La velocità di diffusione del coronavirus dalla Cina e le azioni radicali che ne sono seguite hanno messo in evidenza i rapporti di dipendenza che si sono creati negli ultimi decenni nell’economia mondiale. Come un domino, la questione di quali misure adottare nei vari paesi colpiti ha gettato tutti nell’incertezza. La caduta dei mercati azionari, il forte calo dei prezzi del petrolio, l’impatto sui dati di crescita, lo stop ai voli e le gravi minacce al turismo sono solo alcune delle cattive notizie che continuano ad accumularsi. Siamo di fronte a un futuro complicato ed è ancora troppo presto per prevedere quando tornerà la calma. In un mondo con uno stile di vita basato sulle interdipendenze, abbiamo davanti agli occhi la dimostrazione dei principi chiave della complessità delle nostre relazioni a livello planetario. Abitiamo città vive che sono, allo stesso tempo, imperfette, incomplete e fragili. “Nulla sarà più come prima”, ci sentiamo dire. Questo mondo vuole sempre muoversi più velocemente, con più produttività, più globalizzazione e redditività e improvvisamente si scontra con una barriera virale, un avvertimento severo e domande cui dare risposte. Secondo l’opinione unanime di tutti gli specialisti, la “distanza sociale” è l’arma per rallentare la diffusione di questo virus. Per la prima volta nella storia moderna, condividiamo l’approccio unico messo in atto, ovvero quello di prendere le distanze come elemento chiave nel contenimento di una malattia virale, presente contemporaneamente in tutti e cinque i continenti, anche se in misura diversa. Tutti gli altri virus in passato hanno mantenuto una posizione specifica, presentandosi ai nostri occhi come una minaccia lontana come Ebola, Zika e persino l’Aviaria. Conseguentemente in Italia, dopo un iniziale sbandamento, stiamo diventando tutti diligenti cittadini e anche patrioti, ci affidiamo alla scienza, malgrado abbiamo visto che qui in Italia anche gli epidemiologi come i politici navighino a vista, e restiamo a casa. Ma nel contempo ancora ci illudiamo che quando il Covid-19 sarà sconfitto, si tornerà alla vita normale di prima. Ma non sarà così. Mentre dal mondo là fuori arriva solo il suono lancinante delle sirene delle ambulanze, noi da bravi cittadini e diligenti patrioti stiamo tutti a casa e usciamo solo «per pisciare il cane», o comprare cibo e medicine attività consentitaci ai sensi del dpcm dell’11 marzo corrente mese. Come canta l‘inno di Mameli, ci stringiamo a coorte, ma rispettando il metro minimo di distanza regolamentare, mica come le sardine strette strette. Non facciamo rumore, nonostante Sanremo con la canzone vincitrice ci abbia suggerito altrimenti. Come sempre quando serve, ci comportiamo da popolo adulto, non solo impaurito ma anche saggio, grazie anche agli eroi del Servizio Sanitario Nazionale e del privato convenzionato, in prima linea a salvare i nostri concittadini ammalati di Covid-19. Stiamo compostamente tutti a casa, nonostante gli inglesi dicano che stare a casa al chiuso è peggio che stare sulle gradinate di uno stadio perché un essere umano positivo al massimo può infettare due o tre persone. E con un cinismo senza uguali Boris Johnson, inviti il popolo inglese a prendere buona nota che: «Molte famiglie perderanno i loro cari». Nessuno di noi che si occupa di politica, affari, cultura o sport sa se abbia ragione Roberto Burioni o il professor Brusaferro dell’Istituto Superiore di Sanità o l’equivalente inglese o tedesco o le decine di statistiche e di curve e di previsioni e di proiezioni e di paper che leggiamo ogni giorno sui social senza capirci un tubo. Possiamo solo fidarci. Dobbiamo fidarci. E poi sperare che il vaccino sia pronto prima che sia troppo tardi, per questo serve una Radio Londra contro l’occupazione del virus capace di informarci e di guidarci raccontandoci lo sforzo bellico per sconfiggere il nemico pandemico. Per il resto non ci resta che aderire a una dottrina epidemiologica qualsiasi come se si trattasse di una religione del nostro tempo, ciascuna con denominazioni, liturgie e sacramenti diversi e anche opposti: tipo #iorestoacasa italiano e #megliodino inglese. Confesso di essere un apostolico buroniano, non certo per mie competenze microbiologiche, però a naso mi convince di più il ragionamento suo e di chi dice che la strada per contenere l’epidemia è l’isolamento, anche perché a poco a poco gli stanno dando tutti ragione, come dimostra l’improvviso cambio di linea di Macron che dopo due settimane di minimizzazione ieri ha chiamato les citoyens aux armes e ha chiuso le scuole e altro. Ma dall’altra parte ci sono ancora i tedeschi e gli inglesi, mentre Trump lo lasciamo stare perché è solo un cialtrone interessato soltanto alla soluzione più conveniente a garantirgli la rielezione, e nonostante abbia dichiarato lo stato d’emergenza nazionale, alla fine la situazione sarà talmente sconvolgente negli Usa che forse perderà. Angela Merkel e Boris Johnson suggeriscono di non bloccare i loro paesi non si capisce se perché sottovalutano la catastrofe imminente o perché sono cinici non li vogliono piegare economicamente e o perché sono ancora convinti di poterla sfangare con l’“immunità di gregge”. E magari, hanno ragione sempre in nome della scienza, della statistica, della curva e di un qualche paper. Di certo c’è, come dice un mio amico, che gli epidemiologi di diversa confessione sembrano meno affidabili degli astrologi, perché almeno gli astrologi su certe cose sono d’accordo, qui abbiamo dato credito a chi ci spiegava che si trattava di una semplice influenza. E allora non ci resta che aspettare fatalmente queste fatidiche due settimane di isolamento in cui arriverà prima il picco delle infezioni e poi si spera anche la luce in fondo al tunnel, mentre si approntano nuovi posti letto e si attivano nuovi macchinari per le terapie intensive. Ma il dubbio è che sia tutta un’illusione ottica, cioè che in realtà non vedremo mai questa luce in fondo al tunnel, perlomeno prima del vaccino che presumibilmente arriverà tra più di un anno. Il timore è che tutte le rassicurazioni collettive e tutti gli hashtag che ci scambiamo a una velocità superiore a quella del coronavirus a proposito del torneremo più forti di prima e anche più sociali, siano poco più che un miraggio. Macron non ha escluso che possa esserci una seconda tornata del virus che attacca anche i più giovani e lo stesso Burioni non sa ancora dire se una volta guariti dal Covid-19 si possa riammalarsi, magari anche più gravemente come avviene con altri virus. Due settimane di lockdown sono faticose ma anche poche, ammesso che saranno soltanto due, (siamo già convinti in cuor nostro che i tempi saranno almeno il doppio) e tra l’altro in alcune parti del paese sarebbero comunque quattro. Le faremo passare, consapevoli o meno dei danni strutturali che causeranno. Ma ho come l’idea che il virus corona ci cambierà per sempre, economicamente e socialmente, come non è riuscito al terrorismo politico, allo shock petrolifero, all’islamismo radicale, alla crisi finanziaria. Credo che il coronavirus segnerà il nostro tempo come la spagnola o la poliomielite o la guerra hanno temprato le generazioni precedenti. Difficilmente torneremo nei centri commerciali, in piazza, in aereo senza le precauzioni di questi giorni. Cambieremo le abitudini, i consumi e la produzione. La vita dopo il Covid-19, quando rinascerà, non sarà la solita vita di prima senza il virus. Sarà un’altra epoca. L’inizio di una nuova Era…
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