1) Il senso della vita: ricerca semi seria su se stessi…

Ci ho pensato su parecchio tempo… prima di decidermi se scrivere questo post a più puntate.

L’azzimut era… anzi è alquanto complicato e “mettere a fuoco” un ragionamento che tiene insieme: le religioni e la filosofia, la razionalità e lo scetticismo, ma anche l’arte, la scienza, la politica, che ognuna per se e tutte insieme ci propongono i significati possibili e quanto altro può servire a dare una risposta di “senso” al nostro “senso della vita” rappresentava per me  una sfida alquanto impegnativa.

“Finché porterai un sogno nel cuore

non perderai il senso della vita”

(M. Gandhi)

Chissà se anche a Voi capita? Mi finisce la giornata, che non ho fatto neanche in tempo ad accorgermi di vivere! E allora, un po’ sconfitto, talvolta ho chiesto a me stesso: “Maurizio, qual è il senso della vita?” Anche se in realtà, nel mio dialetto più intimo, questa domanda viene declamata così: “che caz …volo …mi sbatto a fare?”

Ma se c’è gente che nasce stramba, io ci nacqui: la domanda sul “senso della vita” mi manda da sempre in crisi e… non perché non so la risposta… ma perché francamente, non riesco a capire la domanda!

Infatti, qual è il senso della domanda su: “qual è il senso della vita?”

Questo benedetto interrogativo esistenziale si può tradurre in più modi: “Qual’ è lo scopo dato a me dalla vita?” “Quali sono i significati che gli esseri umani danno alla vita?” “Quale senso trovo nella vita?”

Ma …cavoli, queste domande non sono mica intercambiabili! Possibile che solo io vedo le differenze?!

Provate a scoprirle anche Voi …come quando si gioca alle due vignette quasi identiche della Settimana Enigmistica…

Lo scopo dato: tanto per cominciare lo scopo della mia vita non lo decido io… Non mi ricordo proprio di aver deciso di nascere, e Voi?

Quindi, se la nostra vita ha uno scopo dato, lo ha stabilito chi ha voluto crearci: un Dio o delle entità aliene o Madre Natura, posto che essa sia un qualcosa capace di decidere.

Più prababilmente, noi chiamiamo impropriamente “scopo” un effetto involontario dovuto a una serie di cause: ad esempio, le specie viventi si adattano all’ambiente selezionando i nuovi individui leggermente differenti, ed ecco che quindi siamo nati anche io e Voi.

Gli scopi ipotizzati: Dato che non nasciamo con il libretto delle istruzioni e con questo intendo dire che la vita è muta e non ci spiega chiaramente il suo significato… accennavo, qualche riga sopra che:  la religione e la filosofia, ma anche l’arte, la scienza, la politica, ci propongono una rosa di significati possibili tra cui noi scegliamo o a cui aderiamo per l’educazione ricevuta.

Chi è intriso della propria fede obietta che la natura parla di Dio, che i Vangeli e/o il Corano sono parola di Dio, che il Vaticano o il proprio Ayatollah tramanda la verità, quindi il senso della vita. Ma appunto: Dio, se esiste, ci parla per interposta persona (il clero, i muftì e gli ulema) e se la natura è …il suo linguaggio, è maledettamente equivoco. A riprova di questo vi sta l’immensa varietà di fedi, divinità, libri ritenuti sacri o eretici, filosofie, interpretazioni, prospettive, teorie. Ma non finisce qui…

Il significato cercato nel vivere: Senso e significato sono sinonimi, mentre scopo è solo uno dei fattori che danno significato a qualcosa, tant’è vero che ci sono cose che hanno un significato pur avendo perduto il loro scopo, ad esempio i nostri peli: non bastano a tenerci caldi, non coprono dal sole, perciò il loro significato viene dato dall’evoluzione, che ad esempio ha conservato in noi dei residui di organi (detti vestigiali Wikipedia: organi vestigiali) che avevano una funzione per gli organismi dei nostri antenati. E infatti, la stragrande maggioranza delle persone, dà alla vita un significato che esula dallo scopo religioso o scientifico: cioè trova un significato nel proprio stesso vivere, nell’amare, nei propri figli, o si dà una missione personale.

Quindi, il senso della vita, offre una simpatica rassegna dei tanti significati personali che le persone comuni o i famosi escogitano per dare un senso alla vita e alla ricerca della felicità …anche se non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vedervi felici.

Se state pensando: “In questo paragrafo non si capisce niente” …la penso proprio come Voi, ma ormai l’ho scritto…

Quello che intendo dire, è che si può concepire un significato nel vivere …anche qualora la vita non abbia scopo o non lo si conosca. Più chiaro, adesso? (Tanto, anche se dite di no, io non sento…).

Bene. Allora… freghiamocene!

Siamo poi così sicuri che è necessario dare un senso alla vita? E se invece un senso ci fosse veramente, appena dietro l’angolo, proprio a un passo da te, e solo per un soffio ti scappa via continuamente?

Nel buddismo, un mio caro amico, ha trovato una profonda pace, perché riesce a dare un senso a ogni evento della sorte.

Io ancora no! Per esempio alle guerre e alle sofferenze che producono… alla sofferenza dei bambini: io non riesco proprio a dare un senso. Ma la mia nonna mi insegnava… a dire che, qualcosa non piace, solo dopo averlo assaggiato, perciò ho deciso di passare in rassegna almeno le prospettive e le spiegazioni più note. Poniamo ai due estremi coloro che: trovano delle certezze in una dimensione spirituale e all’opposto coloro che si basano esclusivamente sulla ragione.

In mezzo, ci sono le diverse sfumature di quelli che cercano delle spiegazioni alla vita che siano ragionevoli, senza escludere l’intuizione e le esperienze che non si possono accertare. frasi-in-inglese-sulla-vita_2 (2)

Vi è anche chi rinuncia a dare un senso definitivo, stabile, certo, ritenendo che non ci sia o che personalmente non l’abbia ancora trovato.

Molto differente è, invece, colui che non si pone il problema.

La differenza tra scettici e ingenui (non vi distraete che poi vi interrogo!) è una differenza importantissima: lo scettico si pone il problema e non trova risposta, l’ingenuo (o forse la parte ingenua di ognuno di noi) vive inconsapevolmente, senza farsi domande…

Già, ma nella vita si operano delle scelte. Perciò, se non ci poniamo la domanda, allora il caso, la società, l’abitudine sceglieranno al posto nostro. E questo… sicuramente non ha senso!

Non c’è enciclopedia sul: senso della vita. Vi va, allora, se cominciamo a ragionare sul senso della vita? Da dove partire?

Ora il più antico e anche il più diffuso tentativo di trovare un significato alla vita è la religiosità, già proprio così: dal nostro rapporto con il sacro. Ma metto subito le mani avanti: il ragionamento che Vi propongo non è né semplice, né scontato!

Quindi, se vorrete approfittarne dovrete concentrarvi… qui non siamo su …Facebook!

Accidenti, devo fare una seconda premessa, portate pazienza! Io sono ateo. Credo che sia giusto dirvelo, considerato l’argomento di questo paragrafo. Ma Vi devo anche dire che sono un ‘credente’ e …con tutta l’anima! No! Non è una palese contraddizione? Niente affatto. Io …credo nella vita… e penso che proprio per questo possa offrirvi un punto di vista privilegiato, ma sarete Voi a giudicare.

Cos’è il sacro?

Già, perché il cuore della religiosità non è né la morale, né una teologia (una conoscenza razionale del divino) ma il senso del sacro! La religiosità non è un fatto squisitamente intellettuale… non è solo un corpo dottrinale: è un atteggiamento interiore (un senso della vita) che chiamiamo mistico, cioè che scopre, nel mondo, un mistero: ovvero, qualcosa di sacro.

Chi non ha avuto un’esperienza mistica o, per dirla in termini meno altisonanti: chi non si è mai sentito al cospetto di “un qualcosa” di sacro, non può comprendere la religiosità, e la riduce a una semplice tradizione socio-culturale.

Noi, quindi, lance in resta, adesso andremo dritti al cuore della religiosità!

Il sacro è la manifestazione di una forza che governa il mio destino ma che non ritengo essere naturale; è una forza “aliena” che quindi suscita stupore: cioè fascino e, nello stesso tempo, timore.

Per propiziarsi questa forza – comunque la si concepisca, come dirò nel prossimo paragrafo – si praticano: sacrifici (da sacro) oppure o anche, riti magici, oppure o anche, prescrizioni morali.

Nel sacrificio si spera di sedare la collera divina; nella magia si ritiene di poter “strumentalizzare” questa forza alieno-divina (nell’alchimia, evoluzione della magia e prodromo della scienza, il divino cede il posto a forze impersonali ma ancora non riducibili alla natura fisica del mondo); e con la morale si seguono delle norme per ottenere premi o evitare castighi.

Perciò, diventa sacro tutto ciò che, nel mondo naturale, congiunge al mondo soprannaturale: le manifestazioni delle forze che dominano il destino (miracoli, apparizioni, incarnazioni…), gli oggetti che le rappresentano (amuleti, simboli, luoghi di culto…) le azioni che le si dedica (inchini, benedizioni, ripetizioni di formule, danze…).

Quando un popolo si riconosce intorno allo stesso senso del sacro e agli stessi riti, la religiosità si istituzionalizza diventando religione (religare: legare insieme). Venerando il sacro, il popolo ottiene la benevolenza del divino: fecondità (una stirpe numerosa), abbondanza di beni e terre, la vita oltre la morte.

Questo terzo aspetto, può essere apparentemente secondario o predominante, ma è presente in tutte le religioni (compreso il buddismo, nonostante da molti venga considerata una filosofia). L’unica religione che non prevede la prosecuzione della vita nell’aldilà è il politeismo greco; infatti il politeismo romano ha il culto degli avi, e l’orfismo, lo scintoismo, il confucianesimo e il buddismo, credendo nella reincarnazione, si aprono all’esistenza ultraterrena. La morte viene quindi concepita come trapasso in un altro mondo, e il sacro diventa la chiave per varcarla illesi (sepoltura, mummificazione, monete in bocca al cadavere, intercessione per i defunti…)

Il senso religioso della vita: Ha quindi due elementi antitetici: da una parte la valorizzazione delle manifestazioni divine intra mondane, dall’altra la valorizzazione della vita ultramondana, che perciò pone in discussione l’assolutezza dell’orizzonte mondano.

Nel tentativo di risolvere questa antitesi, viene diviso il mondo terreno in ciò che manifesta il divino e tutto ciò che invece mette a repentaglio l’esistenza oltre la morte. L’obbedienza si contrappone ai piaceri, la spiritualità alla carnalità, i valori sociali ai valori individuali.

Il senso religioso della vita è, perciò, la concezione di un destino trascendente che reinterpreta il mondo, l’esistenza e la propria interiorità come il campo di battaglia tra il bene e il male.

Ogni religione si compone di questi elementi presi in diversa misura. E se seguiamo queste linee guida, possiamo rintracciare “nelle principali epoche storiche occidentali” un’evoluzione delle espressioni religiose: dal divino immanente al divino trascendente; dal culto come intercessione alla magia come controllo (verso la scienza); dalla celebrazione della vita fino alla sua subordinazione rispetto all’aldilà.

Come possiamo capire, quindi, tutte le religioni sono la risposta mistica (che parte dal senso del sacro) alla morte. Sono apotropaiche, snobistico termine per dire che sedano l’angoscia della mortalità, cioè sono consolatorie. Anche perché giustificano la sofferenza, anche perché promettono una giustizia. Ma la sofferenza cesserà dopo questa vita, la giustizia si compirà dopo questa vita. Rispondono alla morte promettendo un aldilà, che sia una seconda vita, che sia il ricongiungimento dell’Atman nel Brama, dell’io nel Tutto da cui i desideri lo avevano separato.

A questo punto, è necessario farsi una domanda fondamentale: la religiosità, oltre a consolare, ha anche qualcosa a che vedere con la realtà? Insomma… credere è razionale?

…la risposta, la trovate …nel prossimo post su questo Blog.

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