Coronavirus: il Pd e l’estate dello scontento, con il governo Conte, il Pd rischia di fare la fine dei repubblicani con Trump…

Proteste ovunque. Avanza l’estate dello scontento. Vecchie organizzazioni di estrema destra e vecchi forconi riciclatesi in gilet arancioni, organizzano proteste di piazza negando il virus e contestando mascherine e distanze di sicurezza. Una rabbia sociale in crescita ovunque fomentata da opposizioni senza idee e allo stesso tempo dall’agire di un governo nato fragile, che non vorrebbe scontentare nessuno ma alla fine scontenta tutti…  pur facendo una larga elargizione di risorse. In questo caos sanitario, economico e sociale, verso chi si indirizzerà alla fine questa rabbia? A prima vista si direbbe verso il PD. I Democratici, di fatto considerati la colonna portante del governo Conte 2, sono il primo obiettivo della collera montante. A meno che non intervenga un qualche altro fattore il Pd continua a rimanere nell’Opinione pubblica un partito senza più attrazione, mancante di ogni appeal. Per quanti sforzi faccia il governo per distribuire bonus e sussidi ad una platea di dimensioni nemmeno immaginabili qualche mese fa, rimarrà in molti un senso di profondo scontento. Una amarezza per quanto è stato perduto a causa delle restrizioni imposte, e una insoddisfazione per quanto si riceve. I più colpiti sono i lavoratori autonomi di vario genere e tipo, ivi compresi tutti quelli dei lavoretti in nero e quella parte di dipendenti del privato soggetti a cassa integrazione o mobilità. Queste fasce sociali possono accendere la miccia della protesta e scendere in piazza, quando l’erogazione dei provvedimenti incomincerà ad esaurirsi e si avvicinerà la prospettiva di cadere nell’indigenza. Si potrebbe dire che al Partito democratico sta accadendo col populismo ex grillino, quello che negli Stati Uniti è accaduto al GOP «Grand Old Party» o partito di Lincoln», sì, i Repubblicani per capirci meglio. Con l’aggravante che lì è stato il risultato di una dura battaglia, qui sembrerebbe quasi una resa incondizionata. L’uscita dal lockdown ha riaperto anche il dibattito politico-ideologico sulla natura del secondo governo Conte e dello stesso Partito democratico. Un dibattito tanto astruso e insincero da farsi a tratti surreale: con un governo che in piena pandemia non riesce a procurare a medici e cittadini nemmeno le mascherine per proteggersi, ascoltare ministri, dirigenti di partito e gran consiglieri discutere di come vorrebbero rivoluzionare il capitalismo italiano e mondiale. Torna alla mente il famoso Conte Mascetti (il personaggio mirabilmente interpretato da Ugo Tognazzi nel film Amici miei) mentre illustra orgogliosamente alla famiglia tutti i comfort dello squallido scantinato appena affittato, con il sostegno degli amici più fidati. «Funzionale, l’arredamento convenzionale non usa più», commenta uno. «È lo stile moderno: pare che non c’è nulla e invece c’è tutto», si sforza di entusiasmarsi l’altro. E così, mentre nel paese continuano a scarseggiare i tamponi, e non si sa nemmeno se il presidente del Consiglio farà la grazia di accettare quei miseri 36 miliardi del Mes per le spese sanitarie, sui giornali s’infittisce il dibattito sul nuovo modello di sviluppo a cui il governo Conte dovrebbe dare impulso. Gli Industriali ma anche la Banca d’Italia sollecitano un gran dibattito sull’Italia dei prossimi anni sottolineando la necessità di ripartire dall’economia e dal rilancio del sistema produttivo come  strategia vincente per tutti. Ma alla fine tutti criticano tutti, nel rimpallo di responsabilità.  Bonomi neo Presidente di Confindustria da 15 giorni… a riguardo fa la parte della “ramazza nuova”  e dicendo peste e corna del Governo: “più dannoso del Covid” spazza via tutto. E pensare che nella manovra da 55miliardi oggetto dell’ultimo decreto del governo di pochi giorni fa, alle imprese sono andati ben 20miliardi. Ma Confindustria, sembra ignorarlo e riposiziona tout court la centralità dell’imprese medie e grandi, invocando libertà assoluta rispetto al lavoro che ha ancora troppi vincoli (??).  Pronta la replica di Gualtieri Ministro dell’Economia: “critiche ingenerose”. Piccata quella del capo gruppo Pd alla Camera Delrio: “Bonomi parli dell’evasione fiscale!” Puntuale quella del Prof. Prodi: “Da Confindustria critiche distruttive, facciano esame di coscienza”. L’ex premier torna a chiedere “lo Stato azionista nelle imprese”. E sul governo: “Non cadrà, non c’è alternativa”. Mentre l’impegno del Pd nel ridisegnare i confini della nuova sinistra mondiale langue all’insegna di una responsabilità di governo concepita come sacrificio estremo rinunciando a qualsiasi tratto identitario. Ricordo brevemente a tutti quelli che dibattono animosamente su ciò, lo stato dei fatti. Sono passati esattamente centottantotto giorni da quando, il 17 novembre 2019, Nicola Zingaretti dichiarava solennemente che il Pd si sarebbe battuto per cambiare i decreti sicurezza e approvare lo ius soli. Se cominciassimo a contare semplicemente dal giorno dell’entrata in carica dell’attuale governo, 5 settembre 2019, sarebbero duecentosessantuno. Per cancellare i decreti sicurezza e tutti gli altri provvedimenti definiti fino al giorno prima – dagli stessi democratici, mica da qualcun altro – vergognosi, demagogici e disumani, pericolosi per la democrazia e per il bilancio dello Stato. Il Pd ha avuto dunque, ripeto, la bellezza di duecentosessantuno giorni. Nel corso dei quali, oltre a non toccare un solo comma di tutti i provvedimenti bandiera del vergognoso governo precedente (sempre a detta del Pd, si capisce), Nicola Zingaretti ne ha anche elevato il capo, Giuseppe Conte, a «punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti», lasciando intendere di considerarlo il candidato ideale a guidare il «nuovo centrosinistra» alle prossime elezioni. Come una simile connessione sia stata possibile è difficile spiegarlo in poche righe, e forse anche in molte. Utile il parallelo con quello che è accaduto nel frattempo negli Stati Uniti, dove è successo qualcosa di simile, ma sul versante opposto dello schieramento politico. Qui infatti è il partito repubblicano, non i democratici, a essersi consegnato mani e piedi a quel micidiale miscuglio di opachi interessi privati, pulsioni autoritarie, demagogia, fake news, hate speech e cabaret di terz’ordine che negli Stati Uniti va sotto il nome di Donald Trump. Anche in America in molti si domandano come il Grand old party abbia potuto consegnarsi a un simile soggetto, rinnegando tanta parte dei suoi principi, valori e tradizioni. La risposta degli antipatizzanti è che si sono tenuti stretti l’unica parte che gli interessava davvero, ovvero i dollari, il Dio denaro, vale a dire corposi e regressivi tagli alle tasse, oltre alla nomina di giudici ultraconservatori in tutti i posti liberi, dalla Corte suprema in giù. Resta da capire, da noi, che cosa si sarebbe tenuto stretto il Pd? Naturale che anche prima, per i repubblicani come per qualsiasi altro partito del mondo, l’autonarrazione identitaria e l’elenco dei propri principi non corrispondeva certo alla lettera con la realtà della politica di ogni giorno, con tutte le contraddizioni, i compromessi e le verità di comodo del caso. Ma il punto non è se e quanto i repubblicani, anche prima, fossero coerenti con i principi che professavano. Il punto è che, con la presidenza Trump, sono cambiati proprio i principi. A differenza di quanto accaduto da noi tra Pd e Movimento 5 stelle, e a loro onore i repubblicani, la destra americana, prima di consegnarsi, ha combattuto con tutte le sue forze. E diversi dei suoi più autorevoli esponenti, a cominciare da tutti gli ex presidenti e candidati alle presidenziali ancora in vita, hanno più volte preso nettamente posizione contro questa deriva. Niente di simile, è accaduto in Italia solo il solito Gianni Cuperlo con un libro: “Sinistra, e poi – Come uscire dal nostro scontento”, scritto  prima del Covid-19, ci ha provato. Non uno dei cosiddetti «padri nobili» del Partito democratico, in generale mai avari di interviste e dichiarazioni, ha sentito l’esigenza di prendere la parola su questo punto, di denunciare un simile snaturamento. E pensare che negli anni recenti, per scelte moralmente e democraticamente assai meno impegnative del mettere (o lasciare) una multa milionaria su chi salva altri esseri umani, non erano mancati gravi moniti e sofferti altolà. In breve, l’impressione è che in Italia al Partito democratico stia accadendo con il populismo grillino quello che negli Stati Uniti è accaduto ai repubblicani con il populismo trumpiano. E non solo da parte della politica… Quindi la protesta forse non avrà solo una declinazione alla francese, da Gilet gialli, né alimenterà più di tanto i sovranisti no euro, bensì troverà anche sbocco nelle forze politiche di governo…

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