PD: Zingaretti è riuscito a evitare l’estinzione del partito, ora lasci perdere Renzi e Calenda nonchè la sinistra radicale…

Sul fatto che, nel PD col Congresso si fosse trovata una vera e propria unità nel suo gruppo dirigente esistevano forti perplessità… alla fine era in atto una semplice tregua dettata dalla scadenza elettorale europea di Domenica scorsa. Ma ecco che a solo 48 ore dal voto, ricominciano “i se e i ma”, infatti: “quello lanciato da Calenda è stato il più classico dei sassi nello stagno, per vedere quali potessero essere le reazioni”. Così, un parlamentare dem che lo conosce bene, ha parlato dell’intervista rilasciata ieri l’altro a Repubblica dall’ex ministro dello Sviluppo Economico, in cui paventa la possibilità di formare un nuovo partito “centrista”, che diventerebbe alleato del PD. Dichiarazioni poi smentite (a metà) dallo stesso Calenda, che ha assicurato che non sarà mai il protagonista di una scissione, ma che, se il Pd glielo chiederà, si è detto disponibile a lavorare alla creazione di una “gamba liberaldemocratica”, nell’ottica di una coalizione che possa competere con la destra alle prossime elezioni politiche. Un’uscita, quella di ieri, con cui il neo parlamentare europeo del PD ha voluto saggiare gli umori sia nel campo dell’attuale maggioranza dem fedele a Nicola Zingaretti, sia della minoranza renziana, sempre in procinto di far esplodere una nuova “guerra civile” nel partito. Francamente ancora una volta si fa notare un certo “masochismo” che caratterizza il gruppo dirigente (vecchio e nuovo) del PD. Ma parliamo un po’ di Sinistra. Dopo il voto politico dello scorso anno che punì gravemente il PD e mortificò il tentativo del partitino di Pietro Grasso and Company, quest’anno abbiamo un PD in ripresa e una sinistra radicale avviata verso l’estinzione… un risultato quello della sinistra radicale, se non uguale simile al risultato di tutte le sinistre radicali europee – compresa quella di Jeremy Corbyn che sembrava vincente – questo sembra dire che un capitolo a Sinistra andrebbe ragionevolmente chiuso. Per maggiore chiarezza, sembrerebbe che in questo secolo, nelle nostre società manca totalmente una domanda di una identità socialista e tanto meno comunista che le caratterizzi. Non c’è, soprattutto, va detto con altrettanta chiarezza un elettorato che abbia voglia di tornare a simboli e battaglie del passato. Ancor di più: il cittadino di sinistra sembra scappare di fronte a partiti che inseguono lo scontro sociale e che non amano la fatica di una ricostruzione unitaria. Questo fenomeno riguarda anche forze liberali come quella coagulata da Emma Bonino. Anche quel radicalismo liberale non ha spazio se intende presentarsi presuntuosamente da solo come forza egemone di idee e politiche antiche… Sopravvivono, solo e spesso bene, partiti come i socialisti spagnoli. Tsipras ha un discreto risultato (ma Syriza non va oltre il 27% e il premier ha chiesto elezioni anticipate). In alcune democrazie del Nord Europa socialisti e i nuovi Verdi si danno una prospettiva anti-sovranista importante ma diciamolo ancora una volta chiaramente non di stampo socialista e comunista, così come ancor oggi vengono intese. Ma torniamo all’Italia. Questo risultato elettorale, sembra cancellare definitivamente dalla scena politica l’idea di Matteo Renzi di mettersi a capo di un partito macroniano. E altrettanto francamente si capiscono a fatica le tensioni sollecitate da Calenda per un polo centrista autonomo ma alleato col PD per affermare un’identità democratica ma di stampo liberale… Ovvero, tesa ad intercettare il voto dei famosi “moderati”. Ora, che abbia ragione D’Alema? “I moderati già votano per i PD”.  Dunque se Renzi, che sempre più pensa e dice cose, solo per pura e semplice voglia di rivalsa personale verso gl’altri leader del PD che lui accusa di averlo criticato e tradito, prenderebbe probabilmente meno voti di Emma Bonino. Non si capisce perché Calenda dovrebbe (su una proposta simile a quella renziana) fare un risultato migliore… Una volta sottolineato che un polo di centro centro, aggregherebbe un elettorato moderato che se attraesse qualche moderato di Forza Italia, percentualmente potrebbe arrivare da un 3% a un comunque scarso 6%, a Renzi non resta che scegliere di stare in questo PD che Nicola Zingaretti ha portato a un risultato decente dopo il disastro fatto proprio da Renzi e dal renzismo. Altrimenti veda (questa volta lo faccia) di tornarsene a casa a riflettere sull’irrealtà delle sue idee… E Calenda? Probabilmente Carlo Calenda si potrebbe rendere del tutto autonomo se anche il resto del PD troverà alla fine conveniente delineare più precisamente le due “anime” che compongono il riformismo italiano nel centro-sinistra. Non vi è dubbio che è lui (visto anche l’ampio consenso personale) l’uomo di riferimento dell’ala liberale interna al PD contro la quale la sinistra radicale ha poco da polemizzare avendo portato, ancora una volta, migliaia di militanti allo sbaraglio. Zingaretti può dire di aver vinto il primo round della sua lunga battaglia. Il risultato fa uscire il PD dal rischio dell’estinzione, lo libera dal ricatto emotivo del voto in fuga verso i 5 Stelle o verso la Sinistra radicale e lo rimette  al secondo posto tra i partiti italiani. Tuttavia gli dice anche che la ricostruzione del PD e per una alternativa di governo sarà ancora lunga e ancor più difficile. Questa ricostruzione parte da una definizione identitaria anti-sovranista, anti-populista e europeista. Ora che, come già detto,  la tentazione di definire con un’identità politica precisa ed unica  il partito democratico non è sicuramente una strada che funzionerebbe…  Ovvero, il PD non si caratterizzerà  di certo per il nuovo partito socialista, ne men che men comunista, ma deve essere la speranza di un nuovo e ampio centrosinistra che si allarghi a molti contributor. La crisi dei 5 Stelle che continuerà,  potrà in un prossimo futuro portare voti al PD, anche se è realistico pensare che lo svuotamento dei grillini oggi (come dimostrano i flussi di voto) sia dovuto solo in minima parte al ritorno di voti a sinistra ma invece molto al travaso fra grillini e leghisti. Contrastare i 5 Stelle nelle loro prossime battaglie giustizialiste e anti-sviluppiste è il minimo che l PD di Zingaretti possa fare. Di fronte a un risultato come quello di oggi immaginare un governo che metta insieme i perdenti per tener fuori la Lega regalerebbe milioni di nuovi voti a Salvini. Fa bene Zingaretti a dire che se il governo va in crisi è bene che si voti. Il voto fa bene, ti aiuta a liberarti dalle scorie, ti costruisce come struttura di battaglia, affina i tuoi programmi. Zingaretti deve fare il miracolo di un partito che assomigli all’idea di Ulivo di Romano Prodi ma che vada ben oltre, rispetto a quello, più radicato nella società e più netto nel riformismo. Non bisogna ripartire da zero. In fondo oggi il PD è già sopra i 5 stelle ed è proprio perché non è partito da zero. È partito dall’idea di mettere assieme le forze riformiste come argine contro sovranisti e populisti e come promotore di riformismo europeista. La sfida di Zingaretti in un punto è unica rispetto a quelle di tutti i suoi predecessori. Tutti loro hanno ignorato il tema del radicamento nella società e dell’organizzazione. Il Pd non vincerà con campagne di opinione se queste non saranno sorrette da una struttura organizzativa liberata da burocrazie, da boss di corrente, da dirigenti incapaci di parlare al popolo. Il PD, per dirla ancora con D’Alema, non sa più parlare agli operai e alle periferie. Il sogno di un Salvini ridimensionato è durato il tempo di due o tre exit poll. La battaglia sarà quindi durissima, non sarà una battaglia parlamentare ma soprattutto politico-sociale, si svolgerà anche sui luoghi di lavoro e nelle piazze. E la sinistra radicale con il suo misero 1,7%, se non ripenserà ad un suo diverso ruolo non sarà certo d’aiuto…

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