Politica: L’Italia e le sfide presenti e future da affrontare. Occorre una nuova cultura politica. La crisi della Sinistra.  Il Governo Meloni dovrebbe capire che, “i veri patrioti sono i cittadini che pagano le tasse”…

L’Italia è uno dei paesi con le più alte disuguaglianze di reddito dell’eurozona e lo è ancor di più se consideriamo le disuguaglianze di genere e geografiche. Siamo uno dei paesi con la più alta incidenza di lavoratori poveri e (con la Grecia) quello in cui il reddito dei figli dipende maggiormente da quello dei genitori; e siamo uno dei paesi con il carico fiscale maggiormente squilibrato a favore della rendita di capitali, di immobili e sfavorevole al lavoro dipendente; e infine per la più alta evasione fiscale. Le disuguaglianze da noi sono talmente elevate che colpiscono la capacità di crescita, dato che bloccano l’ascensore sociale e impediscono quindi di realizzare il potenziale di ogni persona: in Italia lavora ancora solo una donna su due e, nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione femminile è 30 punti sotto la media europea. Terzo, la bassa crescita dell’Italia. Si deve, indubbiamente, alla bassa produttività. Questa però dipende dalla mancanza di una politica industriale nazionale, dall’uso non strategico dei trasferimenti alle imprese, infine dalla specializzazione produttiva in settori a modesta innovazione tecnologica; settori caratterizzati da piccole e piccolissime imprese, che fanno fatica a innovare e richiedono poco capitale umano, e da poche grandi imprese pubbliche che difficilmente costruiscono un approccio sistemico… La crisi ambientale, le disuguaglianze, la bassa crescita. Sono i tre temi chiave segnalati dal manifesto per la nascita di “Rosa Rossa”, associazione culturale progressista che si propone di «aiutare a riorientare il dibattito su quelle che devono essere le priorità delle forze di sinistra in un grande paese avanzato». Per riformare e migliorare la società bisogna partire da come la realtà è, non dà come vorremmo che fosse. E, per quel che riguarda il nostro Paese: Tutto ciò che in questo momento rappresenta simbolicamente la periferia della società sta subendo il più massiccio attacco mai registratosi nella storia politica recente dell’Italia. Si può parlare a ragione di una specie di “radicalizzazione della cattiveria sociale”, un accanimento in corso da tempo ma che si è addensato nelle ultime settimane con decisioni politiche (ed errori nella gestione di alcune delicatissime partite) che riguardano appunto la condizione materiale di vita di milioni di italiani diciamo “collocati in periferia” per posizione geografica, per condizioni economiche, per precarietà di vita e di lavoro, per delicatezza di età o per luoghi abitati all’interno delle nostre città. Una vera e propria “guerra alle periferie” fisiche e urbane dell’Italia, ma anche a tutte le persone che avrebbero più bisogno di un supporto delle autorità pubbliche, in particolare dello Stato centrale, e che invece si trovano non solo a non essere sostenute ma addirittura additate come scellerate, etichettate come mangiapane a tradimento, bollate come artefici della loro situazione a cui per punizione viene negato il sostegno e, soprattutto, il diritto all’attenzione. Tutto ciò assieme a le tre questioni centrali indicate… rappresentano la difficoltà del nostro Paese all’ammodernamento complessivo necessario per rinnovare il suo sviluppo economico e sociale. Primo, la crisi ambientale. Sappiamo che sta procedendo a un ritmo più rapido del previsto e che abbiamo pochi anni per evitare la catastrofe: è la più grande questione del nostro tempo e si decide adesso. Sappiamo anche che sono necessarie politiche, di mitigazione e adattamento, ben più incisive di quelle messe in campo fino a ora. L’Italia è uno dei paesi più colpiti: oltre che per ragioni climatiche, a causa della nostra densità abitativa e la fragilità del territorio, aumentata dalla cementificazione sconsiderata; per i molti chilometri di costa, che subiscono l’innalzamento dei mari; perché la nostra area più produttiva e densamente popolata, la pianura padana, è fra le più inquinate del mondo avanzato; perché siamo un naturale paese di approdo dei migranti ambientali che fuggono dalla desertificazione dell’Africa; e perché il nostro stesso territorio è soggetto alla desertificazione. Ma rispetto ad altri paesi europei, noi avremmo anche maggiori benefici dalla conversione energetica e dalle fonti rinnovabili: perché abbiamo molto più sole, potenziale eolico, geotermico, mentre importiamo fonti fossili a caro prezzo; infine, perché abbiamo diverse imprese sia pubbliche che private ben posizionate su questa frontiera tecnologica. Una palese contraddizione. Le disuguaglianze. Negli ultimi decenni, si sono ridotte su scala globale, sono cresciute all’interno di molti paesi, in particolare in Italia, e contribuiscono alla crisi delle democrazie. Il loro aumento si deve, oltre che alle conseguenze di una globalizzazione commerciale mal gestita (che pure, in altri continenti, ha contribuito a fare uscire centinaia di milioni di persone dalla povertà), a una globalizzazione finanziaria incontrollata, che ha favorito i paradisi fiscali e tolto agli Stati risorse per realizzare politiche di redistribuzione. Siamo il paese con la più bassa percentuale di laureati nel mondo avanzato e, per giunta, quello con la maggiore emigrazione di persone istruite: la via sicura per il declino. Il problema è reso acuto anche dal fatto che l’Italia ha privilegiato come modello competitivo (peraltro fallimentare) la flessibilità e la svalutazione del lavoro. Negli ultimi trent’anni i salari reali sono rimasti al palo, come quelli del lavoro qualificato, ben più che in tutto il resto d’Europa, mentre il lavoro è stato precarizzato più che nella media europea. Queste politiche però non sono servite a evitare il declino. Anzi, sono in parte responsabili della stagnazione della produttività e della crescita, perché hanno dato al sistema gli incentivi sbagliati. Che fare? Le tre questioni vanno affrontate insieme, delineando una strategia che, contrariamente a quel che si crede, ha molti più benefici che costi. L’innovazione tecnologica e gli investimenti legati alla transizione verde sono un’opportunità per rilanciare la produttività del nostro Paese e per favorire la buona occupazione. L’universalità dei servizi pubblici è cruciale per abbattere le diseguaglianze e anche per promuovere lo sviluppo: si pensi all’istruzione, dagli asili all’università, o all’importanza di ricerca e innovazione nel settore sanitario. La ricerca deve ritrovare il ruolo che ha giocato negli anni della grande crescita del Paese attraverso l’impegno strategico e sistemico delle imprese pubbliche, in sinergia con quelle private; reti trasversali sul territorio nazionale devono fare incontrare la ricerca con il mondo delle piccole e medie imprese (come fa la Germania con la Fraunhofer-Gesellschaft). Sono necessarie politiche fiscali che favoriscano la crescita delle imprese e degli investimenti e non premino le rendite. Occorrono politiche che sostengano il lavoro qualificato e ben pagato, rafforzando il ruolo dei sindacati, proteggendo i lavoratori, introducendo finalmente il salario minimo. Va riconquistata in questo modo una cultura di valori etici e di giustizia sociale, su cui fondare la partecipazione democratica. Ci sarebbero molti altri esempi, ma credo di aver reso il concetto. Il dibattito politico-culturale deve essere riavviato sui problemi più importanti del nostro tempo. Per le forze di sinistra, la sconfitta elettorale del 2022 discende in parte proprio dall’incapacità di proporre una cultura progressista, unificante, che sappia legare questi temi e appaia «vincente». È per questi motivi che, con decine di studiosi di discipline e competenze diverse abbiamo deciso di dare vita a un’associazione culturale progressista, “Rosa Rossa”: per aiutare a riorientare il dibattito su quelle che devono essere, oggi, le priorità delle forze di sinistra in un grande paese avanzato, raccordandosi anche con le altre associazioni di elaborazione culturale che vi sono in Italia. Con l’ambizione di contribuire a ricostruire un ponte fra mondo intellettuale e società civile, mondo dell’informazione e politica. La ricostruzione di questo legame è la premessa per cambiare in meglio l’Italia… Infine, occorre ribaltare l’idea che ha questo governo di destra… l’affermazione vergognosa che le tasse siano un «pizzo di stato». Laddove tutti pagano le tasse (chi più ha più paga) e vengono rispettati i due principi fondamentali della società giusta (universalità e progressività), si trova una democrazia robusta e vibrante. Eccezioni, elusioni, evasioni segnalano tre fenomeni molto gravi. La Magna Charta (1215) fu, fra l’altro, il tentativo riuscito dei Lords di imporre al re d’Inghilterra di consultarli se voleva il loro assenso e i loro soldi per finanziare sue attività, le sue guerre. Fu l’inizio della tassazione concordata fra il potere politico e i cittadini più eminenti, proprietari di castelli e di terre. Mezzo secolo dopo, dal 1765 in poi, alle origini delle democrazie anglosassoni, furono i coloni americani a ribellarsi al re d’Inghilterra al grido di “no taxation without representation”. Le tasse saranno pagate soltanto se decise da assemblee rappresentative elettive. Nacque o, meglio, si palesò il legame fra i cittadini e i governanti. Da allora è possibile sostenere che pagare le tasse è quello che fanno i buoni cittadini, i patrioti. Sono loro che danno mandato ai rappresentanti di formulare le decisioni con le quali esigere quante tasse, per quali obiettivi, con quali modalità. Sono decisioni importanti soprattutto perché quelle tasse servono allo Stato, al potere politico, per soddisfare alcuni compiti fondamentali, fra i quali la sicurezza interna e la difesa dei sacri confini della patria. Nel corso del tempo la sicurezza interna è stata vista in una luce più ampia. Può essere effettivamente garantita al meglio quando tutti i cittadini godono di un minimo di risorse per vivere in maniera dignitosa, quando dispongono delle opportunità di perseguire i loro progetti di vita. In maniera molto diversificata, con tempi e modi peculiari, attinenti alle differenti concezioni dell’uomo e del mondo, un po’ dappertutto una parte notevole di tasse anche elevate è stata destinata alla costruzione, al mantenimento, all’estensione delle politiche sociali e assistenziali. I cittadini pagano quelle tasse sapendo che lo Stato le utilizzerà secondo le sue capacità per migliorare la vita dei suoi cittadini. Dal canto loro, i cittadini sanno che con il loro voto potranno cambiare quelle destinazioni. Soprattutto, hanno imparato che essere buoni cittadini significa in misura notevole pagare le tasse che consentono allo Stato di difendere le loro condizioni e di aiutare chi è in condizioni disagiate, i compatrioti e non solo. Pagare le tasse forse non è, come sostenne Tommaso Padoa-Schioppa, “bello”, ma è sicuramente giusto e patriottico. Laddove tutti pagano le tasse, chi più ha più paga, e vengono rispettati i due principi fondamentali della società giusta: universalità e progressività, si trova una democrazia robusta e vibrante. Eccezioni, elusioni, evasioni segnalano tre fenomeni molto gravi. Da un lato, sta l’incapacità dello Stato di riscuotere le tasse. Dall’altro, stanno le decisioni dei detentori del potere politico di favorire alcuni gruppi, per una molteplicità di ragioni particolaristiche, a scapito di altri, con clientelismo e spesso corruzione. Dall’altro ancora stanno cittadini egoisti, profittatori, parassiti che godono dei beni comuni senza contribuire al loro finanziamento. Da tempo immemorabile, ma questa non è un’attenuante, l’elevato tasso di evasione fiscale è il maggiore problema italiano collegato alla corruzione e ai privilegi che consentono agli evasori di fruire dei beni collettivi finanziati dai contribuenti onesti. La soluzione non è mai quella di condonare il passato, cattiva lezione che influenza il futuro, né quella di moltiplicare le leggi fiscali e le modalità di pagamento. Plurimae leges corruttissima Repubblica. La battaglia per la società giusta passa per l’educazione politica, sociale, economica, culturale dei cittadini. E qui da noi anche oggi, da una serie di riforme, legate agli investimenti del Pnrr, che incontra sempre più difficoltà a realizzarsi. Infatti, i tagli al Pnrr preoccupano le Regioni. I governatori di destra e sinistra hanno messo nero su bianco in un documento inviato al ministro Fitto i timori che si arrivi a fermare i cantieri e chiesto garanzie sui fondi. Come scrive Giuseppe Colombo, nel testo “si sottolinea che la sostituzione delle risorse Ue con quelle del bilancio nazionale potrebbe rappresentare un’incognita forte data da un blocco dei cantieri, senza la certezza dei finanziamenti”. Il resto è fuffa o meglio: “truffa”…

 

E’ sempre tempo di Coaching! 

 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: riceverai una risposta oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuita

 

0

Aggiungi un commento