Elezioni: Trumpisti italiani, Meloni Salvini e Conte si scambiano i ruoli ma restano sempre gli stessi…

Elezioni politiche 2022, il Parlamento europeo condanna l’Ungheria: “Non è una democrazia”. Lega e FdI si oppongono. Mancano 10 giorni esatti al voto. La politica è in fibrillazione per i soldi di Mosca ai partiti: l’Italia è nel dossier americano. Telefonata Draghi-Blinken. Di Maio: “Arrivati gli aggiornamenti Usa, serve prudenza”. Hackerato l’account Twitter del ministero di Cingolani. Conte: “Non inquinare elezioni con insinuazioni”. Se a segnare la campagna elettorale fosse stata un’impennata del Covid, anziché la guerra, oggi avremmo Conte a riscoprire la retorica no vax e Meloni a chiedere vaccinazioni obbligatorie anche ai neonati. Siccome invece del Covid è scoppiata la guerra, abbiamo avuto Conte che torna filorusso e Meloni che si riscopre atlantista ed europeista… L’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia, nel Parlamento europeo, al rapporto che condanna l’Ungheria di Viktor Orbán come una «autocrazia elettorale» conferma quanto fondate siano le preoccupazioni per lo Stato di diritto in caso di vittoria della destra. Anzi, se il loro modello è la «democrazia illiberale» di Orbán, più che di timori dovremmo parlare di certezze. Le parole del segretario di Stato americano Antony Blinken riguardo ai finanziamenti russi per influenzare la politica europea, invece, gettano più ombre che luce. E almeno per il momento aggiungono poco ai numerosi motivi di preoccupazione che avevamo già. Sul fatto che in Italia buona parte delle forze politiche da anni fossero perfettamente allineate alle posizioni di Vladimir Putin nessuno poteva avere dubbi: bastava leggere le dichiarazioni ufficiali dei massimi esponenti di tutti i maggiori partiti populisti e sovranisti, almeno a partire dal 2014, anno dell’annessione manu militari della Crimea. Allora, per fare solo un esempio, a chiedere la rimozione delle sanzioni, con tutta l’estrema destra europea, in prima linea c’erano Movimento 5 stelle, Lega e Fratelli d’Italia. E con tanta convinzione che i primi due, ancora nel 2018, misero la richiesta persino nel loro contratto di governo (punto 10). Tra tante ombre e opacità, un’osservazione a suo modo illuminante è venuta invece dall’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano di ieri. La tesi di Travaglio è infatti che i giornali stiano usando il caso dei dossier americani per colpire «i partiti più odiati dai padroni: Movimento 5 stelle, Lega e Fratelli d’Italia». Tralasciando pure per un attimo i grillini, l’idea che i veri nemici dei «padroni» siano due partiti di destra, fedeli alleati di Silvio Berlusconi, uno degli uomini più ricchi d’Italia, può suscitare qualche legittima perplessità, ma non è poi così originale. Al contrario, è un’idea che lo stesso Berlusconi – ha spesso fatto propria. In fondo, la tesi secondo cui l’establishment, la grande finanza, i «poteri forti» starebbero con la sinistra è antica quanto la teoria del complotto pluto-giudaico-massonico, non a caso uno degli slogan favoriti del fascismo, e in particolare di quelle sue correnti che più amavano presentarsi come rivoluzionarie e in senso lato “di sinistra”. Un armamentario che si ritrova anche in un certo estremismo di destra degli anni Settanta (quello che giocava persino con lessico e parole d’ordine gramsciane) e che oggi prende la forma delle crociate contro George Soros e i deliri para-nazisti sui suoi piani di «sostituzione etnica» (non per niente, tutta roba messa a punto dagli strateghi di Orbán in Ungheria). In tempi di grande confusione ideologica, questo piccolo excursus è forse utile a inquadrare meglio anche la collocazione dei cinquestelle nel quadro tracciato dal più organico dei loro intellettuali. Dopo tante chiacchiere sulla natura progressista del movimento, ecco finalmente una parola netta, proveniente dalla fonte, in materia, più autorevole che ci sia. Dal punto di vista del Fatto i «partiti più odiati dai padroni» sono quei tre: Cinquestelle, Lega e Fratelli d’Italia. La fondamentale identità di vedute e di valori che li caratterizza, per non dire la loro intercambiabilità, è testimoniata del resto dalle rispettive e perfettamente simmetriche evoluzioni. Una volta che si avvicinano o raggiungono posizioni di governo, come è capitato a Conte prima e a Meloni adesso. Giorgia Meloni: “In Ungheria non c’è un dittatore, la differenza tra Orban e Conte è che almeno gli ungheresi Orban se lo sono scelti”.  Sono infatti perfettamente capaci di abbandonare le tesi incompatibili con il quadro di alleanze e la collocazione internazionale del paese, salvo ritornare esattamente al punto di partenza una volta finiti all’opposizione, come Conte adesso e Meloni prima. La tragedia dell’Italia è che pure chi dovrebbe combattere il populismo accredita e legittima simili piroette a seconda delle convenienze del momento, illudendosi di addomesticare la tigre semplicemente accarezzandola per il verso del pelo. E così Conte è ora un punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti, ora il responsabile dei feroci decreti sicurezza, a seconda dei suoi rapporti col Pd. Adesso il Campo giusto di Conte è quello contro le destre e falsi progressisti del Terzo polo. D’altronde c’è una larga fetta di Paese che viene sistematicamente ignorata anche dal Pd e che Giuseppe Conte ora vuole raggiungere e convincere. E lo stesso vale per Meloni, ora leale avversaria con cui costruire un asse in difesa del maggioritario e della comune convinzione che chi vince debba poter governare libero da condizionamenti, ora pericolosa minaccia per l’equilibrio dei poteri e la stessa democrazia… Alla fine di tutto domandiamoci: con una Democrazia già così ridotta… che serve tranquillizzarci col dire che non c’è rischio di un ritorno al Fascismo? Certo è che il quadro politico italiano è già sopraffollata in maniera traversale presente nei vari partiti, di sovranisti e populisti (spesso mi sfugge la differenza) che professano il loro ‘illiberalismo’ culturale, istituzionale, nonché di governo!

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