L’emergenza Coronavirus è un banco di prova per il Paese e per la politica. Da come si è messa, sembra proprio che Le sorti del governo Conte 2 dipendono da come verrà gestita… mentre continuano le tentate spallate del leader della Lega. Il coronavirus ci dirà che Paese siamo. Se abbiamo o no una classe dirigente, di governo o di opposizione, quanto valgono gli uomini e le donne che dirigono grandi amministrazioni e imprese, lo stato delle strutture pubbliche, infine il carattere della opinione pubblica… È un gigantesco esame collettivo che, a giudicare dai primi giorni, si presenta come assai difficile. La classe politica sembra sorpresa e naviga a vista, nell’opposizione emergono la lealtà di Giorgia Meloni e il solito cinismo di Matteo Salvini. Fra gli scienziati e gli specialisti vi sono divisioni che oltrepassano spesso i toni accettabili… Avremo alla fine di questa vicenda che spaventa tutti un identikit del Paese, delle sue istituzioni, di chi lo governa o vorrebbe farlo… Inutile quindi che le persone serie perdano tempo con chi vuole consumare vendette politiche, con giornali e tivù che cercano di far crescere la paura per rovesciare un governo. Giuseppe Conte a questo punto non sarà rovesciato da Salvini (e probabilmente nemmeno da Renzi) ma cadrà proprio sul fatto che o si rivelerà adatto a guidare il Paese qui e ora in questa drammatica emergenza per la salute degli italiani o se invece fallirà. E dato il clima “avvelenato” della scontro politico in corso da mesi, sono due giorni che le polemiche sono scoppiate rabbiose, attorno alle decisioni prese dal Governo con il Ministro competente Roberto Speranza per contrastare il virus, e ondeggiano tra le accuse di irresponsabilità e quelle di allarmismo. E cresce una nuova Linea Gotica che divide il Paese tra un Nord infetto e un Sud “libero”, si vede dileguarsi il privilegio di vivere in un’epoca e una zona del Mondo sgombra da epidemie… Gli italiani brava gente… forse sì, ma sicuramente già nevrastenici di loro rischiano stavolta di andare veramente a piedi all’aria. Da quattro giorni, da quando abbiamo saputo che il virus è qui con noi, ci stiamo accusando tutti di tutto. Come al solito, sono spuntati 60 milioni di epidemiologi fenomeno comune a quando gioca la Nazionale di calcio e per l’appunto spuntano 60 milioni di C.T.. Tutti pronti ad accusare scienziati, ministri, direttori di giornale, assessori, organismi internazionali. Non c’è bar, non c’è ufficio, non c’è supermercato, non c’è casa dove non si imprechi contro qualcuno. Il colpevole, chi è il colpevole? L’untore, dov’è l’untore? E se gli dici che il colpevole non c’è, si arrabbiano di più. E dunque, con chi ci si sfoga? Soprattutto con una tastiera davanti al naso, domandandoci: con chi ce la prendiamo? Se uno dice – ed è buonsenso – che l’umanità non sta finendo, che non siamo alla peste del Seicento gli saltano addosso: irresponsabile! E se un altro dice – ed è buonsenso pure questo – che bisogna alzare la guardia, considerarci un po’ come in guerra, saltano addosso pure a lui: allarmista! Se le autorità politiche chiudono il Nord per circoscrivere il contagio, ecco quelli che «non serve a niente, è tutta propaganda, dovevate pensarci prima!». Prima, ma quando? Se le autorità politiche non chiudono proprio tutto – perché le città non diventino scenari da Cormac McCarthy noto scrittore e sceneggiatore Usa, di racconti dai quali sono stati tratti film dalle immagini apocalittiche – ecco quelli che domandono: «e allora i cinema non li chiudono?!». Se la tv dedica grande spazio alla vicenda, e i giornali molte pagine, ecco quelli che «sciacalli, per fare un po’ di audience, per vendere qualche copia in più sfruttano questo dramma». Se la tv di sera manda in onda un film ecco quelli che «maledetti, invece di parlare delle cose serie». Se chiudi i confini sei un razzista, se non li chiudi sei un assassino (è più o meno l’accusa che fa il quotidiano Libero al governo: ma Ordine dei giornalisti, se ci sei batti un colpo). Niente più eucaristia in bocca, sospese le Messe. E quindi nemmeno strette di mano, figuriamoci baci e abbracci. La bellezza dei gesti più umani cancellata d’un tratto come se la più orribile delle catastrofi si fosse abbattuta sulle nostre coscienze illividite da una paura che non conoscevamo se non per averla intravista nelle pagine dei Promessi Sposi di Manzoni, o in quelle della Peste di Camus, o in quelle della descrizione dell’epidemia in Cecità di Saramago. Questa nuova linea gotica che improvvisamente si è eretta fra il Nord contagiato e il Sud “libero” rischia di far danni alla nostra mentalità sempre prigioniera del “particulare” acuendo così sentimenti persino anti-italiani, se, come temiamo, fra un po’ si chiederà con sguardo affilato al vicino di posto: «Scusi, lei viene dal Nord?». Già, il Nord, il grande Nord italiano, che fra Grande Guerra, Resistenza, ricostruzione, lavoro operaio e cultura borghese si è fatto la pelle spessa, l’amato Nord oggi chiamato a una inedita prova di compostezza, pazienza, unità. Una sottolineatura necessaria: la comunità scientifica avrebbe il dovere di dare di sé un’immagine meno sguaiata. Altrimenti assomiglia troppo alla politica e poco alla Scienza. Personalmente credo a Roberto Burioni e all’invito di non sottovalutare il rischio, ma Burioni non può comportarsi come in curva Sud. E maramaldeggiare una collega come la dottoressa Maria Rita Gismondo virologa dell’Ospedale Sacco di Milano, che invita ad una comunicazione più tranquilla dei rischi dell’ epidemia… in modo da non aumentare la paura tra la popolazione. La paura delle persone agisce direttamente sulla loro capacità di reagire all’epidemia. Se si sparge il panico, siamo persi. Se si finge che nulla accade siamo persi. Non siamo persi se l’opinione pubblica sa fidarsi dei suoi scienziati. E se sa fidarsi dei suoi amministratori locali… e delle capacità di coordinamento del Governo. Insomma è una prova difficile anche di fronte all’Europa che guarda questo litigioso Paese per scoprire che non sa curarsi, che non sa difendersi avendo dedicato tutte le proprie energie alla lite politica compulsiva. Negli anni del grande terremoto dell’Irpinia, nella grande sventura del terrorismo misurammo così una classe dirigente. Oggi il coronavirus ci spingerà verso la stessa operazione-verità. Diffidare da chi vuole sottovalutare, da chi propone misure blande, da chi perde tempo ad accusare il nemico politico. La cosa è seria e, come vedremo nelle prossime ore, molto seria. Bisogna che dal basso cresca un nuovo senso civico e che vi siano forze che si impegnino generosamente a tenerlo in vita. I facinorosi di ogni schieramento e i quotidiani a caccia di copie per gente spaventata sono il danno collaterale dell’epidemia. Lasciamoli perdere, lasciamoli alle loro grida, occupiamoci seriamente del Paese e delle sue paure. E speriamo che tutto si risolva presto perché dentro di noi lo sappiamo – che non sapremmo proprio come fare, un po’ disorganizzati e pasticcioni come siamo fatti noi italiani, a sopravvivere a lungo in questa giungla di proibizioni e limitazioni. Già si chiede ai cronisti spintesi nel Lodigiano di stare a casa mettendosi in quarantena. Il clima di paura è tale e così diffuso che ormai tutti ci guardiamo con sospetto in strada, nei luoghi della vita quotidiana al lavoro come al supermercato. Siamo tutti diventati come Leopold Bloom, il protagonista dell’“Ulisse” di Joyce, tutti immersi nel nostro flusso di coscienza che ci porta a litigare con mezzo mondo e con la nostra stessa anima, si con noi stessi. Scontrandoci con abitudini e privilegi che parevano eterni e vengono rimessi in discussione fino ad essere assillati dal dubbio che il vicino di pianerottolo , si proprio quello della porta accanto che sappiamo essere il salesman manager di una grande multinazionale, possa essere tornato dall’Oriente o più semplicemente da Casalpusterlengo…
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