Addio ad autofficine, produttori di componenti industriali, agenzie di viaggio, venditori di polizze e consulenti finanziari…
Le agenzie di viaggio perdono mercato a vantaggio delle vendite online.
I guru ci garantiscono che la tecnologia distrugge vecchi lavori ma ne crea nuovi. Gli scettici, a costo di passare per luddisti, osservano che la distruzione di posti di lavoro è certa, mentre la creazione di impieghi sostitutivi è un atto di fede, e comunque tra i due fenomeni c’è una sfasatura temporale intollerabile per chi ci casca dentro…
Senza prendere posizione diretta in questa polemica, il prestigioso Financial Times, bibbia dell’economia globale, scrive che entro dieci o vent’anni cinque settori economici saranno schiantati dalla tecnologia: spariranno, o quasi, le agenzie di viaggio (e fin qui la profezia è facile) ma anche i produttori di componenti industriali (un comparto essenziale dell’economia italiana), le officine auto, i venditori di polizze Rc e (addirittura) i consulenti finanziari. Un presidio di operatori umani resterà in ciascuno di questi settori economici ma ridotto all’osso. E la cosa notevole è che a tramontare non saranno solo attività manuali ma anche professioni altamente qualificate nel terziario. C’è da crederci? E quali saranno le conseguenze?
Partiamo dalle agenzie di viaggio. Negli Stati Uniti il loro numero si è quasi dimezzato dal 1990 a oggi, sostituite dalla compravendita di servizi turistici online, e secondo le previsioni del governo diminuiranno di un altro 12% entro il 2024. E la rivoluzione digitale non travolgerà solo i negozi indipendenti che presidiano il territorio ma anche i grandi tour operator, cioè i gruppi che vendono i pacchetti turistici tramite le agenzie; saranno costretti a cambiare attività in maniera sostanziale, e il top manager di un colosso del settore dice: «Dovremo sempre meno vendere viaggi e vacanze e sempre più possedere e gestire alberghi e navi da crociera».
Ancora più devastante sarà l’impatto delle stampanti 3D: i produttori di componenti industriali rischiano di perdere il 60% del mercato entro dieci anni, perché le grandi aziende della meccanica potranno stampare quasi tutto in casa. Una brutta botta, ad esempio, per chi fabbrica componenti per auto in Italia (che spesso vengono esportati). Si salveranno – per un po’ – solo i produttori più sofisticati. E ancora non basta. Sempre nel comparto auto, il proliferare delle vetture elettriche farà crollare del 90% la richiesta di riparazioni in garage, perché la manutenzione dei motori elettrici è più semplice.
La componentistica è un settore minacciato dalle stampanti 3D. Tesi ardita o provocazione?
Una tesi ardita, quasi una provocazione, riguarda le automobili senza conducente: faranno sparire gli incidenti stradali e questo renderà inutili gli assicuratori di veicoli a motore. C’è da crederci?
Per adesso le vetture che si guidano da sole fanno notizia proprio per il motivo contrario, cioè quando si sfasciano.
Certo miglioreranno. Ma l’idea di base potrà mai piacere davvero? Milioni di automobilisti considerano un’intollerabile offesa alla loro identità virile anche solo l’idea del cambio automatico; e invece accetteranno di automatizzare tutto? Qualche dubbio è lecito.
Con le vetture senza conducente spariranno le Rc Auto?
La quinta e ultima previsione riguarda la consulenza finanziaria: sarà sempre più affidata a siti web che gestiscono i portafogli dei clienti sulla base di algoritmi. Così una miriade di intermediari strapagati perderà la sua ragion d’essere. E va beh. E queste persone e tutte le altre che perdono il posto che cosa faranno?
Altre professioni che nasceranno entro una generazione o due? E nel frattempo, giorno per giorno, che cosa si mangia?
Carlo Dell’Aringa, docente di Economia dell’impresa e del lavoro alla Cattolica di Milano, non si iscrive fra i guru che pensano che il passaggio sia indolore, ma ritiene che «nuovi lavori ci saranno sempre» e punta l’attenzione sul fatto che il mondo futuro sta già nascendo: «La “sharing economy”, o consumo collaborativo, è una realtà». Sì ma produce anche reddito? Stipendi? «Crea anche un fabbisogno di manodopera, ma soprattutto premia la capacità di iniziativa imprenditoriale.
Certo così rischia di ampliarsi il divario fra chi ha queste capacità e chi non le ha. È un fenomeno di divaricazione e di polarizzazione sociale», dice Dell’Aringa. Enorme problema.
Questa polarizzazione è sostenibile politicamente? O già si avverte una reazione di rigetto che farà saltare tutto? «Sono indispensabili politiche di redistribuzione del reddito. Non dico solo politiche di welfare ma proprio di redistribuzione. Però senza scoraggiare lo spirito d’impresa».
Un equilibrio tutto da inventare…
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