Rivoluzioniamo il lavoro

Debito, deficit, scarsa crescita: sono molti i problemi che attanagliano la nostra economia. Meno trattato è il tema della produttività. Eppure, uno dei primi indici di difficoltà del nostro Paese è la capacità di produrre con efficienza, che si va riducendo. I dati Eurostat sono eloquenti. Preso a riferimento il 2010 la produttività reale per lavoratore è scesa ad oggi in Italia di 2,5 punti. Nello stesso periodo è invece aumentata di 1,7 punti in Francia, di 2,8 in Germania e addirittura di 3,9 nel Regno Unito. Negli anni Settanta l’Italia era al primo posto per crescita della produttività nell’industria rispetto alle principali economie comunitarie.

Il ritmo è rallentato nei due decenni successivi ma è dal Duemila che rapidamente siamo scivolati in fondo alla classifica.

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La produttività, in buona sostanza, misura l’efficienza delle aziende: più lavoro e tempo sono necessari per raggiungere un determinato risultato peggiore è la prestazione. Da cosa dipende la nostra bassa performance?

Non esiste una risposta univoca e sono molti i fattori che concorrono. Quanto è complesso e costoso dare vita a una nuova azienda in Italia? Quanto tempo, sottratto alla produzione, debbono utilizzare gli imprenditori per i mille adempimenti ad esempio richiesti dal fisco? Lo ha calcolato Doing Business, il rapporto annuale della Banca Mondiale, che ci dice che un medio imprenditore deve utilizzare 269 ore all’anno soltanto per pagare le tasse. Sulla bassa produttività incidono anche le mancate liberalizzazioni e le non adeguate infrastrutture materiali. Le reti portuali, autostradali e ferroviarie non paiono certo pari a quelle dei nostri concorrenti e quanto a infrastrutture informatiche siamo 25esimi secondo la Commissione Europea. Se all’incertezza e alla lentezza della nostra giustizia si aggiunge una burocrazia tortuosa e lenta purtroppo il gioco è fatto.

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Concentriamoci infine sull’aspetto forse più rilevante: il lavoro. Il nostro tasso di occupazione è dieci punti sotto la media comunitaria. Malgrado il Jobs Act è difficile assumere, premiare il merito e restano estremamente complesse le relazioni sindacali. Secondo il rapporto annuale del World Economic Forum ci collochiamo al 126esimo posto per efficienza del mercato del lavoro, dopo Paesi come la Grecia e il Marocco. Ci penalizzano la scarsa flessibilità nella determinazione dei salari, il loro scarso legame con la produttività e l’enorme tassazione.

scuolaInoltre si fa pochissima formazione e il numero di laureati è il più basso d’Europa. Nel nostro Paese resta troppo forte l’idea della work property, cioè del posto fisso immutabile in un medesimo contesto e i contratti, troppo rigidi, disciplinano la quantità di tempo impiegata dal lavoratore e non il numero e l’efficienza delle prestazioni rese in quel medesimo tempo. Il mondo intorno a noi è ben più competitivo che solidale. Solo se sapremo riconsiderare il nostro modo di lavorare e drasticamente innovare il sistema di regole e di reti che condizionano le nostre aziende avremo una possibilità. Il punto è ineludibile.

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