Salvini: diciamoci/gli la verità, il problema di Matteo Salvini si chiama Matteo Salvini…

Sarà un ottimo capo partito, ma è un pessimo leader per il Paese. In Europa si è pure fatto fregare da Di Maio. In politica estera si è dimostrato un inetto. Ora per lui Palazzo Chigi è più lontano… Diciamoci e diciamo anche a Lui che il problema numero uno di Matteo Salvini è Matteo Salvini. Le sue capacità sono troppo sminuite da alcune evidenti insufficienze di fondo… Ha ampiamente dimostrato di essere un capo partito capace di trovare i temi giusti – l’immigrazione, essenzialmente – per cavalcare un’ondata popolare che altri non hanno saputo capire e gestire più positivamente, ma ha anche dimostrato di avere idee confuse su quali sono gli interessi di fondo del Paese e di dove vuole portarlo. Il suo disegno, al di là di slogan tipo «prima gli italiani», una sorta di “pomata per ogni lussazione”, è fatto di uscita dall’euro, di mano libera sulla moneta che è il classico dei classici di ogni populismo e in genere la rovina delle nazioni, di allontanamento da Bruxelles, di avvicinamento a Mosca, cioè a una realtà che ha una visione assai diversa, molto autoritaria e quasi teocratica, dei rapporti fra Stato e cittadino, e una situazione economica del tutto squilibrata, fatta di molte materie prime e di pochi generi di consumo. Un buon cliente, quindi, ed è più che giusto che l’Italia voglia ridiscutere le sanzioni economiche, ma un partner con notevoli debolezze, e troppe armi balistiche e troppi carri armati. Non sembra proprio che una maggioranza di italiani, che hanno premiato Salvini sul tema immigrazione, sia disposta a seguirlo in queste avventure strategiche che cambiano 75 anni di politica estera italiana. La stessa conclamata ma finora mai davvero applicata politica antieuro, compresi i minibot pensati dichiaratamente come zeppa contro la moneta unica e non come mezzo di pagamento per i ritardi contabili dello Stato, spaccherebbe la Lega. La moneta d’elezione dei proto leghisti era come noto il franco svizzero, come sostituto dell’euro che in Svizzera è quasi moneta parallela va bene, e di un ritorno alla lira si può anche parlare al bar, tenendo gli euro in tasca. Il risultato, al momento, è che la possibilità di un Salvini premier si è allontanata e non avvicinata nonostante gli ottimi risultati nazionali delle Europee che però andrebbero replicati alle Politiche, anticipate si presume. E si è allontanata perché non sarà facile affidare la guida del governo a qualcuno che non si sa dove voglia portare il Paese, né sembra in grado di articolare un futuro credibile per una grande nazione di 60 milioni di persone. Salvini ha già chinato il capo sulle questioni del bilancio italiano nel 2018 e si appresta a rifarlo in autunno nel 2019. O meglio, si sa che Salvini vorrebbe l’Italia fuori dall’euro, forse non fuori dalla Ue, ma comunque in posizione costantemente critica su tutto il possibile, con una diplomazia degli affari e geostrategica orientata più su Mosca che sull’Occidente, categoria della quale il nazionalista Salvini non sa che farsene. Salvo poi doverne tenere conto all’atto pratico, eccome, a partire dalla finanza e dal dover chinare il capo sulle questioni del bilancio italiano, di fronte a una Ue alla quale anche l’Italia ha delegato poteri di controllo e che dell’Occidente rappresenta uno dei pilastri più importanti, nonostante tutte le sue note insufficienze e contraddizioni. Salvini ha la pretesa di rovesciare (forse a pagamento, vedremo l’evolversi del nostro Russiagate) quasi 75anni di politica estera italiana. L’esempio luminoso della Brexit, salutata con immensa gioia nel giugno 2016 dai leghisti, è affidato come ultima chance a una sorta di incrocio molto upper class inglese di Salvini e Beppe Grillo a nome Alexander Boris de Pfeffel (era von Pfeffel all’origine) Johnson, tirato a lustro a Eton e Oxford, ma sempre un po’ clownesco e smargiasso e con una maggioranza parlamentare che sarà di un paio di voti. Finora nella partita Brexit Londra ha perso, costretta a un umiliante surplace, e la Ue, che non si è affatto sfasciata, ha moderatamente vinto. Vedremo presto come andrà a finire quest’ultimo atto, tutt’altro che semplice, e sul quale Salvini aveva scommesso molto. Salvini come politico è ancora giovane ma ormai, a 46 anni, ha una sua storia e questa ci dice che è bravo a sfruttare tutto lo spazio che gli offrono a breve idee e posizioni sopra le righe, contrarie alla maggioranza del momento e che parlano a sentimenti profondi ma non sempre per questo sani e fruttuosi dell’elettorato. E questo ha funzionato in politica interna. Ma è assai meno bravo a farsi alleati a livello Ue e internazionale, a cedere terreno pur di raggiungere obiettivi sui quali poter costruire a Bruxelles stabili maggioranze, e per nulla bravo a guardare lontano, operazione che presuppone principi forti e per lo più sani e giusti, e metodo duttile. È molto ideologico e al centro della sua ideologia c’è che la Ue ci ha rovinato e da soli faremmo assai meglio. Contro l’Ue, oltre ai salviniani doc e fino a ieri i pentastellati, ci sono frange dell’ultrasinistra e quel 5% circa che da sempre ritiene il nazionalismo un fatto mussoliniano. E difatti Giorgia Meloni è, nelle questioni Ue, alleata di Salvini. Sarebbe il rovesciamento totale di una linea che, avviata da Alcide De Gasperi nel 1950-51 con la Ceca (carbone e acciaio), ha profondamente segnato l’Italia, ed è sempre stata confermata diventando con gli Anni 80 nonostante tutto anche la linea dell’opposizione comunista, sia pure in chiave di ostpolitik. Con la Ursula von der layen, si è fatto fregare da Di Maio. Prendiamo tre episodi importanti che hanno chiamato in causa il pensiero politico salviniano: il voto europeo di fine maggio, la conseguente formazione appena agli inizi della nuova Commissione Ue, e i rapporti con Mosca. Come Luigi Di Maio, fino a pochissimi mesi fa anche lui convinto assertore del nuovo travolgente, Salvini si aspettava risultati ben diversi dal voto del 26 maggio per il parlamento europeo. La grande vittoria leghista in Italia, con gli eurodeputati quadruplicati, ha oscurato il fatto che nella dimensione europea i sovranisti sono rimasti al palo; non è un risultato disprezzabile, restano temibili a Strasburgo, ma sono frammentati e sono fermi al grande balzo che ci fu nel 2014 perché nel 2019 non ce n’è stato un altro, contrariamente ai proclami. Ed era facile capire in anticipo che la storica maggioranza sostanzialmente centrista che ha governato a Strasburgo, per quanto rattoppata, avrebbe retto ancora. Ora la traversata sarà lunga, fino al prossimo voto del 2024. Una vecchia regola dice che se non si può battere un avversario conviene alla fine accordarsi. Questo ha fatto Di Maio, assai meno abile di Salvini, ma con un fondo di astuzia, votando come presidente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen ed entrando alla fine, fatto inaudito solo poche settimane fa, nel gruppo europarlamentare liberale insieme agli uomini dell’ex odiato Emmanuel Macron. Salvini si è affidato al fiuto, assai modesto o inesistente, del capogruppo leghista a Strasburgo Marco Zanni, a lungo fautore della nuova lira e della fine dell’Ue (con il grimaldello del ritorno alla supremazia di Costituzioni e leggi nazionali sulla normativa Ue), e a quello ancora più incerto e velleitario di Claudio Borghi, il padre dei minibot. Gli hanno detto che non si può tradire la purezza del pensiero sovranista e votare la democristiana europeista tedesca. Che però l’amico Viktor Orban e i sovranisti polacchi hanno votato ricevendo in cambio dalla von der Leyen lusinghiere promesse. Salvini dovrebbe rivedere totalmente la sua linea. Risultato: fronte sovranista spaccato, la Lega isolata a Strasburgo, nessun leghista in Commissione e tramonto della candidatura Giancarlo Giorgetti, cordone sanitario attorno a Salvini. E a questo si aggiunge il secondo cordone sanitario scattato dopo che le ingenue e pasticciate relazioni moscovite, e le promesse di sovranismo à la Moscova fatte a Vladimir Putin e ai suoi uomini, sono diventate, se mai ve ne fosse stato bisogno, di pubblico dominio con la famosa conversazione registrata al Metropol. Saprà Salvini essere duttile, rivedere il sovranismo, ricostruire rapporti in Europa, guardare alla Russia per quello che è, cioè un partner prezioso ma difficile. Tutti vogliono in Europa buone relazioni con Mosca, nessuno e tantomeno gli amici salviniani dell’Est europeo vuole danzare la danza dell’orso russo. I motivi, storici, di una certa diffidenza sono stati brevemente esaminati la settimana scorsa… in cosa Salvini ignora della politica estera russa, dagli zar a Putin. Insomma, visto che ha in parte perso, saprà cambiare rotta? Sarebbe augurabile, e non solo per lui, ma resta improbabile. Andrà piuttosto al voto, fra qualche mese, cercando di capitalizzare il più possibile sull’immigrazione e tacere il più possibile su una visione del Paese e dei suoi interessi che gli fa difetto. E gli italiani, se avranno uno straccio di alternativa, andranno alla conta…

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