Probabilmente chiunque, passando in rassegna le persone che gli sono vicine, è in grado di identificare tra tutte un amico, un parente o un conoscente che è considerato da tutti la persona felice per antonomasia, la persona che non perde il buonumore anche quando deve affrontare delle situazioni difficili o fastidiose, quella che ha sempre la battuta pronta e che sembra serena in ogni circostanza. Ma la felicità da cosa dipende? Esistono delle caratteristiche dell’individuo che lo rendono maggiormente permeabile a sentimenti di felicità e gioia piuttosto che a sentimenti negativi? E’ molto difficile, probabilmente impossibile, rispondere in modo sufficientemente accurato a tali quesiti. Tuttavia le ricerche sulla felicità mettono in luce come essere più o meno felici non dipende in modo diretto da variabili anagrafiche come l’età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura. Al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità e in particolare quelle relative all’estroversione, alla fiducia in se stessi, alla sensazione di controllo su se stessi e il proprio futuro ( ancora D’Urso e Trentin – Psicologia delle emozioni -1992).
Secondo Michael Argyle e Lu Department of Experimental (1990) la persona estroversa è più felice perché ha più rapporti sociali, fa amicizie più facilmente, partecipa ad un maggior numero di attività pubbliche e collettive dove trova maggiori motivi di interesse e divertimento. Inoltre una persona felice è anche una persona che sta bene con se stessa e che ha fiducia nelle sue capacità e percepisce una fondamentale congruenza tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. In sostanza, più le persone riescono ad accettarsi per quello che sono, con tutti i loro pregi e i loro limiti, più sono felici. Analogamente, quanto più una persona ritiene di poter ragionevolmente controllare gli eventi che gli accadono nella sua vita affettiva, sociale, lavorativa, più è felice, e in particolar modo, è più felice di chi si considera in balia del caso o degli altri. Gli stati d’animo positivi possono influire in modo considerevole sia sul comportamento sia sui processi di pensiero rendendoli maggiormente adeguati e funzionali alle situazioni di vita dell’individuo. E’ poi ovvio che tutto questo si ripercuota positivamente sullo star bene dell’individuo con se stesso e gli altri. In effetti quando le persone sono di buon umore pensano alle cose in modo molto diverso rispetto a quando sono di cattivo umore. Ad esempio, si è trovato che il buon umore porta a descrivere in modo positivo gli eventi sociali a percepirsi come socialmente competenti, a provare sicurezza in se stessi e autostima (Gordon H. Bower – Affect and Cognition – 1983) Inoltre quando si è felici si tende a valutare più positivamente la propria persona: ci si sente pieni di energia, si considerano meno gravi i propri difetti e si pensa meno alle proprie difficoltà. In ultimo, si è visto che più si è felici più si curano e si allargano i propri interessi sociali e artistici, si pone maggiore attenzione alle questioni politiche generali, ci si sente più inclini ad accettare dei compiti nuovi e stimolanti, anche se difficili. Da questo punto di vista non c’è da stupirsi che uno stato emotivo positivo induca all’ottimismo Mayer e Volanth – Alla ricerca della felicità -1985), infatti, hanno trovato una correlazione diretta tra grado di buonumore e probabilità stimata di eventi positivi. Essere felici induce anche ad essere più audaci. A questo proposito, hanno messo in luce come la gioia tendenzialmente porti a sottovalutare la gravità dei rischi e quindi porti ad agire in modo meno prudente. In ogni caso si è anche visto che questo accade solo se la decisione da prendere non comporta dei rischi seri. In presenza di uno stato d’animo positivo, non solo il mondo sembra più colorato e desiderabile e le azioni più facili, ma anche le persone che ci circondano sembrano migliori. E’ forse per questo che molti esperimenti rilevano come le persone felici siano più disponibili, generose e altruiste e provochino negli altri una maggior simpatia. In ultimo, per quanto riguarda gli aspetti cognitivi, si è visto che il buon umore ha degli effetti positivi sulle capacità di apprendimento e di memoria e sulla creatività: in sostanza quando si è felici si apprende con più facilità, in misura maggiore e in modo più duraturo (Ellis, Thomas e Rodriguez, 1984; Ellis, Thomas, McFarland e Lane, 1985) e inoltre si è maggiormente creativi nella soluzione dei problemi. A questo punto, visti i vantaggi che essere felici comporta, ci si potrebbe chiedere se esistono delle strategie che ci aiutino a sentirci felici o a recuperare il buonumore quando lo si è perso. In questo senso D’Urso e Trentin nel testo già citato più volte: riportano una serie di attività e atteggiamenti che si accompagnano o favoriscono uno stato di benessere. Tali attività o atteggiamenti sono: non attribuire interamente a noi stessi la responsabilità degli eventi spiacevoli che ci capitano; stare in compagnia di persone felici; fare esercizio fisico; non confrontare la nostra condizione (salute, bellezza, ricchezza ecc.) con quella degli altri; individuare quello che ci piace nel nostro lavoro e valorizzarlo; curare il corpo e l’abbigliamento; riconoscere i legami tra cattivo umore e cattivo stato di salute: spesso è il malessere fisico, più che altri fattori oggettivi, a determinare un cattivo umore; dimensionare le nostre aspettative alle capacità e alle opportunità medie della situazione; aiutare le persone a cui piace essere aiutate; non fare progetti a lunga scadenza; frequentare le persone che ci hanno fatto dei piaceri e alle quali abbiamo fatto dei piaceri; non trarre conclusioni generali dagli insuccessi; fare una lista delle attività che personalmente ci fanno stare di buon umore e praticarle.
…adesso che sapete tutto, non vi resta che cercare la vostra …felicità!
<<Fine>>
E’ sempre tempo di Coaching!”
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