RENZI? Un mascalzone…

“Senza di noi il Pd muore!”. Così Renzi tenta di galvanizzare i suoi. Conoscendo il suo smisurato ego… è come se dicesse: “il PD senza di me non esiste!” E’ la convinzione del senatore ”semplice” di Firenze e Scandicci che pensa che la base del partito stia ancora con lui. Ed esorta i suoi: “Smettiamola con la depressione”. Lo dice ai 120 parlamentari della sua area riuniti qualche sera fa per i saluti in vista delle vacanze estive. In autunno: “Ripartiamo”. Chi pensava che con il tempo Matteo Renzi si arrendesse e si preparasse a fare un (vero) passo indietro, ha sbagliato a capire. Emerge così, senza alcun ulteriore dubbio, che vi sono ormai due PD tra loro inconciliabili. Renzi ha a tal punto esasperato lo scontro e la dialettica politica interna al PD da produrre una divisione senza rimedio tra chi lo avversa e chi lo sostiene. Egli ha avuto l’avvertenza di portarsi in parlamento i suoi fedelissimi, che sono largamente maggioritari nei gruppi di Camera e Senato e che a lui devono il seggio, ma pensa di avere dalla sua anche buona parte degli iscritti, dei quadri e persino lui crede degli elettori. Incurante della disfatta elettorale e nonostante le formali dimissioni, è più combattivo che mai, come ha mostrato  nell’assemblea  nazionale e non ha alcuna intenzione di farsi da parte: “Continuate così – aveva detto sibillino – ci vediamo al congresso, perderete di nuovo e come sempre comincerete a criticare chi ha vinto”. Di qui l’impasse del PD privo di una politica e di una leadership chiare e riconoscibili. Sono alla finzione di una elezione unitaria (si fa per dire) quasi all’unanimità (anche con i voti renziani) di un Segretario con pieni poteri (il già reggente) Maurizio Martina. Una Segretario che però ha già la data di scadenza: “da consumarsi entro il …”. In cambio di ciò Renzi ottiene/impone un ulteriore rinvio del congresso di quasi un anno (sic) dalla debacle del 4 marzo, così reitera la sua (di Renzi) condizione sospesa.  Con ciò priva il sistema politico – è giudizio ormai unanime – di uno straccio di opposizione. Tanto più se si considera che Forza Italia non vuole e non può recidere il suo rapporto con Salvini. Pertanto, molti autorevoli osservatori della politica italiana hanno sottolineato: “sul PD non si potrà fare conto alcuno sin tanto che l’organigramma formale non rifletta quello sostanziale” – ovvero qual è la effettiva catena di comando – È l’ennesima prova di irresponsabilità (omissiva) del PD dopo quella dell’auto-estraneazione nella fase della formazione del governo, che ha spinto 5 stelle e Lega a un innaturale e sciagurato abbraccio. Di Renzi e della sua cerchia si è detto e scritto molto, ma ora che chiaramente dice che non ha intenzione alcuna di passare la mano e farsi da parte perpetrando quindi solo la sua logica di potere nel partito: “Siamo la maggioranza di questo partito, non riusciranno a ridurci in minoranza. Non facciamoci intimorire”. Così lo si è sentito dire alla cena svoltasi in una villa (Residenza Lavernale) immersa in un lussureggiante parco sull’Aventino. E la location non è certo casuale. Il colle di Roma che storicamente evoca scissioni. Ma, nel discorso ai partecipanti tutti strettamente renziani, l’ex segretario dice che per ora la battaglia si fa dentro il partito.  “Sono carico, pronto a battermi per non regalare il partito a chi vuole fare l’accordo con i Cinque Stelle”. È così che l’ex segretario e i suoi fedelissimi si stanno preparando alla “madre di tutte le battaglie” il prossimo congresso del Pd.  E sul partito, “Dobbiamo lavorare per rilanciarlo mettendo fine alle liti interne”. Proprio lui parla, che di litigiosità è campione! La sua convinzione quindi è quella di poter vincere ancora il congresso  – se non direttamente con un suo uomo – anche tra la base e la maggior parte dei militanti. Contro Nicola Zingaretti, unico finora candidato ufficiale alle primarie del Pd. E contro anche al neo segretario Maurizio Martina, in quanto assertore, con le altre anime del partito democratico, di un possibile dialogo su temi portati avanti dal Movimento 5 stelle. “Un accordo con i 5 stelle avrebbe distrutto il Pd”, ribadisce Renzi. “Avevamo detto che eravamo l’argine al disastro, purtroppo era vero. Io volevo votare a settembre dello scorso anno perché sapevo che dopo settembre avremmo perso tutti”. Il clima della cena è disteso, c’è addirittura il senatore Alan Ferrari dalla voce tenorile, che intona la celebre aria della Turandot di Giacomo Puccini “All’alba vincerò”. Non a caso. Renzi  è convinto che può ancora vincere e trasformare il Pd. Non è ancora chiaro in che cosa vuole trasformarlo: continua a guardare seppur con maggior cautela a Macron – che nel frattempo è in caduta libera di consensi anche in patria – comunque continua a pensare a una forza politica dalla spiccata impostazione liberale in materia di diritti ma decisamente liberista dal punto di vista della dottrina economica di riferimento. Una forza politica di centro centro. Comunque spiega chi lo ha ascoltato alla cena ha voluto instillare positività e fiducia. “Smettiamola con la depressione”, è l’esortazione dell’ex segretario che nel giorno in cui il governo chiude il contratto per quello che i 5 stelle hanno ribattezzato l’Air Force Renzi osserva sicuro: “Gli altri hanno forza solo se si focalizzano su di me. Se io sto zitto, M5S e Lega vanno nel panico”. Il ciclo giallo verde “durerà meno del mio”. Questa la convinzione dell’ex premier. Ora: “noi abbiamo una grande possibilità. Cerchiamo di ripartire in autunno senza ansie, prima capiamo la loro strategia di comunicazione e prima noi rientriamo in campo”. Uno dei momenti cruciali sarà la Leopolda a ottobre” – e spiega – non sarà solo una cosa del Pd ma dovrà essere una cosa più larga”. Cosa avrà voluto dire? E’ sembrata un’ennesima minaccia?! E pensare che avrebbe dovuto chiedere scusa, per aver condotto il PD alla sconfitta peggiore della lunga storia della Sinistra. E invece, anche nel suo ultimo giorno da segretario dimissionario all’assemblea nazionale, ha fatto male alla comunità, del partito e ha ulteriormente attaccato la Sinistra, che senza alcun pudore vuole estinta e che negli anni della sua segreteria e premiership… ha sradicato persino dai suoi simboli, anche là dov’erano le radici più antiche vedi le ” regioni rosse” l’Emilia dove il socialismo è nato; in Toscana, dove si sperava che la Sinistra non sarebbe morta. Eppure, di fronte a tutto ciò c’è chi dice, che non bisogna ulteriormente attardarsi ancora su Renzi e darlo per già archiviato, perché ci hanno pensato gli elettori. Il renzismo è quindi una storia finita, abbastanza presto e abbastanza male… aggiungendo che se un uomo si rivela da come esce di scena, sarà difficile rimpiangerlo e/o vederlo tornare… Chi lo dice, dentro o fuori il PD, continuano a illudersi. Sembrano che proprio non capiscano, che il dire e l’agire di Renzi sono privi della ben che minima buonafede e che non si può più prescindere dal fatto che prima di tutto gli atteggiamenti e i comportamenti politici e personali di Renzi son quelli di un …mascalzone*! E tale l’uomo va considerato. Certo a guardarsi intorno ormai  la ‘mascalzonaggine’ sembra essere il tratto distintivo di molti dei “nuovi” politici ai vari livelli di questa difficile e strana stagione politica. Renzi ne fa parte a pieno titolo, anzi ne è stato l’antesignano per eccellenza. Proprio in ragione di tutto questo, sarebbe stato più saggio imprimere al congresso di quel che resta del PD, la massima accelerazione mettendo apertamente a tema centrale la questione cruciale nella sua radicalità: se chiudere questo PD e pensare esplicitamente ad altro Partito Democratico… e comunque mettere nel conto un necessario confronto aperto e senza sconti, che non escluda una civile (per quanto possibile) separazione tra gli irriducibili fan del renzismo e suoi antagonisti competitori. Costringendo subito i renziani reticenti o mezzo pentiti a non cavarsela con gli esorcismi, a non parlare d’altro, a esprimersi sul “caso serio” della politica di Renzi in rapporto alla identità del PD. Se il suo obiettivo vero (ammesso e non concesso) fosse stato e ancora fosse il bene del Paese e del suo Popolo a pretenderlo e a metterla tutta in politica, avrebbe dovuto essere proprio Renzi  e per primo.  Anziché ostentare continuamente (per il suo tornaconto personale), la sua arrogante determinazione a dominare (distruggendolo) il PD e null’altro più …anche a dispetto dei Santi! Se Renzi, dopo uno pseudo abbandono e un più che “urlato” silenzio nei mesi scorsi, rimette ufficialmente e in modo strutturato la sua area politica, gli altri che cosa stanno ancora a guardare?!  Dario Franceschini ‘scongela’ dopo cinque anni l’appuntamento nazionale di Areadem e dà appuntamento a Cortona dal 31 agosto al 2 settembre. Nel programma della tre giorni ci sono tutte le anime del Pd: oltre a Franceschini e Fassino, interverranno Gentiloni, Martina, Minniti, Pinotti, Sala, Zanda, Padoan, Sereni, Boccia, Fedeli, Orlando, Cuperlo, Tabacci, Lorenzin, Realacci, Sassoli, Mirabelli e Toia. E dulcis in fundo Zingaretti che parlerà la domenica. Tutti tranne i renziani. Unico invito per Lorenzo Guerini, considerato l’unica anima dialogante dell’area che fa capo all’ex segretario. Il dibattito infatti, spiegano gli organizzatori, sarà tra chi ritiene utile rilanciare il campo progressista e voltare pagina dopo gli anni del renzismo. L’invito, pubblicato sul sito di Areadem, è abbastanza esplicito: “Per superare i difetti di oggi dobbiamo saper vedere gli errori del passato e superare divisioni e lacerazioni che condannerebbero il campo progressista ad essere ininfluente e perdente per molti anni. Insomma, se il Pd vuole ripartire deve trovare la forza per costruire una nuova biblioteca (una nuova cassetta degli attrezzi, direbbe qualcuno). E noi vogliamo mettere a disposizione di tutti, dentro e fuori il Pd, un’occasione libera di confronto e discussione”. Quindi Franceschini rilancia Areadem per un Pd finalmente “derenzizzato”. Il neo segretario Martina intanto continua il suo tour nelle aree difficili del paese. Dopo Tor Bella Monaca a Roma e lo Zen di Palermo, è convocata una segreteria a Scampia, periferia nord di Napoli. Salirà al Nord e sarà a Brescia, Un altro passo dei tanti che farà nei tanti luoghi là dove sta la ‘base’ di quel che era il partito democratico, per ascoltare e comprendere e raccogliere idee utili al lavoro di “rifondazione” e “rilancio” del PD. La sua idea è sempre quella di far partire al più presto un forum nazionale del Pd, per costruire un’alternativa politica d’opposizione al penta-leghismo e a questo loro governo. Martina – bisogna riconoscerli una grande generosità e una forte determinazione – è convinto che si costruisce solo con un lavoro in profondità dentro la società italiana un nuovo Pd e una nuova partenza. Il PD ha quindi un nuovo Segretario, con il compito difficile di avviare un profondo ripensamento e gestire una fase congressuale che anche secondo Martina, deve mettere fine all’ipoteca renziana sui Dem. Un partito che negli ultimi anni è stato “sequestrato” da un gruppo dirigente preoccupato soltanto della propria sopravvivenza, scambiata per qualche comparsa televisiva. Ma cosa resta veramente del Pd? Serve ancora all’Italia? Questo è il tema. Scomparso da intere aree sociali e geografiche, percepito come incapace di rappresentare un’alternativa per milioni di elettori. Quelli che hanno votato il M5s ritrovandovi, a torto o a ragione, alcune istanze sociali smarrite dalla Sinistra. E quelli che si sono astenuti dal voto o dai ballottaggi. In molti e da tempo sono rimasti a casa. In molti non si riconoscono più nel PD. Perché a loro volta non sono stati più riconosciuti dal partito a trazione renziana. Non è bastato gridare al fascismo, Non è bastato gridare “ai barbari”, nemmeno là nei luoghi in cui è ancora forte la tradizione civica. Perché la rabbia e il rancore, contro il Pd e il resto della Sinistra, hanno travolto tutto. C’è un risentimento popolare, uno di più di volontà punitiva con cui fare i conti. Forse perché i segnali gli elettori li avevano dati, negli ultimi anni, dalle regionali in Emilia-Romagna al referendum del 4 dicembre 2016 fino al voto 4 marzo. Forse perché, persino il mito del buon governo non basta più, se il PD viene percepito solo come un sistema di potere che include molto meno di quanto esclude. Si è persa l’Italia di mezzo, perché l’unico ancoraggio sociale del PD era ormai diventato il ceto medio, e quest’ultimo non è più la spina dorsale del sistema politico, perché impoverito dalla crisi o sopraffatto dalla paura del futuro: per la propria pensione (spostata sempre più in là), per il lavoro e il reddito dei propri figli. Non basta più rassicurare gli inclusi, che sono sempre meno. Al PD occorre tornare dai molti smarriti per strada, e scusarsi con loro: “Scusate per il ritardo con cui abbiamo capito”. Ma subito dopo affrontare il mare aperto dell’astensione, dei delusi dal M5s in salsa gialloverde. Non Di Maio & C. (non è questione di confronto tra gruppi dirigenti) ma gli elettori delusi dal PD che da tempo o l’ultima volta hanno votato i 5 stelle.  Quel mare dove i pesci piccoli sono lasciati soli, e minacciati dai pescecani. È anche qui l’errore di ogni prospettiva macroniana e  già si vede, in Francia. Non riuscirà qui da noi perchè ogni grande alleanza che prescinda dalla questione, decisiva, di un reinsediamento sociale; alla fine significae perseverare, sotto altre insegne, nello stesso errore del renzismo. Inoltre Macron in Francia è in caduta libera di popolarità. Ora tutti chiedono di cambiare, a partire da quelli che non cambiano mai, o che hanno cambiato in peggio, responsabili e complici (anche solo per omissione) dell’ultima stagione, che ha segnato il divorzio definitivo tra Sinistra e popolo. Ma non sarebbero onesti se non si dicessero tra loro che la crisi ha radici profonde e riguarda tutta la Sinistra della Seconda Repubblica: le cose che pensavano, i protagonisti già sconfitti dal berlusconismo, persino gli strumenti che lo stesso Pd si era dato, si sono rivelati del tutto inadeguati ad affrontare la recessione economica e sociale, che presto è diventata democratica, civile. “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”, dice il Vangelo. Perché non si tratta di cambiare qualcuno, si tratta di cambiare qualcosa; cioè, più di qualcosa, quasi tutto quello che era stato detto, fatto e dimenticato di dire e di fare. L’europeismo acritico, che ha privato lo spazio politico europeo di quel sano conflitto, che ha finito per far deperire l’ideale. Il lavoro che cambia ma la cui dignità deve restare la sua ragione sociale e così il rapporto con il sindacato, senza il quale la Sinistra non esiste in natura. Le città, una politica per la casa e gli affitti, la vera ipoteca sulle nuove generazioni. Lo spazio urbano come luogo dell’inclusione vera, senza la quale l’appello all’accoglienza rischia di sembrare moralistico. La battaglia per ricostruire lo Stato, per i servizi pubblici spesso negati, e per i beni comuni: tutte frontiere concrete su cui perseguire quell’uguaglianza che non si può più solo predicare. E infine, ripensare le forme della politica e della democrazia al tempo dell’algoritmo, dopo la nefasta abolizione del finanziamento pubblico che rischia di esporre la politica al ricatto dei potentati economici e finanziari, più o meno opachi. Su alcuni di questi temi da ripensare a fondo il PD deve tornare a dire la sua. Ma non come si trattasse solo di un’opera intellettuale, perché va intrecciata con la battaglia politica per opporsi al governo più di destra della storia della Repubblica e costruire un’alternativa che riconquisti il consenso popolare. Quale opposizione significa quale visione di società. In nome di cosa ci si oppone? In nome dello spread e dei mercati, come al momento della formazione del governo (avvenuta, non dimentichiamolo, con l’auspicio di una parte del Pd che poi ha urlato ai barbari…)? Un esempio concreto: sul c.d. decreto “dignità”, in nome di cosa il PD si oppone, in nome della Confindustria e della difesa del Jobs Act (che ha provocato, persino al di là del merito, una ferita lacerante con il mondo del lavoro)? Su causali e indennizzi come non capire che è un segnale contro la precarietà? E che avrebbe dovuto pensarci il PD per correggere le (sue) storture i suoi errori. E allora sì, sarebbe credibile nel dire che quel decreto non affronta davvero il tema della precarietà, se non per un piccolo segmento del mercato del lavoro e che taglia fuori per esempio la platea dei giovani professionisti proletarizzati e che pertanto la dignità – parola preziosa, che apre l’articolo più bello della Costituzione – non va scomodata per un prodotto, tutto sommato povero, e più di propaganda che altro. Il PD sarebbe più forte nel dire che altri segnali, nello stesso decreto, come quelli sul fisco, vanno in direzione sbagliata, e questo rivela le contraddizioni interne a questa maggioranza che dovrebbero esplodere se il PD volesse riconquistare un ruolo e un consenso anche tra chi, specie nelle fasce popolari, li ha scelti. In una parola, se il PD vuole tornare a fare politica. E non continuare a litigare nel gruppo dirigente su chi debba comandare. C’è inoltre il tema di scontro principale: l’Europa. Sul terreno europeo si gioca una partita più grande, una transizione del capitalismo, come altre volte è accaduto nella storia, da una fase di apertura a una fase di chiusura. Il rischio è ancora una volta che la Sinistra democratica si divida tra chi ripropone la trentennale subalternità al liberismo e chi invece sceglie la subalternità al protezionismo. Il problema che ogni linea di sinistra liberale deve affrontare è invece, come convincere gli elettori di alcune elementari verità. Come quella che: per distribuire di più senza far ulteriori debiti o bisogna essere in grado di produrre di più e quindi diventare più efficienti o togliere ad alcuni quanto si vuole dare ad altri, i conti vanno quindi fatti seriamente. Già altre volte nella storia pezzi di Sinistra e di ceti popolari, si sono convinti che nella chiusura nazionalistica potessero meglio perseguire le proprie istanze sociali. E sono state le ore più buie per l’Europa. Il “sovranismo è retrotopia”, direbbe oggi se fosse in vita Bauman, un tornare indietro della storia, scivolare verso i mostri peggiori per cui si è versato il sangue d’Europa. Solo che all’Europa di Visegrad, l’Italia cosa oppone? L’Europa così com’è? Contro la disgregazione andata in scena all’ultimo vertice… si dovrebbe essere in grado di avanzare una proposta per una riforma profonda della governance istituzionale ed economica, dell’Europa e dell’Eurozona, senza la quale non ci saranno più né l’Europa sociale né l’interesse nazionale. E’ un concetto da recuperare urgentemente, contro il modo grossolano e perchè negarlo? Razzistico con cui lo propone Salvini. Il tema non è difendere l’Eurocrazia, è che fare dell’Italia un’appendice mediterranea dell’Europa orientale va contro l’interesse nazionale. Il vertice sui migranti è stato un totale fallimento anche per questo, malgrado i poveri disperati che sono stati tenuti in ostaggio in mezzo al mare macchiandoci di un’ignominia di cui la storia ci chiederà presto conto; perché quando perdi la bussola, la stella polare deve restare… e comunque sono i diritti umani. Che oggi vengono negati anzi neghiamo a noi stessi. E peggio del crimine, è l’errore politico. Stare con Visegrad offre l’alibi a Francia e Germania, come si è visto sui migranti, per continuare a perseguire i loro egoismi nazionali, per continuare a giocare, come hanno scritto pochi giorni  fa Fubini e Munchau sul Corriere, allo “scaricabarile dei populismi”. Su tutti i principali dossier economici, sociali e geopolitici, il PD dovrebbe proporre un’alleanza dei paesi mediterranei. Una proposta di riforma europeista non verrà dal Pse, dove convivono falchi del rigore e negatori di diritti. Potrebbe venire da un’alleanza delle sinistre euro-mediterranee – che peraltro, nella loro pluralità, su un impianto politico radicale e vincente, governano oggi Portogallo, Grecia e anche la Spagna. A chi nel PD dice facciamo una lista con Macron, bisogna dire: “si faccia una lista transnazionale con Tsipras e Sanchez, con le altre forze di sinistra portoghesi, il Psoe e Podemos… Per chiedere poi a Francia e Germania una riforma delle politiche economiche e migratorie, e della strategia geopolitica. E di scegliere anche loro tra: il Mediterraneo o Visegrad. Occorre che il Congresso che si aprirà (se non lo rinvieranno ancora)  ora e che si deve chiudere prima delle elezioni europee – che occorre cambiare le regole, svincolando la formazione dei gruppi dirigenti dall’elezione del leader – il PD deve sciogliere questi nodi e chiarire il profilo con cui affronterà questo passaggio decisivo. Il Pd è nato con ambiguità culturali, politiche e organizzative che l’ultima stagione ha sciolto ma nel verso peggiore. Ma se c’era un’intuizione o almeno un’intenzione da salvare, era proprio l’idea di superare la distinzione tra sinistra riformista e sinistra radicale. Poco più di un’illusione, visto che con molti suoi atti il PD ha poi scavato un fossato sempre più profondo, che infine ha aperto voragini solo a sinistra. Ma oggi, quella distinzione non ha più senso, se il PD guarda al suo insediamento sociale. E allora un Pd che risolva tutto nelle sue primarie in cui, ormai, spesso raccoglie più voti che alle elezioni, o LeU che avvia una costituente che non scalda i cuori nemmeno di chi vi partecipa, non sono risposte all’altezza di quello che è successo alla Sinistra. Non Ha perso la sinistra perché era divisa, e non basterà che si riunisca per tornare a vincere. Ma ricostruire una unità a sinistra è doveroso. Non partendo dalle sigle e dai gruppi dirigenti, ma da un linguaggio e un programma fondamentale che vadano alla radice dei problemi e delle sfide sociali d’affrontare. E questa responsabilità ricade prima di tutto su il PD, che nonostante il forte ridimensionamento elettorale, rimane la forza principale della Sinistra. Nel Pd, vorranno assumersela? A partire da questo congresso che dovrà avere un carattere straordinario. Il PD di tutto ha bisogno meno che dell’apertura della solita e ordinaria contesa sui nomi. Un film già visto, anche se avrà nuovi protagonisti e interpreti migliori, ben più apprezzati dagli italiani a casa o ai gazebo. Di tutto ha bisogno, meno che di sapere chi sta con chi, in una corsa a posizionamenti che non interessano più nessuno, che se prima occupavano la seconda pagina dei giornali oggi scivolano alla sedicesima. Tutto questo servirebbe solo a una cosa: all’autoconservazione degli attuali gruppi dirigenti. Così come sono, con le loro filiere di comando, le correnti e i capibastone, senza un’idea che definisca cos’è il PD che lo differenzi dal passato, Il PD che ha già stancato non servirà all’Italia. Non appassionerà nessuno. La sinistra e il PD sono all’anno zero. Ma l’anno zero, si sa, non esiste. Il passato va ripercorso, nei successi e nei fallimenti, per trarne lezioni, utili a sgombrare il campo dalle macerie politiche e culturali accumulate che oggi l’immobilizzano. Per farla rivivere ancora. E questo sarà il compito di una nuova generazione di dirigenti. Niente fraintendimenti, non è un fatto anagrafico: il “nuovo” al potere, negli ultimi anni, ha dato prova di vecchio, anzi vecchissimo, col trasformismo, le consorterie, il provincialismo… Va azzerata l’attuale classe dirigente della sinistra. Se si vogliono fare passi avanti. Occorrono uomini e donne che, a ogni età, hanno la credibilità, la voglia e la forza di dedicarsi a un compito difficile. Quando il morto rischia di afferrare il vivo per le gambe, servono discontinuità vere con un passato che stancamente si trascina. Ci sono momenti in cui, per salvare non una tradizione, ma un’ispirazione, dei principi e dei valori, serve il coraggio di rotture radicali. Questo congresso che viene … sarà capace di fare questo?!

 

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