Covid-19: perché l’Europa è arrivata impreparata alla seconda ondata? L’Italia è sempre un caso a parte…

Europa sotto attacco, l’Italia che ha paura 

verso un difficile Natale…

Seconda ondata. Misure restrittive in tutta Europa. Coprifuoco in Francia per 20 milioni di persone. La Repubblica Ceca ha chiuso scuole, università e locali per tre settimane. In Catalogna 15 giorni di stop per bar e ristoranti. Italia, record assoluto di contagi, + di 10mila al giorno.  mediamente 130mila i tamponi al giorno. Mai così dall’inizio dell’emergenza, il 21 marzo furono 6.557 casi.

Partiamo dal fatto, che tutti i paesi europei, sono stati presi di sorpresa l’inverno scorso dall’epidemia di Coronavirus. E tutti, sono altresì, arrivati a questo autunno ancora largamente impreparati alla seconda ondata della pandemia. Una seconda ondata, che al di là degli scongiuri di rito, si sapeva che sarebbe arrivata e che avrebbe dovuto essere affrontata. Nel resto del mondo ci sono stati e ci sono molti esempi di gestione più razionale ed efficace della pandemia (vedasi l’area Asiatica). Ma qui in Europa o per meglio dire in tutto l’Occidente, non siamo stati capaci di riprodurli. La settimana scorsa, durante una conferenza stampa, il direttore generale dell’OMS ha ripetuto che il numero di nuovi casi a livello globale non è mai stato così alto, e ha attaccato direttamente chi indicava nell’“immunità di gregge” come una strategia valida per contrastare il Covid–19. Il direttore Tedros l’ha definita “scientificamente ed eticamente problematica,” e ha sottolineato come “l’immunità di gregge non sia mai stata usata come strategia per combattere un’epidemia in tutta la storia della sanità pubblica.” Parlando con la stampa, il direttore generale dell’OMS è anche tornato a parlare di chi ha contratto il Covid–19 per una seconda volta, e ha sottolineato la centralità del problema degli effetti a lungo termine, dei quali è stato scritto anche qui da noi pochi giorni fa. Questioni che indicano l’ampia problematicità sanitaria di questo virus, che può essere contratto più volte e lasciare strascichi fisici per lungo tempo. La retorica quindi di “tenere duro” solo per un ulteriore inverno potrebbe essere una visione assai poco lungimirante. Infatti, Soumya Swaminathan, la scienziata Chief della World Health Organization, ha ammesso che difficilmente i giovani e le persone in salute saranno vaccinate prima del 2022. Secondo Swaminathan il vaccino rischia di essere disponibile inizialmente solo in quantità limitate, e per questo sarà necessario essere molto rigidi nel dare la precedenza prima ai lavoratori più esposti, e poi alle persone anziane. Insomma, nel caso non fosse ancora abbondantemente chiaro, dopo nove mesi, la gestione solo emergenziale della pandemia non ci porta da nessuna parte… Bisognava lavorare fin dall’inizio a meccanismi che permettessero di gestire la crisi sanitaria già sul lungo periodo, in modo più costruttivo e con un respiro sanitario più ampio ed efficace. E non già come qualcosa (il virus) destinata a durare solo qualche mese; ricordate si è detto che Il virus perdeva potenza: “Stiamo osservando –  che il virus Covid-19 sta perdendo potenza. Sta continuando a mutare. Ma sta facendo mutazioni che a lui non sono più utili. La perdita di potenza del virus la vediamo dal minor numero di decessi (dovuti alle infezioni pregresse) e dal minor numero di persone in terapia intensiva. Questo è dovuto sicuramente alle terapie ma anche alla perdita di potenza del virus. Non sappiamo quanto dura l’immunità. Anche se sappiamo che c’è. Con l’estate il virus perderà forza, sarà meno virulento”. Qualcuno ha addirittura sostenuto che “il virus era clinicamente morto”. facendo sorgere inutili contrapposizioni ideologiche e, soprattutto creando facili illusioni tra la gente…  Dovremmo domandarci  come procede a Qingdao (città della Cina) il testing di massa in corso? Sicuramente in modo spedito. L’ultimo aggiornamento è di qualche giorno fa e ci dice che sono stati effettuati 7 dei 9 milioni di test necessari per coprire tutta la popolazione. Questo è successo dopo 6 casi di positività. E finora non sono stati individuate ulteriori focolai d’infezione in città, ora sapendo che la Cina mantiene un conteggio separato per i casi asintomatici, per cui essendo in conto l’integrazione dei dati complessivi (infetti asintomatici e infetti sintomatici) potremmo saperne di più solo nelle prossime settimane. Nel frattempo, sono stati individuati, due persone responsabili di mancanze professionali che hanno permesso il diffondersi del virus. I nomi; Sui Zhenhua, uno degli ufficiali della Commissione alla Sanità della città, e Deng Kai, il Direttore del Covid hospital per viaggiatori da cui si è diffuso il contagio. Bene, accertate le responsabilità sono stati licenziati in tronco. La Cina è stato il primo paese colpito dalla pandemia, ma negli ultimi mesi ha dimostrato come nessun altro luogo al Mondo di saper controllare il contagio, grazie a misure spesso drastiche ma efficaci. Non si tratta infatti del primo test di massa – lo scorso maggio furono testati anche tutti gli abitanti di Wuhan, e nei mesi scorsi molte altre metropoli cinesi sono passate attraverso campagne intense di testing, tra cui anche Pechino. Dall’inizio della pandemia, nella capitale cinese si sono contati solo 9 morti ufficiali. Per quanto sia legittimo dubitare dei numeri ufficiali cinesi – come, del resto, quelli di tutti quanti i paesi del mondo, mi si permetta: Italia compresa — è indubbio che in estremo oriente la pandemia sia stata gestita molto meglio rispetto all’Europa, all’Inghilterra (in piena Brexit) nonché dall’America. Il paragone più impietoso per l’Occidente è indubbiamente quello con la Corea del Sud, in cui dall’inizio della crisi il picco giornaliero è stato di circa 900 casi, e che a fine agosto è riuscita a strozzare già una seconda ondata – ora i casi sono da un mese sempre attorno ai 100 giornalieri. Il paese,  indubbiamente anche perché aveva già attraversato la MERS – è un modello mondiale nella lotta al contagio, forse quello che ha avuto più successo di tutti nel contrastare il virus. Non si può non osservare i casi in tutta l’Asia e non arrivare alla conclusione netta che tutti quei governi abbiano saputo gestire meglio le loro risorse dedicate alla difesa della salute pubblica (quindi di vita) delle loro popolazioni. Non è un caso che i tre paesi che in tutto il mondo hanno gestito meglio la crisi siano Corea del Sud, Taiwan e Vietnam. In un frangente epocale quale quello attuale che viviamo, causa Covid-19, è importante annotare le differenti tipologie di risposta che sono state date in materia di governo della ‘cosa pubblica’ e circa le differenti risposte che son state date dai popoli degli Stati che, proprio, in special modo in Asia, sono giunti con una preparazione di spessore ben maggiore a questo appuntamento con la Storia, non foss’altro che per un dato esperienziale ben più avanzato in Nazioni quali quelle dell’Estremo Oriente e del Sud Est Asia che si sono variamente confrontate con forme epidemiche di varia fonte e natura. Forse è ancora presto per delineare delle conclusioni definitive, gli sforzi degl’apparati statuali in Europa sono ancora giustamente tutti indirizzati al contenimento della pandemia. Ma, nei prossimi mesi, quando l’emergenza sarà finita, si potrà affrontare la questione in maniera più estesa e valutare sia le misure di prevenzione sia le strategie di contenimento adottate in Italia e negli altri Paesi europei. Credo che la sostanziale sottovalutazione delle potenzialità del virus sia il minimo comune denominatore dell’approccio occidentale. Nessun Paese europeo, meno che meno la Gran Bretagna e l’America, anche dopo aver osservato l’esperienza italiana (il virus ha colpito prima noi in Occidente), ha dimostrato di comprendere le potenzialità letali della pandemia, soprattutto la volontà di non creare squilibri nell’economia interna è apparsa come la priorità primaria. E la crisi che l’Europa (anche l’Italia) sta vivendo in questi giorni (la seconda ondata) ha dimensioni inedite, è il nostro stesso sistema di valori che subisce un attacco frontale e le conseguenze incideranno ulteriormente in maniera sostanziale nelle nostre vite presenti e future… Ci troviamo in un momento di grande indeterminatezza che non ha precedenti Nella storia recente. La scienza “esatta” che avevamo elevato a unico dogma, ha mostrato di essere incapace anche solo di descrivere il fenomeno. I flussi di dati dicono tutto e il contrario di tutto. La responsabilità non è ovviamente da attribuire agli scienziati, inconsapevolmente diventati nel giro di pochi giorni gli attori protagonisti di una tragedia di cui nessuno conosce il copione (e, quindi, l’esito). Ma la Politica – quella con la P maiuscola, capace di realizzare concretamente l’immagine sociale e i valori etici e morali su cui si reggono le nostre Società – ha abdicato di fronte a un’emergenza che non è scientifica o sanitaria ma, per l’appunto, politica: prima la salute dei tanti o l’economia e la ricchezza dei pochi? Il paragone con gli Stati asiatici che sono riusciti e gestire, con diverse modalità, la crisi risulta impietoso. Le strategie sono state diverse, ognuna rispecchia le singole esigenze, le caratteristiche dei Paesi, l’approccio culturale, le differenze geografiche e sociali e il loro posizionamento nello scacchiere internazionale. Il minimo comune denominatore tra tutte queste strategie è stata una comunicazione univoca. Gli Stati in questi momenti prendono decisioni importanti e si assumono responsabilità cruciali per le vite di milioni di persone. Ma lo Stato parla anche con una voce unica e in Europa, e in Italia, questo non è successo. Le dirette Facebook nel cuore della notte e le diverse interpretazioni dei molteplici emendamenti del Governo sono l’ennesima conferma. Un pericolo concreto è poi quello dell’abbandono delle consuetudini democratiche, la ricerca di un modello autocratico per sconfiggere il virus. Mentre ci sono altri Paesi, come Singapore e Taiwan, che hanno sconfitto ad oggi il virus con modelli pienamente democratici. In particolare, la strategia taiwanese è molto interessante, l’isolamento diplomatico del Paese – escluso dalle organizzazioni internazionali quindi anche dalla Organizzazione Mondiale della Sanità – ha reso necessario l’ideazione di un apparato di emergenza autonomo che ha funzionato in maniera perfetta, garantendo uno dei numeri più bassi di contagi nella regione. La strategia adottata a Taiwan può essere brevemente descritta con una estensiva mappatura dei possibili contagiati, i dati del sistema sanitario nazionale hanno fornito una diagnosi e un quadro clinico accurato ben prima della comunicazione della Repubblica Popolare cinese (RPC). Questi dati sono stati poi incrociati con quelli degli aeroporti e del ministero dell’Interno per tracciare l’origine del virus e collegarlo alla città di Wuhan. In pochi giorni tutti taiwanesi che si erano recati nella città dell’Hubei – i rapporti commerciali tra Taiwan e Cina sono intensissimi e decine di migliaia di taiwanesi lavorano ogni giorno nella RPC – sono stati rintracciati e sottoposti a test. Per ogni contagio sono stati ricostruiti i possibili contatti e migliaia di taiwanesi hanno ricevuto sms tramite cui gli organi preposti ordinavano un periodo di quarantena. Durante l’isolamento i soggetti sono stati monitorati quotidianamente dal personale medico sia telefonicamente che attraverso videochiamate. Alla popolazione è stato chiesto uno sforzo simile a quello italiano, le scuole e le università hanno chiuso e tutti gli spostamenti sono stati ridotti al minimo. Noi pensiamo all’Asia… all’Oriente in genere, dove le nazioni sono governate da regimi dittatoriali e /o da democrazie limitate,  da governi come diremmo noi: “non proprio democratici”, intendendo con ciò che sono governi che si reggono su di uno ‘statalismo’ pressoché totale, e che controllando ogni ambito culturale e sociale di quei Paesi con un controllo rigido delle libertà individuali.  Anche il Giappone, che è il paese che se l’è cavata peggio nella regione, è comunque in condizioni che farebbero venire l’acquolina in bocca a qualunque stato europeo. Al di là del voler considerare la ‘crisi Covid-19’ in quell’area del mondo vicina alla sua conclusione, alcune esperienze asiatiche (Cina, Hong Kong,  Corea del Sud… Vietnam) sembrerebbero dimostrare che non solo l’insieme delle misure strettamente igienico-sanitarie hanno avuto e stanno avendo il loro “peso” nella lotta contro il Coronavirus quanto – piuttosto – la compresenza di fattori che potremmo ritenere di natura antropologico-culturale nei territori asiatici. Volendo fare una certa generalizzazione, sembra che i popoli asiatici siano più propensi a ragionare in termini di ‘noi’ (senso di appartenenza, concezione della nozione di “popolo” più aggregativa rispetto a quanto accade in Occidente: in Europa e in America in particolar modo), in quanto – qui da noi – sembra che fin dai più elementari livelli di istruzione ci si concentri più sul concetto di ‘io’. Questo sostrato culturale di riferimento ha sicuramente  giocato e gioca un ruolo rilevante nella differenti risposte date in Occidente e in Oriente. La differente percezione del ruolo dell’uomo nella società occidentale e orientale è una dinamica molto interessante su cui ragionare è emersa prepotentemente nella gestione e nel contenimento del COVID-19. La capacità cinese, coreana, giapponese e taiwanese di seguire le regole ma soprattutto di ragionare in termini di collettività è stata esemplare. Sicuramente non è solo questione di una semplice differenza culturale. Importantissime sono le dinamiche  di comunicazione ben progettate. Ognuno dei Paesi citati aveva un piano di emergenza redatto da esperti, la comunicazione è avvenuta in maniera univoca ma soprattutto con modalità chiare e precise. Penso che gli italiani (nella prima fase) abbiano reagito in maniera coscienziosa e rispettosa delle norme indicate per la lotta contro la diffusione del virus, il problema risiede nella complessità delle stesse norme e nella modalità in cui sono state comunicate. Nei giorni immediatamente successivi ai primi casi nella provincia dell’Hubei a Taiwan tutti i cellulari hanno ricevuto un sms con le norme da seguire. Si trattava di indicazioni semplici e ben comprensibili da tutti. Nei giorni immediatamente successivi sono stati distribuiti dei volantini telematici con degli schemi realizzati dal ministero della Salute contenenti le varie precauzioni da adottare. Le differenze culturali sono un fattore importante ma la capacità di fornire linee guida essenziali e semplici restano un elemento fondamentale per comprendere la risposta nei paesi asiatici. Qui da noi l’App. Immuni è fallita prima di nascere a fronte di un astruso dibattito sulla libertà di ognuno di applicare le norme sul piano di una personale e individuale interpretazione… No alle schedature! No alle mascherine! Il virus è stato fatto in laboratorio dalla Cina comunista per poter schedare e vaccinare il popolo! Il virus non esiste! Sinceramente: ma dov’è un minimo di razionalità e buon senso?!  Che lezione può trarre l’Europa in questo frangente da Paesi che hanno già combattuto crisi virali, epidemie ed altri frangenti similari quali sono i Paesi asiatici? Lasciamo stare la stessa domanda per Inghilterra e America (lì oltre a problemi culturali… ci sono quelli psichiatrici di chi “governa” quei due grandi Paesi). In Occidente, veniamo da decenni di propaganda minimalista del ruolo dello Stato, e dall’esaltazione dell’economia liberista e consumistica in un mondo finalmente globalizzato… probabilmente la nostra la politica (ormai solamente con la “p” minuscola) non ha più nemmeno gli strumenti per pensare in termini diversi dal farsi travolgere da un neo-liberismo senza regole… teso a spazzar via ogni reale socialità, in nome di un profitto economico… a prescindere.   Ora lungi da me di pensare di adottare qui da noi in Occidente quei modelli di Governo e i loro tratti autoritari…  ma forse non sono solo questo che li caratterizzano. Noi da loro dobbiamo pero imparare visto che i loro modelli di intervento sanitario che hanno avuto più successo nella lotta contro la diffusione  del virus. Di fronte alla pandemia e alla sua gravità… centra forse poco il confronto ideologico tra modelli di governo della società…  e proprio in nome di una visione democratica delle istituzioni e liberale del mercato, non debba esistere un conflitto tra le ragioni e l’azione per la difesa della salute pubblica e quelle economiche. Adesso, ad esempio qui in Europa: Emmanuel Macron ha annunciato, in un’intervista televisiva, nuove misure per cercare di limitare il contagio. Il presidente francese ha spiegato che gli abitanti di Parigi e di altre città particolarmente colpite dal virus, come Marsiglia, Lione, e Grenoble — in totale circa 20 milioni di persone, un terzo della popolazione francese — dovranno rimanere in casa dalle 21 alle 6 di mattina, a partire da sabato, almeno per le prossime quattro settimane. L’obiettivo di Macron è di riportare il carico di casi “tra i tremila e i cinquemila” al giorno — rispetto ai dati di queste giornate che vedono aumentare i contagi di 30 casi al giorno. L’obiettivo del coprifuoco è di “ridurre i momenti di convivialità” senza “fermare tutto il paese” — oltre ai posti di lavoro, però, resteranno aperte anche le scuole e le università. Macron ha anche annunciato un aumento del reddito di solidarietà attiva per le prossime sei settimane, con un aumento di 150 euro che può arrivare fino a 450, per assistere le persone il cui reddito sia particolarmente colpito dal coprifuoco. Macron ha anche promesso nuovi sostegni per i settori più colpiti dalle misure — bar, ristoranti, teatri, cinema – altrettanto sta succedendo in Inghilterra e in altri grandi Paesi Europei.  E veniamo all’Italia, che è sempre un caso a sè, del tutto particolare… In Italia ci si è “coccolati”  con il fatto che la situazione dei contagi è più indietro, si può dire, di qualche settimana per quanto riguarda il numero dei contagi rispetto al resto d’Europa. Al contrario di quanto accaduto durante la cosiddetta fase 1.  Ma ecco che da un paio di settimane la curva dei contagi è salita verso l’alto e i casi di aggirano su 10mila e più nuovi contagi e più al giorno.  Vista questa accelerazione della pandemia in Italia è stato immediato chiedersi quali misure fosse adeguato prendere con i nuovi Dpcm che fossero sufficienti per contrastare la seconda ondata del virus? Escludendo un lockdawn totale, si è pensato  che si possa intervenire con tempestivi lockdown mirati per evitare il peggio – ammesso che – ci sia ancora tempo per evitarlo. Anche l’Iss, nel suo consueto rapporto settimanale, parla della necessità di studiare misure per “le aree maggiormente affette.” Secondo l’Istituto, la pandemia è ormai entrata di nuovo “in una fase acuta” in cui si registrano “evidenze di criticità nei servizi territoriali ed aumenti nel tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva e area medica che rischiano, in alcune Regioni, di raggiungere i valori critici gia da questa fine mese. ”La Lombardia — in cui si sono registrati nei giorni scorsi più di 2 mila casi, la metà dei quali nella città metropolitana di Milano — e altre regioni sembrano intenzionate a mettere in atto politiche restrittive articolate (chiesto da Comuni e Regione qui in Lombardia il “coprifuoco” dalle 23 alle 05. La giunta lombarda inoltre aveva già vietato le visite ai parenti nelle Rsa e iniziato a lavorare a uno scaglionamento degli orari scolastici, per evitare gli affollamenti nelle ore di punta sui trasporti pubblici. Queste riflessioni sulla scuola e le Rsa possono essere discutibili, ma sono almeno un passo più in là della desolante retorica sulla cosiddetta ‘movida’ in cui sembrano essersi chiusi tutti i politici e i media del paese Incapaci di pensare a misure più efficaci e di affrontare il tema dei contagi sui trasporti e sul lavoro. Cosa non ha funzionato nel “modello Italia” contro il Coronavirus?  Le prime pagine dei giornali, ma anche in tv, appaiono immagini deludenti e insieme preoccupanti. Autobus e tram stracarichi. Metrò piene di gente. Folla nei bar fino a tarda notte. Mascherine sul bicipite invece che in pieno viso. Movida nelle piazze o nelle strade che vanno di moda. Giovani a mucchi a prendere un drink sui Navigli. Tutti senza pensare al Covid. Che significa? Dove sono finiti i ‘bravi cittadini’ dello scorso inverno? La bella stagione ci ha cambiati inseguendo quella libertà che avevamo perduto con il lockdown? È necessario correre ai ripari per evitare che il virus dilaghi e raggiunga le punte dello scorso inverno. Tra le nuove misure si tornerà maggiormente allo smart working (cioè al lavoro da casa). Al divieto delle feste private. All’impossibilità di svolgere lo sport di gruppo come il calcetto o il basket. Il football no, quello è intoccabile. Perché il giro di miliardi è tanto che nessuno si azzarda a toccarlo. Insomma, ritorneremo a soffrire (speriamo per poco). In un periodo delicatissimo in cui scarseggiano i tamponi. E anche i vaccini contro l’influenza. Code di chilometri per i primi. Attese snervanti per i secondi. Perché le farmacie ne sono prive e ai medici di base non arrivano le scorte sufficienti. Il Premier invita alla calma. Il ministro della Salute incontra gli scienziati per fare il punto della situazione. “Parlano e non sono buoni a nulla”, tuona l’opposizione. Le proteste della gente che cominciano a minare il consenso del Governo Conte 2. Il ragionamento che avanza è quanto mai semplice. Nell’inverno scorso, il Covid ci ha preso alla sprovvista. Nessuno se lo aspettava. E quindi non è stato facile difendersi dalla pandemia. Però, in questo autunno, dopo le esperienze dei mesi scorsi, non potevamo farci trovare ancora impreparati? Come mai ci vuole tanto tempo per avere il risultato di un tampone del Covid quando si riesce a fatica a farselo? E per quale ragione i vaccini non sono in numero adeguato alla situazione di oggi? Si era detto dall’Esecutivo che prevenire l’influenza era importantissimo per evitare che i due virus “confluissero” rendendo ancora più problematica la situazione. Si dovevano assumere 80.000 nuovi addetti nel settore sanitario, ne sono stati assunti a termine 30mila. Sono state potenziate le terapie intensive per oltre 3000 posti, ma nella realtà ne mancano all’appello ancora 1600 circa. Manca personale medico specializzato. E allora? Cosa facciamo? “Ci prepariamo un’altra volta a cantare dai balconi”, titolava ieri un giornale della Capitale. Gli ha fatto eco un altro quotidiano che ha gridato a tutta pagina: (torna) la ‘Covida’. Con un accenno ironico e sarcastico insieme. Poi c’è il direttore della Stampa, Massimo Giannini colpito dal virus che scrive un fondo che la dice tutta sul pericolo che stiamo vivendo: “Da malato vedo i ritardi della politica”. Informare, ma non allarmare, si risponde da Palazzo Chigi. Giusto, però perché la prevenzione non è stata così previdente come doveva essere? Per il resto, il ritornello è sempre lo stesso fra le forze politiche. Divisioni, polemiche, accuse a più non posso, invece che unirsi e trovare tutti insieme il bandolo della matassa. Che ci faccia uscire dall’attacco feroce di questa malattia. La gente chiede forse troppo? Non ha sopportato abbastanza anche da un punto di vista economico? Andiamolo a chiedere a chi ha dovuto chiudere un’attività perché la crisi gliel’ha distrutta. La difficoltà a valutare la gravità del problema, gli approcci diversi Regione per Regione il ruolo personale dei singoli Governatori: Lombardia, Veneto, Liguria anche altre Regioni, l’assenza di dati e di provvedimenti simultanei. Il virus strumentalizzato ‘ideologicamente’ nel confronto/scontro governo/opposizione. Spiegano perché la pandemia, in Italia, si va  trasformando in una vera e propria catastrofe… se continuiamo a dividerci su tutto e a dividere il Paese  …finiremo di permettere al virus di “ucciderci” ancora in molti.

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