Per gli elettori democratici di sinistra, ogni stagione politica ha la sua pena…
Ci deprimevamo alla fine degli anni Novanta, quando D’Alema si faceva sedurre dalla terza via blairiana; ci cascavano le braccia all’inizio dei Duemila, quando l’Ulivo inseguiva la Lega sul federalismo (Bassanini e la riforma del titolo V della Costituzione). E al volgere del primo decennio del nuovo secolo, guardavamo con sospetto “il riformismo che non c’è” e alquanto manicheo del Partito Democratico… e alla fine in molti gli hanno detto addio per sempre quando, con il governo Renzi, e la deriva destrorsa è diventata inarrestabile. Ogni volta delusi dalla tendenza della Sinistra a “scivolare verso destra”. Di recente qualcuno si è illuso che fuori dal Pd potesse nascere una forza politica in grado di rappresentarli; ma questa ennesima “nuova sinistra” formata da più “cespugli” parte addirittura strizzando l’occhio al sovranismo lepenista. Fa abbastanza impressione leggere Stefano Fassina che elogia il protezionismo di Trump o scoprire, nelle tesi congressuali del nuovo partito, l’opzione no-euro. Come è possibile che la sinistra si riconosca nelle idee della destra estrema?
Oggi va molto di moda criticare la globalizzazione senza regole di stampo neo-liberista i cui nodi sono venuti al pettine in modo drammatico nel 2007, dopo decenni di delocalizzazioni industriali e di finanza internazionale selvaggia, quando l’Occidente è stato travolto da una crisi economica dalla quale non riesce ancora a uscire. La risposta offerta dalle destre europee ai ceti medi impoveriti e frustrati, vittime principali della crisi, è la chiusura: nei rapporti con l’estero esse propongono l’uscita dall’Unione Europea o, quantomeno, la moneta “propria” per poter svalutare; a livello domestico prescrivono i muri per impedire l’ingresso ai migranti, i dazi per vincere la concorrenza delle merci di importazione e la discriminazione per favorire gli autoctoni. Il tutto viene riassunto in una bellissima parola: sovranità, che si presta perfettamente agli slogan e agli hashtag (e infatti è già stata copiata dalla destra nostrana).
Ovviamente la sinistra non può adottare completamente questa agenda, per ragioni ideologiche; ma si sta agganciando ai suoi temi più “potabili”, nella speranza di lucrarne un po’ di consenso. La giustificazione politica è che “non si può lasciare alla destra la rappresentanza della nostra gente” e così, con discutibile pragmatismo, si inventa un “sovranismo di sinistra” che appare come una versione annacquata di quello originario, perché si limita all’abbandono dei trattati europei e della valuta comune… Ancora una volta insomma la sinistra, messa di fronte alle difficoltà dei cittadini che dovrebbe rappresentare, non riesce a elaborare una sua proposta autonoma, ma finisce per adoperare con timidezza le parole d’ordine dei suoi avversari politici: con l’ovvio risultato di riconoscerne l’egemonia culturale e di rafforzarla. Un vero capolavoro. Eppure la ragioni della Sinistra si sono oggettivamente via via fatte più forti negl’ultimi due decenni, basta pensare alle crescenti diseguaglianze interne agli stati, tra classi sociali e le nuove emarginazioni di ceti di queste, ma anche alle e tra le aree geopolitiche del Globo. Quindi le ragioni di una risposta di sinistra alla crisi esistono e sono più forti…anche in ragione del venir meno di antichi vincoli ideologici e all’emergere di ragioni universali di giustizia sociale e della mancanza di un reale ampliamento dei diritti civili quando addirittura il venirne meno per molti Popoli e Popolazioni del Mondo (pochi oppressori e molti, sempre più oppressi). E, guarda caso, anche la Sinistra ha come bandiera la stessa parola: sovranità. Intesa però in tutt’altro senso, perché diversa è la diagnosi delle cause della crisi. Se all’origine di tutto vi è la globalizzazione senza regole e, le destre individuano il problema nel processo di internazionalizzazione delle economie e perciò propongono un utopistico ritorno indietro alla sovranità nazionale, cioè alla tutela degli interessi del popolo-nazione come unico orizzonte politico. Assistiamo a ricette abbastanza ingenue e di scarsa efficacia; che bastano a placare per qualche ulteriore stagione le ansie degli elettori che esse vogliono conquistare. Il vero nodo è però un altro: non la globalizzazione in sé, ma la mancanza di regolazione e di controllo democratico con cui è avvenuta. I flussi internazionali di merci, di esseri umani e di capitali hanno seguito la logica dei mercati e della grande finanza, senza alcun vincolo che ne riducesse l’impatto devastante sulle società occidentali. Quindi, il compito di una sinistra consapevole è dunque costruire una vera sovranità popolare trans-nazionale, che permetta di democratizzare le decisioni che riguardano i grandi processi globali orientandole al benessere sociale, anziché a quello economico di pochissimi individui… A ben guardare, inseguire il sovranismo nazionale delle destre non è quindi solo inutile e anacronistico: è una vera e propria trappola perché, restringendo l’attenzione e le rivendicazioni dei cittadini entro i confini del proprio Stato, si toglie loro l’ambizione di portarle al livello al quale si compiono le scelte cruciali che li riguardano, che è ormai quello planetario. Quindi: non meno Europa, ma più Europa. Non meno Internazionalizzazione, ma più Internazionalizzazione dell’economia e della circolazione di uomini e merci. Il percorso che una vera Sinistra deve intraprendere è sicuramente difficilissimo: non si svolge nell’ambito ristretto dello Stato nazionale, ma esige un impegno globale; non offre soluzioni facili e immediate ma, al contrario, richiede tempi lunghi e trattative impegnative; nessun ‘uomo forte’ può realizzarlo da solo, ma è necessaria la partecipazione attenta, critica e corale di tutti i cittadini. La sinistra a partire da questo 2017 (dopo 10 anni di crisi e il fallimento di tutte le ricette) avrà il coraggio di affrontarlo o preferirà, ancora una volta, accodarsi alle formule politiche della destra? Se così fosse, la sua pochezza sarà punita dalle poche briciole di consenso che riuscirà a raccogliere e per noi elettori la ‘fine pena’ sarà di nuovo spostata in avanti: forse, questa volta verso il …mai.
E’ sempre tempo di Coaching!”
se hai domande o riflessioni da fare, ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure: prendi appuntamento per una sessione di coaching gratuita
13
MAG
MAG
0