Elezioni: passaggio d’epoca. Il centrodestra è finito, è cominciata l’era di Giorgia Meloni e della destra destra…

Basta interrogarsi ‘amleticamente’ su cosa potrà essere (o …non essere) il Governo Meloni. La scena di Piazza del Popolo è la rappresentazione evidente di un’incoronazione. Salvini è crollato e Berlusconi, nelle urne, è sparito. E Lupi, non conta (e non da ieri) assolutamente nulla.  Il bilancio dei voti non cambia, ma sono tutti nelle mani di Fratelli d’Italia… Il centrodestra non c’è più, ieri a Roma si sono celebrati i suoi funerali. Adesso c’è solo Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, il partito di estrema destra che ha fagocitato gli altri due, Lega e Forza Italia. I toni di Meloni, anche considerando che l’occasione era un affollato comizio, sono stati quelli di una leader di opposizione, minoritari, vittimistici e ovviamente super-aggressivi, non esattamente quelli di una Presidente del Consiglio in pectore: ma così è oggi la destra italiana. Entrano insieme. Giorgia, la dama bianca, mentre Matteo tiene per mano Silvio, come un figlio, o piuttosto come una badante che lo accompagna al microfono. La fissità di Silvio è una maschera che non si modifica mai, mentre il sorriso mostra la sfilza dei denti bianchissimi. Il corpo del capo è quello d’una mummia che sembra aver sfidato le leggi della eternità. Lui è come la celebre cucina pubblicizzata dalla Cuccarini: il più amato degli italiani. Salvini si cita addosso, usa l’io mentre Meloni sceglie il noi. La dama bianca combatte l’ultima battaglia che per lei è la prima, non parla agli elettori, parla ai nemici. Alza il tono poi di colpo si fa suadente: sarà un governo di parte su tutto. Nella voce di Giorgia un senso di rivalsa. Matteo alza il dito pollice dell’ok. La camicia bianca e la giacca scura: niente più felpe o magliette con slogan. Si tratta di una serata di gala: si va al governo. Salvini come detto si cita addosso, si dà il voto da solo. Sfodera un linguaggio da Bar Sport, un discorso non da statista, ma da tribuno, da comizio: basso basso; non ha il lessico e gli argomenti per farlo, va a braccio e sbanda. Pure l’autismo cita. Saprà cos’è? Niente che abbia la forma di un ragionamento. Solo slogan e affermazioni apodittiche: “Io voglio governare l’Italia”. La mano si agita nell’aria e il dito alzato rotea all’intorno. “Andiamo a vincere”. E si applaude da solo. Ecco ora Giorgia, la prima donna, la Eva della politica italiana. Balla e scuote la chioma bionda. La voce squillante. Ride. La piazza è tutta per lei: “Vi voglio bene”, dice. Gli orecchini vistosi, al polso un bracciale tricolore. Lei è la donna della porta accanto. La trovi dal parrucchiere, al mercato e a prendere un caffè al bar. La sua voce suona forte, contiene dentro di sé un senso di rivalsa profondo. La sua voce tradisce qualcosa che va al di là della volontà di governare. C’è un senso di vendetta in quella voce. La dama bianca non è un fantasma, incarna una volontà di rivincita, qualcosa che viene da lontano. Anche lei si autocita. “Facciamo paura?”, si domanda. La sua retorica è quella del risentimento e in qualche modo della rabbia. Non parla agli elettori, non parla al Paese, parla agli altri partiti, agli avversari. “Noi lo faremo comunque”, dice della riforma presidenzialista. Parla ai nemici, li minaccia. Non fa nomi. Sono gli speculatori, i poteri occulti. L’attacco è a Letta e al Pd. Già stava tutto nel suo libro. Qualcosa nella sua voce tradisce tuttavia una insicurezza di fondo. Non fa proposte. Combatte l’ultima battaglia, che per lei è la prima. Ogni tanto la parola si inceppa, ma poi alza il tono di voce. Scandisce le parole, e di colpo abbassa il volume e diventa suadente, come se parlasse a contatto del nostro orecchio. A differenza di Salvini, che è tutto sull’Io, lei usa il Noi. Noi Giorgia. Quello che deve fare lo Stato con gli italiani è “non rompergli le scatole”. Siamo alla sezione missina della Garbatella. Non è una statista, forse è un leader, ma non è capace di convincere, non possiede il tocco magico del guru. Parla di cambio del paradigma, ma la frase inciampa subito dopo. Diventerà pure una presidente di Consiglio, ma non ha la forza di superare la propria partigianeria. Sarà un governo di parte su tutto. Lo dice la sua mimica, le mani, la voce, le argomentazioni. Purtroppo non sarà un futuro sereno per nessuno, lo si capisce da quello che dice. Le “voci da dentro” raccontano di una probabile Caporetto per Matteo Salvini, respinto con perdite nella ridotta del Nord, e soprattutto per Silvio Berlusconi, per la prima volta da trent’anni in qua sostanzialmente risulta irrilevante nella campagna elettorale, una marginalità confermata anche sul palco, dove ha parlato per primo, che non è esattamente la posizione migliore. Non è più l’era di Super-Silvio, fantasma di una belle époque di cui un diciottenne di oggi neppure ha sentito parlare: la piazza del Popolo, storica location missina-aennina è ora meloniana, giù dal palco per lei un’onda delirante, un pezzetto d’Italia che si sente già nella stanza dei bottoni: se poi li troverà e pigerà nel modo giusto, questi bottoni, è tutto da vedere. Ma intanto l’impressione, suffragata dai sondaggi e anche da una percezione diffusa, è che nel complesso il centrodestra non aumenterà nei voti assoluti, ma appunto sarà dominato dalla leader di FdI: un riequilibrio dei pesi comunque storico. Finora, infatti, Forza Italia aveva garantito una relativa moderazione della destra italiana (a buon diritto si parlava infatti di centro-destra) grazie al peso, in tanti sensi, del Cavaliere, mentre oggi quella funzione calmieratrice è svanita, unitamente alla dimensione nazionale della Lega che dopo l’incredibile exploit alle Europee del 2019 con oltre il 30 per cento precipiterà a percentuali dell’era bossiana, ma senza quella spinta propulsiva neppure al Nord. Berlusconi in tutti questi giorni è stato collegato fisicamente dal salotto della “discesa in campo”, come a voler fermare il tempo per rinverdire slogan non più efficaci (aveva ricominciato con le dentiere) e con la mattana dell’apparizione in superficie allegra ma in realtà molto triste su TikTok: quell’uomo anziano che fa oscillare la testa – tic toc tac – è stata una pena soprattutto per chi ha vissuto la “fase eroica” del berlusconiano che incantava il Paese. I vari Tajani, Ronzulli, Bernini, Mulé  e gli altri fanno quello che possono, cioè nulla. I vecchi Tremonti e Pera sono andati dalla Meloni a cercare una terza giovinezza. Lei ha spolpato la parte dell’osso più di destra, più di potere, mentre Carlo Calenda è riuscito a graffiare l’ala liberal che fa riferimento alle posizioni di Mara Carfagna e quella popolare di Mariastella Gelmini con il risultato è che la “cosa azzurra” nata nel 1994 non regge più. Ieri Piazza del Popolo è stata il teatro di un passaggio d’epoca, dominata anche dal punto di vista iconografico da Fratelli d’Italia, sul palco la star è stata lei, Giorgia. Gli altri non esistono più…

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