POLITICA: viviamo un’Italia irriconoscibile… ma come siamo precipitati nella situazione attuale?


Sono sempre più coloro che provano un vero e proprio ‘smarrimento’ per “un’Italia sempre più irriconoscibile”. In molti ormai, si domandano come è stato possibile che siamo precipitati nella situazione di ferocia sociale e nell’ostentazione di cattiveria verso gli altri di questi anni, precipitando dentro il “buco nero” della disumanità, e rinnegando i grandi slanci degli anni sessanta/settanta. Ricordate: “italiani brava gente”? Non si dice più. Cresce l’incertezza, per il vivere quotidiano in un mondo sempre più frantumato ed emotivo che a tratti appare anche psicotico, che per comodità e in un modo un po’ semplicistico (così facendo lascia le coscienze apposto) chiamiamo populismo. Così che: “La sinistra, credendo di combattere il populismo (anticamera di scelte autoritarie, come ci insegna la storia), si è schierata alla fine contro il popolo, ignorandone i bisogni che manifestava. Si è presa gioco dei nuovi movimenti ironizzando su quelli che sbagliano il congiuntivo. Ha contestato, non il merito, ma il principio del reddito di cittadinanza, sostenendo che garantirebbe di fare la bella vita sdraiati sul divano. Come se non sapesse che i poveri esistono davvero, che ci sono ragazzi che fanno qualsiasi lavoretto pur di racimolare uno stipendio, seppur misero”. Sono ormai dieci anni che navighiamo in questo “big bang” politico, sociale ed economico che la crisi finanziaria ha innescato, osservando sicuramente, ma partecipando sempre meno, seppur tentando di decifrare il senso dell’esplosione che ha distrutto il mondo con cui siamo entrati nel nuovo secolo, con la certezza che la storia era finita (Francis Fukuyama – La fine della storia e l’ultimo uomo) la democrazia liberale aveva trionfato, e che si trattava soltanto di amministrare l’esistente… Ora 25 anni dopo lo stesso autore ci  ripensa e dice che la storia riparte dall’identità. Già: “È stata l’illusione alimentata dal neo-liberismo, e che continua in parte a essere alimentata anche oggi. L’idea che, prima o poi, tutto tornerà come prima. Come se noi fossimo seduti su un treno che ha deviato. Occorre semplicemente rimetterlo sui binari giusti”. Mentre il populismo – una sorta di – “La politica senza politica”, prendendo a riferimento il titolo di un libro di Marco Revelli (pubblicato recentemente da Einaudi) – è la manifestazione di una malattia che ha lontane origini, causata dall’erosione della democrazia, dalla distruzione dei partiti, dalla frantumazione della società, dal crescere delle diseguaglianze e della povertà, tutti prodotti altamente “infiammabili”, sui quali il crollo economico del 2008 ha funzionato come un fiammifero acceso in un mare di carburante… Le fiamme hanno illuminato e mostrato, a una società che non si sentiva più rappresentata, che ciò che provava era vero… ‘Questi non sono più i vostri rappresentanti politici – hanno detto i populisti –. rappresentano altri e altro: le oligarchie europee, i poteri finanziari, i partiti degli affari’ D’altronde per anni: Il problema – si è detto – non era rappresentare: ma era governare… È questo in sintesi il trampolino che il Pd in testa, assieme a Monti e al centrodestra a trazione berlusconiana hanno offerto ai 5 stelle e alla Lega: negando che il principio di rappresentanza fosse compromesso… e affermando che l’unico problema fosse la governabilità di un Paese da sempre difficile da governare… E qui che emerge il grande errore… “Il populismo, non serve alla democrazia! Anzi è una mina pronta a deflagrare”. Ma questo è difficile da comprendere non si capisce che la forza del richiamo populista sta nel fatto che è figlio dell’egemonia neo-liberista, basata sull’idea che certe politiche non si possono mettere più in discussione, poiché è il mercato a chiederle… non certo un’idea e men che meno un ideale. Già, è tempo della politica post ideologica – non ci sono più la destra e la sinistra – questo l’assunto strillato nelle piazze all’insegna dei vaffa grillini… Tutto questo ha invece aperto il vuoto. Perché, la politica è fatta di scelte, alternative tra loro e di decisioni che indicano una direzione… È così che, per reazione alla politica dell’inevitabilità, si è fatta avanti una politica dell’eternità. Il richiamo a ciò che rimane sempre uguale: il fatto che io sono bianco, parlo veneto o lombardo, sono diverso dai neri che stanno venendo a invaderci… E oggi per dirla con Gallino, acutissima la sua definizione: “la nuova lotta di classe è quella che i ricchi fanno contro i poveri”. E i populisti non hanno certo riequilibrato il rapporto… ne pensano di farlo. Hanno solo finto di farlo. Donald Trump chiuse la campagna elettorale in West Virginia, nel parcheggio di un supermercato, davanti a una massa di lavoratori in tuta blu. Disse: “Finalmente, la classe operaia americana batterà un colpo”. Sembrava Lenin. Invece, è un miliardario immobiliarista… Però le “classi subalterne e popolari” si sono affidate a lui… Certo, ma non perché si aspettavano da Trump la riscossa: piuttosto, per fare più male possibile a chi avrebbe dovuto rappresentarli e ha smesso di farlo. In fondo, il voto populista è un voto di vendetta… hanno votato i populisti proprio perché li sentono come loro!? Su questo non c’è alcun dubbio. La sinistra è antropologicamente diversa dal popolo che vorrebbe rappresentare. Di Vittorio, prima di rappresentare i braccianti, è stato un bracciante. Oggi non c’è un solo leader della sinistra europea che emerga dal contesto sociale a cui vorrebbe far riferimento. Escluso Landini, che però è un sindacalista… Cosa comporta tutto questo? Che gli argomenti con i quali il centrosinistra o meglio la sinistra si oppone a questo governo, che forse già mostra di essere tra i peggiori, alla fine nelle forme e nelle proposte del renzismo, che ancora frena il cambiamento del PD giunto con ritardo ad un nuovo congresso… sono falsamente anti-populisti: mentre in realtà, sono in effetti anti popolari… Un esempio? Sposare, contro Salvini e Di Maio, le posizioni dei commissari europei, quelli che hanno massacrato la Grecia, o sottolineare continuamente le ragioni di Confindustria è suicida. Una sinistra che fa questo, storicamente, non ha più ragione di esistere. E allora ecco la domanda delle domande che viene posta al Congresso del PD: Zingaretti può invertire la rotta? Personalmente, nonostante nostalgie e simpatie che provo, temo che la storia del PD sia una storia finita… almeno così come si è caratterizzata in questo decennio della sua vita… Da dove dovrebbe ripartire allora la sinistra? Soprattutto dall’ascolto. In fondo, da dove trent’anni fa è partita la Lega, dalle osterie, dai gazebo davanti ai supermercati, dai piccoli paesi. La sinistra che crede di avere solo cose da insegnare, ma niente di imparare, è spacciata in partenza… Guardando indietro bisognerebbe accorgersi degli errori fatti, ma se c’è un limite della discussione congressuale del PD che andrà alle primarie il prossimo 3 marzo, è proprio la mancanza di una analisi vera sui perché delle sconfitte… per continuare una discussione su Renzi si Renzi no… un quesito privo di senso… Intanto il Paese guarda ad un passato identitario alquanto pericoloso… Hanno ragione coloro che dicono che c’è aria di Weimar? Una la macchia nera che sta aumentando e avanzando nel Mondo e in Europa… c’è questa percezione? Attenzione però… richiami formali e retorici a tempi che furono e potrebbero tornare sembrano anacronistici e sono altresì insufficienti… in quanto gli avversari che la democrazia oggi ha di fronte… non è un semplice residuo del passato che torna. Quello che stiamo vivendo non è un semplice rigurgito anti storico… Anzi, è per molti aspetti alquanto più storico di quel che sembra a noi che lo temiamo e avversiamo. Perché? Purtroppo già sta tragicamente essendo …il nostro presente!

E’ sempre tempo di Coacing! 

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