Pensioni, la dura verità…

Sarebbe vano nutrire illusioni.

Neppure quest’ultimo provvedimento in tema di pensionamenti anticipati chiuderà la lunga stagione degli interventi sul sistema previdenziale. Non tanto per lo scontento manifestato da parti importanti del mondo sindacale, in particolare la Cgil. E neppure perché l’esame parlamentare delle nuove misure potrebbe dare spazio a modifiche di qualche rilievo. Il punto è che, sebbene rappresenti il più antico fra i pilastri dello Stato sociale, oggi la pensione risulta essere anche l’elemento più fragile ed esposto dell’intera costruzione. Non solo in Italia, ma un po’ dappertutto in Europa, perfino in Germania. Il nodo cruciale è che sono radicalmente mutate le condizioni di fatto sulle quali negli scorsi decenni è stato fin troppo facile immaginare di poter coniugare gli equilibri ragionieristici del sistema con un progressivo, talora sconsiderato, allargamento dei suoi benefici. Nel nostro Paese, in particolare, sono stati commessi autentici crimini contabili (e sociali), come quando si sono spalancate le porte del pensionamento a un esercito di dipendenti pubblici neppure quarantenni. Con la duplice conseguenza nefasta di caricare un onere abnorme sulle casse dell’Inps e insieme di lanciare un messaggio di sconveniente accidia all’intero mondo del pubblico impiego. Ma sarebbe un errore attribuire soltanto a questo genere di follie legislative l’origine delle minacce che oscurano l’orizzonte del sistema previdenziale.

La prima e fondamentale insidia – può sembrare un paradosso – deriva proprio dai successi raggiunti in tutti i Paesi più sviluppati dalle politiche di benessere sociale. welfare1Il progetto di Welfare State basato sulla protezione pubblica del cittadino si è retto sullo slogan: «dalla culla alla tomba» e le statistiche indicavano che quel percorso era in generale parecchio più corto di quanto non lo sia oggi. In sostanza, per i primi decenni del secondo dopoguerra, accadeva che la durata del trattamento pensionistico fosse sovente limitata a pochi anni. Così da rendere quasi sempre vincente per lo Stato la scommessa assicurativa sottostante ai premi, ovvero i contributi incamerati nel corso del tempo. Oggi il netto e progressivo allungamento dell’età media di donne e uomini sta sempre più rovesciando i termini del rischio a sfavore delle casse pubbliche… Oltre che da questo fattore biologico, più di recente il sistema è stato investito anche dai pesanti riflessi della lunga recessione economica, che ha spazzato via milioni di posti di lavoro. Cosicché, se prima della crisi l’equilibrio fra entrate e uscite reggeva su un rapporto di quasi tre lavoratori contribuenti per ogni singolo pensionato, oggi ci stiamo avvicinando a un minaccioso uno a uno. Dato numerico che, al di là dei suoi riflessi contabili negativi, fa emergere un serio conflitto d’interessi fra generazioni, perché il lavoratore attuale vede che i suoi contributi servono a pagare il trattamento di chi è già in pensione ma anche che così si impoveriscono le risorse da tesaurizzare a suo favore, quando sarà il momento di chiedere la propria di pensione. pensione-traguardoUna serie di riforme varate (dal governo Dini in poi) ha cercato di arginare questo pericoloso stato di cose. Si è tolto di mezzo, almeno in parte, il meccanismo di calcolo dei trattamenti basato sulle ultime (e quindi più alte) retribuzioni, prendendo in considerazione l’ammontare dei contributi effettivamente versati. Si è anche alzata l’età minima necessaria per poter chiedere il pensionamento e pure con qualche eccesso (legge Fornero) così brusco che le ultime misure hanno dovuto ora addolcire. pensioniMa la resa dei conti con i problemi posti sia dalle maggiori uscite per l’allungamento delle aspettative di vita sia dalle minori entrate per la caduta del numero degli occupati è una partita più che mai aperta. Che potrà essere risolta soltanto attraverso compromessi equi e graduali sul terreno dell’oggettivo conflitto d’interessi fra generazioni.

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