un proprio nome, quello di Chiara Gribaudo. Se dovesse accettare la candidatura Minniti sarebbe il sesto candidato alle primarie (ma è pensabile e probabile se ne aggiungeranno altri, qualche donna: Debora Serracchiani o Elisabetta Gualmini) dopo l’annuncio di Nicola Zingaretti c’è stata l’auto-candidatura di Matteo Richetti e quella dell’outsider Dario Corallo. Si è aggiunto Francesco Boccia.  Nessuno di questi aspiranti al soglio di segretario però sembrava in grado di impensierire Nicola Zingaretti, favorito numero uno nella corsa alla guida del Nazareno. Non bastasse… poi c’è stata la discesa in campo di Cesare Damiano. Ma, sorpresa ecco scendere in campo Marco Minniti, appoggiato dalla ancora numerosa e influente ala renziana del partito. E ora la corsa verso le primarie rischia davvero di spaccare il partito. Da tempo sostengo (non certo da solo) che questo è poi l’unico vero obiettivo di Renzi e dei suoi altro che: “Un Pd forte e unito, per l’alternativa che parte dalle città, per un congresso unitario con Marco Minniti”. E’ questo il titolo del manifesto lanciato da 13 sindaci del PD a sostegno della candidatura di Marco Minniti al congresso. Altro che una candidatura unitaria. In sostanza chiedono a Nicola Zingaretti di ritirarsi. “Siamo in un periodo storico estremamente complesso e abbiamo bisogno di affrontare i sovranisti e la destra italiana ed europea con grande forza ed unità. Di fronte a noi c’è un governo pericoloso, fatto di propaganda e zero fatti, che sta mettendo realmente a rischio il futuro degli italiani”, scrivono, fra gli altri, Dario Nardella (Firenze), Giorgio Gori. “Contestualmente, a livello europeo, la prossima sfida sarà tra chi vorrà distruggere l’Europa e chi, invece, vorrà essere protagonista nella globalizzazione con un’Europa unita e più forte. Ci attendono grandi battaglie. Per questo il congresso del Partito democratico non può parlare esclusivamente al suo interno, risolvendosi in una diatriba tra parti contrapposte. E’ necessario mettere in campo un’opposizione fortissima e un progetto di alternativa culturale, riformista e di popolo alla destra populista”. Abbiamo bisogno di individuare un profilo forte e autorevole contro l’incompetenza e l’estremismo giallo verde. Crediamo pertanto che Marco Minniti, figura dal netto profilo democratico e unitario, potrebbe essere la figura giusta per guidare il nostro partito. Nel suo percorso Marco ha sempre dimostrato forza, autorevolezza e grande capacità unitaria all’interno della sinistra e del campo democratico”. Matteo Renzi stava cercando il personaggio di peso da contrapporre a Zingaretti. E dopo aver corteggiato senza successo Graziano Delrio, dopo aver provato a ricucire con Maurizio Martina, ora sembra aver trovato nell’ex ministro dell’Interno l’uomo giusto per rinsaldare e galvanizzare la sua corrente e provare a riprendersi per l’ennesima volta il partito. Minniti, dopo aver fatto resistenza, sembra aver ceduto ma nel suo stile (un’inclinazione alla autonomia di pensiero fuori dai giochi correntizi, ci vuole ancora pensare su un po’). Entro pochi giorni dovrebbe comunque sciogliere positivamente la riserva. Se le cose andranno in questa maniera, si riproporrà dunque lo schema in cui negli ultimi anni si è diviso il Pd. Da una parte Renzi e i suoi che guardano al centro, dall’altra la “Ditta”, cioè gli ex Ds, e l’opposizione interna che non disdegna un dialogo con i Cinque stelle. Anche se Zingaretti, che domenica a Roma lancerà la sua rincorsa, prende le distanze dai grillini: «Da loro e dalla Lega vedo solo del fanatismo». Si riapre quindi una partita che sembrava quasi chiusa. Tutto ciò accade una settimana prima della Leopolda 2018, quando Renzi illustrerà il suo piano di comitati civici di resistenza, con rappresentanti non parlamentari, che avranno il compito di costituire un vero e proprio network sul territorio. E andare oltre e al di là del Pd, per spendere poi quella rete alle elezioni europee con una lista. “Fuori da schemi precostituiti ora la corsa verso le primarie rischia davvero di spaccare il partito”. Ancora una volta Renzi non molla la presa, e pur di stare in campo… non gli importa nulla di dividere ulteriormente il gruppo dirigente di quel che resta del partito democratico. Ogni nuovo giorno che dio ci dà, c’è un nuovo candidato alla segreteria del Pd. E spesso più di uno nelle stesse ore. Alla fine avremo primarie ancora centrate sulla questione di chi sta con Renzi e chi contro, siamo punto e a capo. Non se ne può più. Tutti dicono di partire dal 4 marzo e dall’aver appreso la lezione. Infatti l’hanno appresa talmente bene che invece di proiettarsi all’esterno, di fare proposte, di cercare alleanze, di dialogare con la società che è già in movimento e all’opposizione dei facinorosi di governo, stanno lì a raccontar se stessi, la vicinanza o meno a Matteo Renzi, il rituale della lotta alle diseguaglianze scoperte solo ora che ne parla tutto il mondo. C’è persino chi pensa che i candidati mettessero al centro della propria iniziativa il solo tema dei 5 stelle. Non basta l’essersi dilaniati su tutto, ora va di moda discutere se era meglio andare con Luigi Di Maio per evitare che ci andasse Matteo Salvini. Si può fare una discussione così banale? Ma la sinistra è così. Gioca a palla avvelenata. Vive nell’assurdo. Cerca sempre e solo i motivi per dividersi… E torno quindi a tema di fondo, su cui ho già scritto qualche giorno fa… un tema già sollevato da Massimo Cacciari e altri. Abolire le primarie. E fare un congresso vero. A pochi mesi dalle Europee, quando bisognerebbe decidere come presentarci allo scontro con l’Armata Nera, non si può perdere tempo con candidati veri, finti, similpelle. Dopo la manifestazione del 30 settembre scorso… c’è un flusso di gente che si sta, per paura o per passione, riavvicinando alla vita pubblica e alla politica, non costringiamoli a decidere se è meglio Nicola Zingaretti o Marco Minniti, o Boccia o Cesare Damiano o il flusso si bloccherà. Siate seri. Ritiratevi tutti. Fate un congresso vero. Scrivete poche paginette di analisi dell’Italia nel mondo, di ciò che ha sconvolto la società italiana, di quali misure servono, di quali errori la sinistra deve emendarsi, di quale partito c’è bisogno e poi scannatevi per quattro o cinque giorni senza dovervi occupare della moglie di Boccia, del fratello di Zingaretti. Il Pd resiste ancora su una cifra elettorale che in altri Paesi non sarebbe considerata drammatica… Ma può diminuire ancora. Potrebbe invece aumentare – già si vede siamo ai primi segni di erosione delle simpatie per i facinorosi di governo – se il Pd mostrasse serietà. Crediamoci, Salvini sta talmente stressando gli italiani che a un certo punto chi si presenterà con l’aspirina e con l’aria pacata del buon medico di famiglia potrà togliere a lui e a quel Masaniello di Pomigliano un bel po’ di voti. Se si fanno le primarie e le fate cosi, ve e farete da soli. Ci sono solo due strade: o ci candidiamo tutti o puntiamo su una buona campagna astensionista (avrebbe successo).

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