1. Giovani e Adulti: Prove di ascolto e questioni interpretative…

Si fa un gran parlare di Giovani e Adulti… due mondi a se, sempre più distanti e con mille e più difficoltà di comunicazione tra loro e quindi di comprensione… nessuno ascolta più l’altro e ognuno interpreta l’altro sulla base di pregiudizi e convenzioni… il risultato è una totale …incomunicabilità. Interpretare significa attribuire un significato, sia a scopo conoscitivo, sia a scopo operativo. L’interpretazione è quindi un fenomeno complesso che trova motivo in un fatto, in un problema, che è necessario conoscere in modo da poter poi operare e risolverlo. Sostanzialmente, nella mia focalizzazione del problema, il tema è il disagio dei giovani, è un tema di cui si parla da sempre e paradossalmente troppo, perché forse se ne parla male, tanto che il termine stesso è divenuto ambiguo, tende a comprendere sia la sofferenza legata ai bisogni insoddisfatti ed ai maltrattamenti, sia l’insoddisfazione che accompagna l’esistenza anche nel “benessere”.
Sta, di fatto, però che aumentano sia la sofferenza sia l’insoddisfazione, ed i limiti tra le due cose sembrano sciogliersi e scomparire, ma questa è un’osservazione che vale per il primo mondo a cui apparteniamo, perché per il resto del mondo (sembra non esistere più un secondo mondo) che e uso chiamare il terzo, la distinzione tra sofferenza ed insoddisfazione esistenziale è risolta col prevalere assoluto della sofferenza.

Fatta questa osservazione è necessario, però, tornare a noi ed esaminare quello che sembra accadere.

Nell’ambito dell’età evolutiva oggi si assiste ormai da qualche tempo ad un allargamento del periodo dell’adolescenza, che non solo si allunga ma inizia anche più precocemente, a volte anche prima della trasformazione puberale. 

È questo un fenomeno che ha origine in precise caratteristiche della condotta degli adulti e che sottopone il soggetto in età evolutiva ad una serie di stimoli che possono essere anche origine di rischio e di disagio.

Se da una parte questo fenomeno porta al permanere del giovane in una zona di parcheggio prolungato prima di diventare adulto, da un’altra parte si accompagna ad un altro fenomeno che è basilare: se l’adolescenza si allunga ed inizia prima, l’infanzia si accorcia sempre di più, quasi fino a perdersi. L’infanzia perduta dipende dall’infanzia negata e si esprime con l’infanzia nascosta, e l’infanzia nascosta è un’infanzia muta perché non ascoltata.

S’innesta così un processo perverso che inizia a negare l’infanzia, bloccare l’adolescenza e quindi perdere anche la possibilità d’essere adulti. Non intende essere questa una constatazione disperante o pessimistica, ma solo un cercare di cogliere la possibilità di rendersi conto, di cosa sta accadendo, non solo per capire meglio il “disagio” minorile, ma anche cercare di capire cosa sia possibile fare proprio per costruire un dialogo consapevole tra giovani ed adulti, attivare un campo relazionale in cui l’ascolto sia possibile e costruttivo.

PROVE DI ASCOLTO
Già nel tema si enuncia un problema, centrale, forse, nella complessità della relazione tra giovani ed adulti e che oggi sembra assumere significati ed aspetti particolari. Le parole definiscono, limitano e connotano l’argomento, il senso del discorso e delle riflessioni. A questo riguardo interessa riflettere sul significato di due espressioni in particolare, sui concetti espressi dai vocaboli: ” ascolto” e “prove”. In ogni relazione l’ascolto realizza un momento specifico, centrale e delicato, ambiguamente interpretabile ed interpretato. L’ascolto sta all’inizio della relazione e l’accompagna per tutta la sua durata, è essenziale nell’osservare e nell’accogliere, nel preparare e nel creare lo spazio comunicativo e solo apparentemente è un fatto passivo e ricettivo, la reciprocità dell’ascolto da senso al rapporto, ne determina i contenuti. L’ascolto, poi, più dell’azione è legato al pensiero, se non altro in un modo più intimo, non sembri questa una finezza psicologica, perché il pensare l’altro è un elemento della relazione non sempre sufficientemente valutato. Se consideriamo, e non solo per esempio, la relazione primaria, tra madre e figlio, tra genitori e bambini come base della relazione tra giovani ed adulti, che evolve poi nelle caratteristiche generali delle relazioni tra le persone, è ormai acquisita l’importanza fondamentale del pensare l’altro e del pensarsi nel rapporto.

La madre ed i genitori pensano il figlio, anche prima che questo nasca ed a volte prima del concepimento. Questo pensiero, ovviamente, non mai “innocente”, nella sua assoluta soggettività si colora di emotività e di pregiudizi e si esprime con i desideri, tanto che ogni adulto ha un’immagine dei propri figli, un’immagine dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, che è esclusivamente sua, forse condivisa, ma sempre nella soggettività più stretta e che si avvicina all’oggettività dell’esistenza reale solo nell’incontro e nel dialogo che è fatto, o dovrebbe essere fatto, prevalentemente di ascolto. D’altra parte in tutte le relazioni questa immagine-pensiero non è mai innocente nella sua inevitabilità e necessità, perché è sempre fondato sulla personale visione del mondo che è preconcetto e pregiudizio. Aiutandosi con una metafora per spiegare quanto detto, il pensiero dei genitori costruisce una sorta di culla psicologica nella quale il bambino è accolto, si sente contenuto e capito ed ha l’opportunità di confrontarsi con l’immagine che i genitori ne hanno e costruire così la sua identità personale. Nell’adolescenza poi questo contenitore di pensiero si apre e da culla si trasforma in rifugio, base sicura dalla quale esplorare il mondo e che poi sarà abbandonata, e collocata nel ricordo farà parte della storia personale. Questi meccanismi di pensiero caratterizzano ad ogni livello la relazione tra giovani ed adulti, come poi caratterizzano i rapporti tra le “persone”. Con questo ultimo vocabolo è stato introdotto un altro concetto: quello di “persona”. Non è questa la sede per definire cosa sia la personalità e cosa si intenda per persona, ci è però sufficiente assimilare questo concetto a quello di “individualità”, all’originalità personale come differenza, espressione dell’individualità, dell'”io” e del “tu” nella relazione. Anche questo concetto però è fondamentale e fondante nella relazione tra giovani ed adulti, perché è sempre molto difficile che un adulto riesca spontaneamente a considerare un figlio o un giovane “persona”, cioè individuo compiuto e diverso dall’immagine che ne ha. Quando ciò avviene si realizza sempre nell’ambito del conosciuto, del previsto, del prevedibile e dello sperabile. Appare chiaro che questa difficoltà ha un senso, che fisiologicamente nasce da una delle caratteristiche universali del rapporto tra genitori e figli, in altre parole dalla asimmetria di potere e di possibilità. Questa è una caratteristica che fonda tutta la relazione pedagogica, di crescita e di sviluppo, ogni bambino è “persona” in senso concreto e non astratto, anche se non nella sua compiutezza evolutiva, ma nel complesso delle sue competenze e delle sue opportunità di sviluppo. Tutto ciò porta poi a considerare come l’ascolto sia problematico e difficile, perché sempre fatto attraverso filtri interpretativi che non possono essere eliminati perché necessari. Ma è essenziale però che tali filtri siano consapevoli, funzionali all’unico scopo fisiologicamente legittimo che è quello di fare crescere i giovani nella realizzazione di tutte le loro “possibilità personali”. I rischi fondamentali nei quali possiamo incappare sono costituiti dal fatto che questi filtri possono essere troppo rigidi e pregiudiziali, ma anche essere resi formali fino a scomparire nella loro essenza, ed è questa l’evenienza più frequente oggi, che si sviluppa nella ricerca di una delega educativa dei genitori tra loro, tra famiglia e scuola, tra questi e la collettività rappresentata o dallo stato o dal gruppo. Delega questa che, proprio perché distribuita e diluita, nessuno raccoglie compiutamente per portarla a sintesi operativa. Questo processo realizza, nell’inconscio di personalità giovanili che evolvono dalla dipendenza all’autonomia, un senso di abbandono inapparente che è vissuto o come solitudine a cui reagire paranoicamente o con un’organizzazione autonoma delle strutture caratteriali e relazionali che prima di essere alternativa è disperatamente ed insufficientemente oppositiva. Se è vero che ogni giovane per crescere ha sempre necessità di paragonarsi e di contrapporsi, per conoscere e conoscersi, perché ciò avvenga nel modo più produttivo possibile necessita di interlocutori sufficientemente definiti, non sfuggenti e non ambigui. Questo forse è l’orizzonte culturale nel quale l’ascolto è divenuto un problema.

Queste riflessioni danno ragione del secondo vocabolo su cui riflettere: “prove”. Provare significa qui tentare, sperimentare, cercare di risolvere in un approccio insicuro un problema. Provare definisce un processo, un cammino che prevede e necessita di una consapevolezza, prima di tutto del problema vero che stiamo affrontando e poi del progetto che necessariamente stiamo costruendo. Credo di poter affermare, o proporre come una mia opinione, che nel nostro attuale contesto culturale, in questo settore specifico sono caduti di tono sia la consapevolezza sia la progettualità, e questo è un fenomeno che coinvolge sia le famiglie sia le istituzioni. A ciò si accompagna un inevitabile scollamento tra problemi proposti dai giovani e la nostra capacità di adulti di comprendere in modo sufficiente, concreto e realistico, perché come è palese manca il dialogo. Quest’ultima affermazione però, perché non sia riassorbita nella banalità, è da sottoporre a critica, se non altro riguardo al senso che intendiamo dare al dialogo. Se inseriamo la relazione in un contesto culturale nel quale ci si confronta prevalentemente attraverso immagini, speso costruite attraverso modelli riduttivamente collettivi il dialogo esiste, ma non riguarda le persone, che rimangono nascoste con le loro nevrosi dietro le immagini attraverso le quali relazionano, si misurano e si confrontano. Il progetto di cui parliamo e che vede come necessario l’ascolto reciproco è quindi solo in parte quello della relazione tra giovani ed adulti, perché si identifica in un progetto per gestire i rapporto nel complesso e nella complessità del nostro contesto sociale. Nello specifico però, l’ascolto dei giovani realizza una risorsa ed un’opportunità di grande utilità ed interesse, perché per loro natura, attraverso i loro comportamenti, regolari o meno regolari, con i loro innumerevoli disagi spesso da loro non rilevati come tali ma vissuti attraverso le reazioni. Se saremo capaci di “ascoltare” potremo avere sostanziali suggerimenti per affrontare i loro ed i nostri problemi e che la nostra onnipotenza residua non ci fa accogliere.  Per fare tutto ciò è necessario però approfittare presto di questa possibilità di dialogo fecondo, prima che i giovani insieme con noi non siano omologati in schemi di pensiero collettivi, che si fanno sempre più semplici, riduttivi e regressivi.

(continua)

“E’ sempre tempo di Coaching!” 

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