4. Giovani e Adulti: Prove di ascolto e questioni interpretative…

UNA QUESTIONE INTERPRETATIVA

Tutto ciò che fino a qui abbiamo detto porta alla questione di come interpretare la fenomenologia del rapporto tra giovani ed adulti. La prima cosa da fare è rendersi conto che quest’interpretazione non può essere mai “innocente” e che per essere onesta non può che essere il frutto di una dinamica relazionale, capace di mettere e mantenere in rapporto, di fare una sintesi tra come noi adulti interpretiamo il fenomeno e come lo interpretano i giovani. La difficoltà sta proprio nell’essere reciprocamente ed insieme osservatori ed osservati. Una possibile e concreta oggettività interpretativa non può che nascere da un’onesta e consapevole soggettività dell’osservazione. Bisogna ricordare che l’efficacia ed i risultati di ogni intervento hanno origine dalle premesse interpretative del progetto ed a quanto questo riesce ad essere concreto, che è diverso dall’essere pragmaticamente motivato. Solo per fare un esempio mi piace ricordare che la fascia d’età dei giovani con i quali stiamo dialogando va dai 14 ai 18 anni e rappresenta il periodo più intenso di trasformazione, di cambiamenti, di contraddizioni, di problemi. Fase di formazione e di transizione dall’infanzia all’età adulta, che non a caso coincide giuridicamente con l’età in cui si assume la responsabilità penale che è però giudicata e trattata in modo particolare e rispettoso della fase evolutiva della vita.
Oggi le cronache, ma anche le statistiche ci mostrano un aumento dei comportamenti di devianza sociale in età precoce, cioè nella prima fase dell’adolescenza, nella preadolescenza ed a volte anche prima. La costatazione di questo fenomeno richiede un’analisi ed un’osservazione corretta, completa e complessa prima di apportare provvedimenti di correzione e di prevenzione che possono essere efficaci anche se spesso obbligatoriamente riduttivi. Una delle proposte fatte è quella di abbassare i limiti della fascia d’età della punibilità minorile, basandosi sul fatto che oggi i minori maturano prima che nel passato. Credo, ma questa forse è una mia opinione, che tutto ciò sia discutibile, parte da una lettura e da un’interpretazione del fenomeno, riduttiva e semplificante, astratta ed in definitiva “pregiudiziale”. Semplificante perché identifica la “maturità” con l’acquisizione di performances e con l’adattamento pragmatico al mondo, saper usare un computer e sapersi districare per sopravvivere non equivale ad essere emotivamente formati e stabili, né tanto meno aver raggiunto una coscienza critica, che sono gli indice reali per stabilire la “maturità” raggiunta, che ad un’attenzione diversa appare, caso mai avvenire più tardi e spesso in modo parziale. In tali situazioni il comportamento giovanile è un epifenomeno, un sintomo di altri fattori più complessi, più intricati e che è necessario osservare ed interpretare in modo diverso. È legittimo a questo punto domandarsi in definitiva cosa si debba e si possa fare, posso solo ricordare che ogni adulto ha la possibilità e l’opportunità di cercare di essere consapevole di ciò che accade, delle proprie emozioni e della loro intima natura, dei propri pregiudizi e della propria visione del mondo e contemporaneamente delle emozioni dei giovani e del significato dei loro comportamenti. Nel momento in cui si interpreta è necessario avere il coraggio di rimettersi personalmente in discussione, che è poi l’unico modo per fare acquisire ai figli questa capacità essenziale.
Mi rendo ben conto che tutto ciò non rappresenta un modo facile di essere in rapporto e che proprio a causa dell’apparente banalità dell’osservazione, si rischia facilmente di rimanere nel campo delle intenzioni e delle illusioni mascherate da “senso comune”. Si può riflettere ancora che è necessario essere impietosamente onesti con se stessi e fermamente generosi con i giovani pretendendo da loro altrettanto, sapendo bene che i loro pensieri ed i loro progetti appartengono ad un futuro che non ci appartiene.
Al di là di tutto però basta forse lasciarsi andare a vivere con sincerità tutta l’intensità emozionale del rapporto che abbiamo con loro, e con loro riflettere, interpretare e cambiare.

(fine)

“E’ sempre tempo di Coaching!” 

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