Sembrava l’ennesima ‘provocazione’ del Professor Cacciari. Ne ha già dette tante sul PD sul suo ex Segretario ed ex Primo Ministro Matteo Renzi. Ma, la notizia del rinvio dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico prevista per il prossimo 21 aprile… rende questo: “Non ci sono alternative: questo Pd va sciolto…” molto attuale e persino plausibile se non addirittura probabile. Tutti hanno convenuto (e come potrebbe essere diversamente?) circa la disfatta elettorale. Ma paradossalmente proprio coloro che più ne enfatizzano la portata, lo fanno solo per motivare l’assunzione della posizione aventiniana del PD. E sono proprio quelli che già stavano alla guida del partito. A cominciare dal leader, che si è dimesso (non) dimesso, che sempre più manifestamente a tutti gli effetti, continua a volere farla da “padrone”. Mentre, le minoranze interne balbettano solo millimetrici distinguo, su quella che considerano la sterile linea aventiniana. Ma, alla fine s’accodano con comportamenti corrivi francamente inspiegabili: dal voto unanime in Direzione, al consenso (senza discussione e voto) ai capi gruppo ultra-renziani, alla timida reazione al rinvio dell’assemblea nazionale. Rinunciando di fatto alla sede deputata a inaugurare un confronto sulla disfatta e in prospettiva alla ridefinizione o se preferite rifondazione (?) dell’identità del PD e della sua politica. Non aver certezza dei tempi (rinvio a quando?), del luogo statutario (assemblea nazionale) e dei modi (determinazione data del Congresso anticipato o ordinario) nei quali discutere a fondo sui motivi e le responsabilità degli insuccessi elettorali del PD, non depone certo a favore di quel necessario e urgente lavoro di “ricucitura” di un rapporto di fiducia del gruppo dirigente (interamente inteso), con i militanti di base del partito. Unico modo per iniziare un lavoro tra la gente sui territori che permetta la risalita del consenso per il partito tra l’elettorato. Cosa c’è quindi dentro (ma soprattutto… dietro) questo inopportuno rinvio? Può all’orizzonte esserci un cambio di linea? Una possibile apertura di Renzi & C. a un governo di tutti, passando dall’opposizione alla disponibilità verso Sergio Mattarella se il Presidente dovesse mettere in campo ipotesi di governi istituzionali? E visto che grazie ai veti intrecciati di Di Maio su Berlusconi e di questi sul M5s, al momento sembrano ferme le ipotesi di governo politico tra la Lega di Salvini e il M5s di Di Maio. Nel PD aspettano la mossa dell’affidamento di un mandato esplorativo da parte del capo dello Stato ad uno dei due Presidenti del Senato o della Camera dei Deputati (Casellati o Fico) più che già un possibile pre-incarico a Salvini, per poi (com’è probabile) se ci fosse ancora un nulla di fatto un altro pre-incarico a Di Maio con un altrettanto possibile esito negativo. Pertanto c’è ancora tempo prima di avere un governo nel pieno delle proprie funzioni. E nel PD si preparano a partecipare a queste nuove esplorazioni, con una posizione parzialmente diversa da quella iniziale: “il PD è alternativo alla Lega e al M5s. Starà dove lo hanno messo gli elettori: all’opposizione”. Però adesso chissà cosa può uscire dall’iniziativa del Quirinale? La tante dichiarazioni di questi giorni e soprattutto delle ultime ore, da parte di importanti esponenti del PD ci raccontano di una ritrovata maggiore flessibilità rispetto alle possibili opzioni che verranno messe sul campo, in risposta ad un’eventuale richiesta di responsabilità da parte del Colle. Ma c’è dell’altro ancora: c’è che Renzi non ci sta a mollare il partito a Martina. E’ curioso come il PD si sia rivolto al Vicecegretario Maurizio Martina per inaugurare la fase, di un severo esame critico della debacle, e mettere le basi di una discontinuità nell’azione del Partito. Un uomo Martina, oggettivamente poco plausibile per segnare discontinuità e novità. E’ sempre stato con il Segretario di turno (Veltroni, Bersani) è stato il vice di Renzi da dopo il disastro del referendum, fino a questa ulteriore e drammatica sconfitta. In più, appena fissata la data dell’Assemblea nazionale, si è messo in testa di candidarsi a Segretario, per avere un mandato pieno ma senza congresso e senza primarie (per restare in carica fino al congresso ordinario). Tant’è che la indisponibilità di Delrio a competere a Martina in assemblea l’incarico di Segretario, a fatto si, che paradossalmente, siano stati Renzi e i suoi pretoriani a chiedere un’accelerazione verso un congresso e il mantenimento delle primarie. Sarà pure stato sulla base del calcolo di poterla spuntare. Ma spetterebbe semmai alle minoranze pretendere che si proceda senza indugi a un appuntamento solenne e decisivo quale appunto un congresso, che propizi una effettiva radicale discontinuità rispetto al corso renziano, a cominciare da una discussione franca e profonda (partendo dall’assemblea), che invece non è ancora neppure iniziata sulle ragioni della disfatta elettorale. Allora perché il rinvio? Oggi, sembrerebbe esserci un’insicurezza di fondo sui numeri dell’assemblea. Se fino a pochi giorni fa, i renziani erano convinti di poter imporre il congresso anticipato entro le europee (le elezioni europee del prossimo anno si terranno dal 23 al 26 maggio) anche di fronte a un no delle altre correnti, con l’affidamento temporaneo di tutti i poteri al presidente Matteo Orfini, “sbalzando” così Martina dalla reggenza. Ad una più attenta riflessione, la granitica certezza renziana di avere la maggioranza in assemblea non c’è più. I delegati sono 600, ma bisognerebbe garantire che ci siano tutti e con un partito sconfitto e in crisi di identità non è cosa facile. Il punto è, che non è semplice nemmeno per i non-renziani: da Franceschini a Orlando schierati con Martina e la sua possibile elezione già in assemblea a Segretario, con la promessa di una totale collegialità nelle decisioni future, permetta a quel che resta del Partito Democratico di arrivare alla scadenza congressuale ordinaria nel 2021. Tutte le minoranze si sono quindi inizialmente dette contrarie al rinvio dell’assemblea, ma visto che nemmeno loro hanno la certezza di poter vincere un’eventuale sfida in assemblea. Ecco che alla fine di alcune discussioni, almeno lo stesso Martina e Franceschini si sono convinti dell’idea di rinviare l’assemblea a quando il caos sul governo verrà ricomposto. Obbligata la domanda: ma questo quando avverrà? Visto che (nonostante i segnali di far presto del Capo dello Stato) c’è ancora un gran caos sulle questioni di composizione di una maggioranza parlamentare di governo, dopo i risultati eclatanti del voto. Dovuti non tanto agli elettori, chiarissime le loro preferenze per il M5s di Di Maio e la Lega di Salvini; quanto all’ennesima legge elettorale il Rosatellum dai meccanismi alquanto discutibili. Ma c’è altrettanto caos anche nel PD. Mentre all’orizzonte si stagliano complicate sfide internazionali, vedi il conflitto siriano, detonatore di uno scontro tra Trump e Putin, che ha alzato la tensione con le azioni militari punitive nei confronti del regime di Bashar Hafiz al-Asad, per il probabile uso di gas tossici sui civili siriani suoi oppositori. Tensioni destinate a durare a lungo, sperando che nel frattempo, non si arrivi ad una escalation nell’uso delle armi. Il capo dello Stato al termine del secondo giro di consultazioni ha sottolineato accoratamente la delicatezza di questo momento politico, sollecitando (inutilmente) le forze politiche a trovare una quadra per fare il governo. E in una situazione del genere la discussione se fare o no il congresso anticipato del PD, e se sì, quando farlo, è sembrata del tutto fuori luogo. Per questo Renzi & C. ne hanno approfittato per chiedere di rinviare l’assemblea in programma per questo fine settimana. Non farlo dicono sarebbe stato poco responsabile. (?) Dalla minoranza di Andrea Orlando e Cuperlo a quella di Michele Emiliano fanno sapere di essere rimasti comunque contrari: “Sono contrario al rinvio dell’assemblea. Non ha senso rinviare ancora. Serve l’assemblea semmai proprio per rafforzare la tenuta del partito in una fase così complessa”, dice Francesco Boccia dell’area Emiliano. Tweetta l’eurodeputato della minoranza PD Daniele Viotti: “Il rinvio dell’assemblea del PD è un fatto gravissimo: viola lo statuto e la logica politica. I modi di Renzi e dei suoi sono sempre quelli di questo gruppo dirigente: quello che ha perso il referendum e tutte le elezioni che si sono susseguite in questi 15 mesi: fregandosene del nostro popolo”. Anche la prodiana Sandra Zampa si dice contraria: “I rinvii non sono utili a nessuno. Ma soprattutto non sono necessari. Non credo che l’assemblea confligga affatto con il percorso di formazione del nuovo governo. O decidiamo se vogliamo avviare un percorso congressuale subito, oppure decidiamo di confermare Martina, per tempi che ovviamente non sono gli anni previsti per la durata del Segretario. Una terza ipotesi da verificare sempre in assemblea è se ci siano altri che vogliono avanzare una propria candidatura. Una cosa è certa: l’assemblea è il luogo più importante che noi abbiamo adesso per discutere tra noi e di noi”. Ma i renziani hanno insistito, sottolineando: “il ragionamento è che non si può andare ad una conta interna devastante per il partito nel momento in cui la pentola a pressione del governo post-elettorale ancora bolle. E che se c’è da mettere in campo una mediazione proprio sul governo che verrà, lo deve poter fare l’attuale gestione: e non solo Martina se dovesse essere eletto Segretario, tra l’altro solo da una parte del partito”. Esplicitando così l’intenzione dei renziani, di non votarlo nell’incarico di Segretario in assemblea. Insomma, facendola breve, Renzi, come aveva già annunciato nella conferenza stampa nella quale aveva esplicitato le dimissioni (non dimissioni), dicendo che fino all’insediamento del Parlamento (cosa avvenuta) e alla formazione della maggioranza di governo (non si sa con chi e quando) le “carte” nel ‘suo’ PD, avrebbe continuato a darle solo lui… Mostrando, ormai senta alcun ritegno, di avere dell’attuale PD una idea proprietaria. Dal canto loro, le minoranze: di Orlando e Cuperlo, quella di Emiliano e oggi anche Franceschini, e altri non ancora chiaramente identificabili come nuove minoranze (Richetti, Serracchiani), la quale rappresentanza politica è stata “asfaltata” nella famosa “notte dei lunghi coltelli” della composizione (solitaria di Renzi) delle liste elettorali, che oggi vedono i gruppi parlamentari di Camera e Senato con la presenza di una netta maggioranza di renziani; si sono accontentate di rivendicare di aver detto per primi che la linea di opposizione “non doveva essere un Aventino”. Queste le parole usate da Franceschini, che fino alle elezioni era in maggioranza con Renzi. Ma che è sempre stato critico sulla linea renziana di opposizione tout court. Evidentemente ciò non è bastato per mostrare di contar qualcosa effettivamente… e soprattutto non basta per contarsi sul futuro del PD. Anche se in lui (Franceschini) i non-renziani della prima ora, quelli non usciti con la scissione di LeU, hanno trovato una sponda della loro battaglia per liberarsi da Renzi. E ora tutti quanti insieme rivendicavano come strategica la scelta del “dialogo” con M5s in una prospettiva di governo del Presidente. Chiediamoci a maggior ragione: perché si sia voluto rinviare l’assemblea?! Prendendo comunque atto che la contrapposizione nel gruppo dirigente non serve praticamente a nulla. Renzi & C. (sordo ad ogni istanza) e decide ancora tutto lui. Ha deciso il rinvio dell’Assemblea. E così l’assemblea è stata rinviata. Certo questa volta è emersa con chiarezza la grossa frattura politica che attraversa tutto il Partito Democratico (quel che ne resta). Era già nota, nonostante lo schermo delle frasi di circostanza; ma solo adesso diventa il tema ‘caldo’ in grado forse di condizionare la nascita del prossimo governo. La questione è per l’appunto riassunta nella tesi di Franceschini esposta all’assemblea dei parlamentari PD tenutasi la scorsa settimana. “Basta assistere”, ossia basta rimanere seduti sulla riva del fiume ad aspettare che cosa? La priorità dei Democratici consiste nell’evitare che si formi un governo Cinque Stelle-Lega perché una tale soluzione sarebbe dannosa per il Paese. Con buona pace del Senatore Marcucci e del suo: “non vedo l’ora che ci sia un governo Lega M5s”. A Franceschini ha risposto il “buttafuori” Matteo Orfini: “E’ vero il contrario, i sovranisti (Salvini e Di Maio) adesso hanno il dovere di governare e il Pd non può che starsene fermo all’opposizione”. Sono due punti di vista opposti, difficilmente conciliabili come l’acqua e l’olio”, anche se emulsionati insieme, dopo poco si ridividono. Benché sia ancora presto per immaginare che il partito si stia avviando ad un’ulteriore scissione. Comunque se tale scissione un giorno prendesse forma, ce ne sarebbe ben motivo, dal momento che il dissenso verte su un nodo cruciale come pochi. Da un lato, si tratta di lasciare che i Cinque Stelle scivolino un passo dopo l’altro verso l’alleanza con la Lega nazionalista, così da garantire al PD (quello di Renzi) il ruolo di oppositore principale, ma non forse unico. Potrebbe affiancarsi a lui… un Berlusconi “mollato” coi suoi resti dalla Lega. L’opzione in quel caso sarebbe solo una: attendere il fallimento completo dell’esperimento “populista”, nella speranza che dopo la tempesta il Paese torni a rivolgersi al PD e a Forza italia. E’ possibile o è una pia illusione? La traversata del deserto potrebbe essere alquanto lunga (anni) e senza garanzie che al termine del viaggio ritrovino gli elettori persi il 4 marzo. Come si sa, il quadro non è mai immutabile: e quegli elettori usciti perché delusi dalle formazioni di Renzi e Berlusconi, se eventualmente delusi dal M5s di Di Maio e dalla Lega di Salvini, potrebbero rivolgersi altrove: aumentando il non voto o eventualmente verso forze molto più radicali. Dall’altro lato, la posizione renziana, di una difesa a denti stretti della: “nessuna apertura ai Cinque Stelle” viene motivata col perché equivarrebbe a un suicidio politico di quel che resta del Pd. Sconfitto nelle urne e già ridotto a poco più della metà rispetto al 32,5% del M5s di Di Maio. Avvicinarsi in qualche modo a quel fuoco vorrebbe dire bruciarsi definitivamente le ali. Però se portato alle estreme conseguenze, il dissidio interno al PD potrebbe senz’altro giustificare una nuova scissione e sarebbe comunque la fine per PD. E se anche come sembra (vedi per l’appunto dopo il rinvio dell’assemblea) a Renzi & C. fosse tornata la tentazione di collocarsi sotto l’ombrello del Quirinale accettandone il richiamo al senso di responsabilità. Questo risponde a una sorta di stato di necessità: il Pd ha bisogno di un alibi per non aggravare la sua spaccatura interna. Peraltro a guardar bene i fatti: una linea d’opposizione intransigente è alquanto rischiosa, perché bisogna anche saperla interpretare e non solo proclamare. E il Pd (quello a impronta di Renzi) è stato il partito di governo per eccellenza, vista la contemporaneità della Premiership nel governo con la Leadership nel partito. Inoltre il PD (questo il giudizio di Renzi) non ha certo brillato quando a suo tempo, si è trovato a essere minoranza rispetto ai governi Berlusconi. E, come si sa, il chiodo fisso di Renzi (ma anche di Berlusconi) resta quello di un patto tra Forza italia e il PD (l’ennesimo patto del Nazzareno) nella costruzione di un “Centro governante”. Una sorta di Conventio ad excludendum del M5s di Di Maio e della Lega del lepenista Salvini. D’altra parte anche l’obiettivo enunciato da Franceschini di “condizionare” i Cinque Stelle in vista di far emergere la loro vena riformista oggi ancora nascosta, è sembrato a molti un gioco di parole, per mascherare la volontà di quel che resta del PD di governo, (Lui, Minniti, Pinotti, Martini, Madia, Fedeli, lo stesso Gentiloni e gli altri) di non abbandonare l’area del governo. In questa direzione va anche la proposta del Ministro Carlo Calenda neo-iscritto al PD: “Il Partito Democratico faccia un esecutivo di transizione con tutti”, proposta immediatamente cassata, ancora una volta da Orfini e dai renziani di rito ortodosso. D’altrode, in quel che resta del PD, ormai tutti dovrebbero averlo capito: che Renzi se ritenesse per paradosso, che il “dialogo” col M5s fosse il solo modo per poter restare in campo, e quindi occorresse aprire davvero ‘verso’ i Cinque Stelle… solo lui potrebbe decidere di farlo. Sarebbe clamoroso!? Si certo. Ma sancirebbe certificandolo che il PD non esiste come ‘organismo collettivo’ ma solo come una sigla, nella volubile disponibilità personale del leader che seppur sconfitto si e dimesso (per finta). Clamoroso?! Ma non impossibile, conoscendo la disinvoltura di Renzi e la condizione attuale del PD. Così facendo Renzi col suo Giglio Magico riaffermerebbe d’essere il solo ad avere in questo PD un potere totale per decidere o meno , di varcare eventualmente qualsiasi “Rubicone”. Quindi? Ha ragione Cacciari, che dopo un’attenta analisi su ciò che resta del PD dopo l’ennesima sconfitta, dice che ormai le cose stanno così e pertanto: “Non ci sono alternative: questo Pd va sciolto…”
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