1) Pensionamento ed invecchiamento: “un binomio troppo stretto…”

(prima parte)

“la Vecchiaia viene dal di fuori”

(Manlio Sgarambo)

“Arrivati ai cinquanta o sessant’anni è ora di cominciare

un altro tipo di terapia: la terapia delle idee”

(James Hillman)

L’attualità economica e politica, sta rimettendo sotto la lente d’ingrandimento il tema delle pensioni e dell’invecchiamento della nostra società…  la questione come tutto ormai… viene letta solo ed esclusivamente sotto l’aspetto dei costi previdenziali e della sufficienza delle coperture economiche presenti e future …come stanno veramente le cose?

Partiamo da una necessaria premessa… Le diverse culture tendono a dare significati diversi a fenomeni che, al contrario, sono comuni. Per altro verso, un fenomeno sociale assume significati anche molto differenti secondo la fase storica cui si faccia riferimento o in ogni caso al suo cambiare con il passare del tempo.

Il pensionamento subisce ai nostri giorni una forte e contraddittoria vocazione. Da una parte rappresenta l’ingresso delle persone in un target preciso al quale si può fare facilmente riferimento per rendere il singolo, ad esempio, un potenziale acquirente funzionale ad una ottimizzazione dei costi delle politiche di marketing. Dall’altra si articola in una drastica mutazione (quasi sempre) dello status sociale e del ruolo (proposto, percepito, richiesto dalla singola persona che accede alla pensione).

Questo fatto, questo evento, questo momento, che è anche un rituale con molteplici prefigurazioni differenziate, rimane, però, molto più un fatto personale e privato, a limitata (e spesso quasi nulla) effettiva rilevanza sociale se non per quella del suo costo economico.

Alcuni elementi di fondo: La percentuale dei pensionati di età non superiore ai 64 anni nel 2000 rappresentava il 27,92 del totale degli stessi. Di contro, la speranza di vita media in Italia si situava sui 76 anni per gli uomini e 82 per le donne. Già questo dato rimetteva in discussione il teorema per il quale esisterebbe una connessione lineare tra il pensionamento e l’invecchiamento. Ebbene, negli ultimi dieci anni o poco più, l’aspettativa di vita è ulteriormente incrementata. Nel 2012 la speranza di vita alla nascita è giunta a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne (rispettivamente superiore di 2,1 anni e 1,3 anni alla media europea del 2012). Allo stesso tempo il nostro Paese è caratterizzato dal persistere di livelli molto bassi di fecondità, in media 1,42 figli per donna nel 2012 (media Ue a 28 paesi,  1,58%).

Si accentua l’invecchiamento della nostra popolazione. La vita media in continuo aumento, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall’altro, ci hanno fatto conquistare a più riprese il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo: al 1° gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei ci supera solo la Germania (158), mentre la media Ue a 28 paesi è pari 116,6. Questa misura rappresenta il “debito demografico” contratto da un paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent’anni di tale evoluzione demografica ci consegnano un paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche.

Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi paese, l’Italia si presenta con una struttura per età fortemente squilibrata, in termini di rapporto tra popolazione in età attiva e non, e con una dinamica demografica che non potrà che aggravare il processo di invecchiamento, a meno di politiche sociali in grado di mutare in profondità i comportamenti individuali e familiari.

vecchiaiaL’analisi del fenomeno dell’anziano, della sua stessa necessaria ridefinizione parrebbe quindi più che necessaria dalla presenza di questi ulteriori elementi e dalle loro prospettive evoluzioni. Se in Italia nel 1980 la percentuale di over 65 era del 13%, nel 2000 è stata del 18,1%, mentre nel 2020, secondo le convergenti ricerche dei principali analisti pubblici e privati, è prevista essere addirittura del 25%: un quarto della popolazione sarà “vecchia” …anche se bisognerà rivedere il significato semantico di questo vocabolo.

Del resto all’inizio del ’900 solo il 25% dei deceduti aveva più di 65 anni: oggi sono oltre l’80%. Un ulteriore dato a supporto per comprendere i fenomeni in corso riguarda l’indice di vecchiaia, in altre parole il rapporto tra over 65 e giovani under 15 come sopra indicato: era il 61% nel 1980, oggi è circa il 130% …superando in alcune aree del Nord del Paese il 150%) ed è previsto sfiorare il 230% nel 2020.

Le curve di sopravvivenza della popolazione tendono alla rettangolazione, cioè tendono ad una curva ideale che esprime il collasso del sistema biologico in tarda età. Questo elemento sottolinea come ormai il concetto di anzianità venga fortemente correlato alla mancanza di salute ovvero alla diminuzione della sua qualità. Un’ulteriore conferma proviene dal CENSIS che, in una ricerca effettuata su un campione rappresentativo, rileva che “l’evento che rende anziani (per il 62,75%) è la perdita dell’autosufficienza, il diventare dipendenti, i problemi di salute che in generale, minacciano di più la propria identità e la propria immagine di sé”. I problemi definitori sono, in qualche modo fondamentali, in quanto diventano il riferimento delle concettualizzazioni e della pratica verbale ed emotiva con cui i termini vengono declinati.

Appare quindi difficile …essere completamente d’accordo con la Joan Erikson (Joan Mowat Erikson psicologa nota per la sua collaborazione con l’opera del marito, anch’esso  psicologo e sociologo Erik Erikson), che ha contribuito con i suoi studi a ridisegnare il panorama psicologico prevalente negli anni 80/90: “Quanto è difficile riconoscere e avere l’esatta percezione dello stadio della vita in cui ci troviamo in un dato momento! Oggi è come ieri fino a quando non ti ritrovi in pensione e non fai un bilancio.”

Se da una parte appare difficile riconoscere a quale stadio di vita il singolo si trovi, dall’altro corriamo il rischio di agire un appiattimento su una definizione non convincente e stereotipata di anzianità. Come se una storicità non più attuale inibisse la costruzione di una terminologia più adeguata rispetto ad un fenomeno in grande cambiamento. Forse questo è solo un aspetto di un problema che si intuisce ormai chiaramente essere …notevolmente più complesso. Non si tratta solo di invecchiamento e del suo significato stereotipato… Si tratta invece di individuare una scienza dell’invecchiamento che ci permetta di entrare in relazione con le persone e con le loro fasi di vita, con i problemi del tempo, del cambiamento e della progettualità soggettiva e sociale.

L’invecchiamento viene incorporato nel concetto di “senilità” e quest’ultimo si coniuga direttamente… ma sempre più inopportunamente …al pensionamento. Sono tre le direzioni su cui si orienta oggi la ricerca sulle forme di senilità: 1) La senilità psicofisica con tutto il corredo di modificazione dell’aspetto e le relative ripercussioni psicologiche. 2) La senilità sociale decisa dalla comunità con la cessazione dell’attività lavorativa. 3) La senilità psichica determinata dal profilo caratteriale e dalla condizione di solitudine che accentua i tratti depressivi. I risultati di queste tre fonti di informazione… dicono che nel breve volgere di pochi anni l’adulto si trova ad affrontare una fase di trasformazione molto rapida a cui spesso non è preparato. Questa classificazione, forse, non contribuisce ad un chiarimento sul “peso” dei singoli fattori. Infatti “una scienza dell’invecchiamento che si fondi sulla (sola) fisiologia del cambiamento, invece che sul significato (sociale), non è un interlocutrice adatta per la persona in fase di cambiamento.”

In questo senso ci appare fondamentale il momento del pensionamento come elemento topico della vita del singolo. Alcuni, infatti, sostengono che tra i fattori più significativi che determinano il fenomeno dell’invecchiamento emergono “la condizione di pensionato che elide quella rete di rapporti sociali in cui il soggetto aveva sviluppato la parte centrale della sua vita, la diminuzione del reddito, lo sfaldarsi del gruppo socio-affettivo, in cui aveva costruito i legami più intimi. Tenderemmo quindi, in altri termini, a soffermarci sui problemi legati al pensionamento, intravedendo nello stesso un processo “poco” processato, un evento/fenomeno che, in alcune circostanze e per alcune persone diviene fondamentale per loro e per il futuro che li attende. Ribadita la non connessione diretta tra invecchiamento e pensionamento ci rimane l’interrogativo su quali siano i possibili motivi per cui proprio il pensionamento venga vissuto tout court come invecchiamento?

Hillman, ad esempio, ci propone un approccio che si articola sul funzionamento: “Forse, in alcune circostanze e per alcune persone, il pensionamento viene vissuto come disfunzionale in quanto non si riesce ad immaginare per sé alcuna funzione”. Sembra che questa lettura se possa aiutare la costruzione di un’impostazione diversa del binomio automatico pensionamento/invecchiamento per altro fa apparire necessario porre un limite ad un funzionalismo totale ed individuare, invece la costruzione di una situazione che, permetta di distinguere e di articolare contenuti e modalità di una relazione che rimane difficile, complessa e “bisognosa” di approfondimento.

Il ragionamento insiste e  consiste nel mostrare le caratteristiche di un processo “l’andare in pensione” i cui contenuti sono complessi ed articolati e, non essendo sufficientemente trattati, sono nella realtà  molto diversi dall’invecchiamento in quanto tale. La parola chiave del nostro percorso è: chiarimento. Proprio la mancanza di una separazione (separatezza) tra i due termini e la presenza invasiva e quasi totalizzante di uno stereotipo fortemente presente nella cultura (pensionamento = invecchiamento), rendono necessaria un’articolazione dei due termini e la ricerca di elementi che permettano, veicolino e certifichino le differenze.

lelegge di stabilita

Una delle componenti determinanti il permanere di una sorta di analogia concettuale e dei comportamenti attesi, va ricercata nella difficoltà/incapacità in cui quasi tutte le persone si trovano quando inizia quel processo il cui risultato finale si chiama pensionamento.

Questo processo “il pensionamento” inteso come idea, fantasia, prefigurazione prima, e come atto nel momento del passaggio “dal mondo del lavoro” al mondo del non lavoro” non viene, tendenzialmente, né analizzato, né esaminato, né approfondito.

Manca quindi un tassello centrale… Non è data la possibilità (salvo le nobili eccezioni che però rimangono tali) di collocare questo cambiamento, che rappresenta uno dei passaggi più importanti nella vita di una persona, dentro un contenitore che ne permetta un’elaborazione. Cambiamento che consenta alle persone di rintracciare, ovvero di costruire un senso rispetto al nuovo e al diverso che si trovano ad affrontare.

Spesso il pensionamento è percepito con una chiave predeterminata. La presenza di un “falso sé” trova nella risposta sociale stereotipata (negativa o positiva), alimento nella confusione e difficoltà ulteriori nella necessaria costruzione di una diversa mappa di sé e della realtà. Può accadere, infatti, che, accanto all’approccio di coloro i quali si ritrovano terrorizzati da un’idea nefasta e fortemente depressiva (pensionamento = morte), si generi in altri, invece, un approccio “chimera” non meno pericoloso (pensionamento = vacanza).

Questo determina nel tempo una pesantissima disillusione cui si collega un sentimento di frustrazione difficilmente gestibile. L’elemento da cui si può partire per tentare di chiarire il contenuto più profondo che presiede al pensionamento, come processo e come atto, va ricercato in un suo carattere specifico e dominante: “il cambiamento” . Ricordandoci che: “Il cambiamento implica, inevitabilmente un’incursione in regioni sconosciute e l’impegno ad affrontare le conseguenze di eventi imprevedibili. Inesorabilmente questa situazione comporta dubbi, sentimenti d’ansia e depressione, provocando la tendenza ad aggrapparsi alle cose note e familiari per evitare le nuove”. Ancora: “Il cambiamento implica, inevitabilmente un’incursione nell’ignoto; significa impegnarsi in vicende future non prevedibili e affrontarne le conseguenze. Ciò provoca inesorabilmente sentimenti d’ansia e di depressione, stimola la tendenza ad aggrapparsi a ciò che è noto e familiare, di modo che l’individuo è portato a soccombere alla compulsione a ripetere, onde evitare novità.”

Ciò significa soprattutto che : “Se in occasione di ciascun cambiamento non può essere elaborato un lutto, ciò sarà causa, assieme all’angoscia, di resistenza al cambiamento stesso”.

…per oggi ci fermiamo qua.

E’ sempre tempo di Coaching!

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